Le edizioni Black Coffee sono bellissime: formati compatti, disegni minimal e colori sgargianti che fanno pensare a storie fresche, vivaci e che ben nascondono lo sfacelo narrato al loro interno.

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In Happy Hour libro dalla splendida copertina rosa fluo, è narrato lo sfacelo di 16 donne, scritto da Mary Miller che anche nel suo Last days of California è attenta a riportarci la visione di personaggi femminili. Ogni donna vorrebbe leggere di donne forti, soddisfatte, che non si fanno mettere i piedi in testa, donne che lottano con le unghie e con i denti per ottenere ciò che vogliono. Dimenticatele queste donne se volete approcciarvi ad Happy Hour, dimenticate l’esaltazione del genere femminile, la forza del nostro sesso.

Qui le donne sono tutte ugualmente alla deriva, le loro vite sono scialbe, grigie ad ogni pagina si respira insoddisfazione. Le donne di Happy Hour sono quasi tutte senza nome, così è più facile per il lettore appropriarsi di quelle vite dannate, entrarci con tutte le scarpe. Nelle vite di queste donne c’è sempre un uomo, di quelli che non dimostrano mai affetto, ma soprattutto che non sanno cosa sia il rispetto; si descrivono coppie mal assortite dove lui è il macho senza cuore e lei la vittima impotente. Queste donne non possono trovare pace neanche nelle altre relazioni, nelle amicizie, sono sole perché vogliono esserlo e la loro vita tocca il fondo perché sono inerti. Le donne di Happy Hour sono terribilmente accidiose: sanno che la loro vita fa schifo, vedono che intorno a loro tutto va a rotoli ma non si muovono.

Sono 16 quadri malmessi, graffiati e senza cornice. Potrebbero essere 16 persone diverse, 16 esperienze separate oppure potrebbe essere una sola grande vita di esperienze pessime, una vita senza via d’uscita. Non c’è un racconto meglio dell’altro perché nessuna delle donne descritte potrebbe dire ad un’altra: “Ah! A me non è andata così male!”, no sono una peggio dell’altra, risucchiate in un vortice di dolore, noia, angoscia e innaffiate di alcool.

Quindi ecco, lo confessiamo, a noi non è piaciuto. Il linguaggio della Miller è diretto e cristallino. I personaggi sono ben caratterizzati, con loro ti arrabbi davvero, vorresti tirarle una ad una fuori dal libro e fare a tutte una bella faccia di schiaffi; quindi c’è il pathos, è scritto bene, ma quale ragazza vorrebbe leggere di donne che si umiliano per amore, di donne che non vogliono uscire da una situazione di stallo perché in fondo c’è una briciolina da salvare, di donne che si rifugiano nel fumo, nell’alcool o in un libro (sì le donne della Miller sono almeno lettrici) insomma forza ditelo: chi vorrebbe vedere la propria debolezza alla mercé di tutti? Allora perché leggerlo? Per essere coraggiose, perché prima di affrontare lo sfacelo delle vite create da Mary Miller dobbiamo affrontare il nostro.

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