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"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."

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Carla

27. Ho mal di testa e di universo. Medievista disoccupata. Generalmente parlo di libri e fumetti, dopo averli letti.

Letture Arcane – Gennaio ’24

L’anno inizia come sempre con tanti buoni propositi, dopo un periodo di pausa e relax passato con le persone a noi più care siamo pront* a buttarci a capofitto in una nuova avventura ricca di progetti, emozioni e (speriamo!) felicità.

Dieci di Coppe

Ormai lo sapete no? Il seme delle Coppe è quello che ci parla delle relazioni, dell’amicizia, dell’amore. Insomma è un seme che descrive il nostro rapporto con gli altri e le altre e che sottolinea principalmente il bisogno di socializzazione e di stare insieme.

Il dieci invece è un numero meraviglioso nei Tarocchi. Il numero del compimento, dopo aver esordito con l’1, aver attraversato numeri pari e dispari, stabilità e crisi, si arriva alla fine del viaggio, al dieci appunto. Qualcosa è stato fatto, qualcosa di grande, bello, positivo e possiamo quindi concentrarci su altro.

Il Dieci di Coppe ci fa sentire a casa, non la casa con i patriarchi, non la casa con le famiglie disfunzionali che non ci siamo scelti. Si parla della casa che ci siamo costruit* nel tempo, con gioie e dolori, ma in cui possiamo essere davvero noi stess*. Ci fa vedere un quadro perfetto, della nostra vera famiglia, della rete di salvataggio che è pronta a supportarci e a farci stare al meglio. L’arcobaleno, le coppe piene, bambini che giocano: è questo il luogo dove possiamo dare forma ai nostri progetti, dove possiamo sentirci al sicuro per sviluppare le nostre pazzie.

Creare questo gruppo di amore non è stato semplice, c’è stato un grande lavoro dietro per ognun* di noi, ma siamo arrivati alla stabilità. Il Dieci di Coppe ci dice che la famiglia che ci siamo costruiti è salda, armoniosa, pregna di amore ed è proprio da qui che dobbiamo ripartire. Le figure sulla carta sono di spalle, guardano avanti, verso il grande arcobaleno e così dovremmo fare anche noi. L’arcano minore ci incoraggia a fare tesoro di tutto il supporto che abbiamo, a prenderci tutto ciò che ci spetta, ad autorizzarci ad amare ed essere amati e a volare via dal nido.

Abbiamo una base saldissima e da qui dobbiamo andare avanti. Carich* di buone intenzioni e incoraggiamento, ora è il momento di fare nuovi progetti, di andare a prenderci qualcosa che abbiamo rimandato da tempo. Non ci serve l’approvazione altrui, ma avere un appoggio su cui riposare è fondamentale, quindi con il cuore carico, riprendiamoci le nostre posizioni, scopriamo nuovi mondi, nuovi interessi, nuovi lavori. Abbiamo sempre avuto bisogno di stimoli, di soddisfare la nostra curiosità e finalmente il momento è arrivato!

Cosa leggiamo?

Appunti per un dizionario delle amanti, Monique WittigSande Zeig, Meltemi

Non è una novità, come siamo abituat* ai consigli di questi schermi, ma è un consiglio spassionato. Leggere Appunti per un dizionario delle amanti vi farà prendere consapevolezza di quello che avete costruito finora. Parla di rete, di comunanza, di un mondo nuovo, di un futuro senza differenze, dove tutte (o quasi) si amano. L’amore è al centro di tutto e attraverso di esso si arriva alla creazione, al plasmare nuove relazioni, nuovi oggetti e così ogni parola prende un significato diverso e nuovo, declinato in una visione amorevole e naturalistica di un mondo buono, fatto di persone che vogliono prima di tutto volersi bene e che attraverso il loro studio e il loro percorso riscrivono la storia dell’umanità basandosi sulla sorellanza.

E cosa guardiamo?

Abbott Elementary (2 stagioni, in corso)

Per la scelta di questa serie confesso di essere partita dall’immagine con arcobaleni, adulti e bambini che convivono pacificamente nella stessa immagine: non è sempre quello che succede alla Willard R. Abbott, una scuola pubblica della periferia di Filadelfia, in cui tutti i docenti devono fare del loro meglio fronteggiando i tagli al budget, i casini del distretto e (molto spesso) anche le paturnie dei loro studenti. Nonostante le difficoltà la giovane insegnante Janine riesce a ritrovare in questa scuola sgangherata la sua famiglia, la sua rete di sicurezza, con cui riesce a mantenere alti i suoi ideali e la sua passione. Attraverso di lei conosciamo non solo i colleghi ma anche donne e colleghe di eccezione, come la pragmatica Melissa – sempre pronta a trovare, grazie alle sue conoscenze non sempre legalissime, una soluzione a qualunque problema – o la navigata Barbara, che con il suo piglio severo e la sua esperienza pluridecennale sa far stare zitte anche le classi più indisciplinate (insegnaci quando vuoi); persino quelle che sembrano più incompetenti come la preside Ava – che ha avuto il ruolo solo perché, potremmo dire, si è trovata al posto giusto al momento giusto – le dimostreranno che chiunque può avere delle capacità imprevedibili e utilizzarle al servizio della comunità, migliorando ma rimanendo comunque sé stess*.

Carle vs. Lorenzo Palloni e Miguel Vila

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti.

Fortezza volante è fino ad ora il fumetto più bello che ho letto quest’anno, scritto da Lorenzo Palloni e disegnato da Miguel Vila, edito da Minimum fax. Una storia sensazionale, originalissima, che vi porterà a seguire le vicende dei protagonisti che si muovono durante il ventennio fascista in un misto di avventura e sci-fi. Non potete assolutamente non leggere questo fumetto, che parte da una storia vera ma che si svilupperà in un vortice inaspettato, corredato da disegni fantastici che vi faranno compeltamente immergere nella narrazione. Ho il piacere di ospitare Lorenzo Palloni, mentre per conoscere le risposte di Miguel Vila dovete andare su una banda di cefali!

Ciao Lorenzo e benvenuto su Tararabundidee e grazie mille a entrambi per esservi prestati a questa doppia fatica. La prima domanda della nostra intervista è ormai di rito: com’è nata la collaborazione con Miguel e come avete lavorato insieme a questo graphic novel?

Ciao Carla! Sempre un piacere tornare qui. La collaborazione con Miguel è nata perché cercavo qualcuno che potesse dare un aspetto autoriale e contemporanea ad una storia difficile, corale e ambientata negli anni ’30.
Avevo appena letto “Padovaland” e ne ero rimasto folgorato, l’ho contattato, ha letto il dossier che avevo preparato per Minimum Fax e ha detto sì. È stato un salto nel vuoto ma alla fine abbiamo lavorato come macchinista e treno, direi: ognuno di noi ha dato dei limiti che l’altro ha usato in maniera ottimale e
stimolante. Il risultato mi sembra bellissimo, ma come si suol dire: ogni scarrafone…

In Fortezza volante avete raccontato un episodio alquanto sconosciuto e insolito accaduto durante il regime fascista, quando nel 1933 quando “un velivolo non convenzionale” si schiantò al suolo nei pressi di Vergiate, nel varesotto, e lasciò dietro di sé una densa coltre di fumo rosa e un omicidio irrisolto. Un mix di storia e fantascienza, insomma. Da dove nasce l’idea di crearci un fumetto? Come avete trovato il titolo?

L’idea viene da Carlotta Colarieti, curatrice della collana Cosmica di Minimum Fax, che come una vera produttrice hollywoodiana mi ha detto “mi piacerebbe fare una storia su questo evento, lo conosci?”. Io sono impazzito perché mastico la mitologia extraterrestre, da ragazzino ero fan di X-Files e di tutti gli
eventi ufologici che fanno da grottesco ma perseverante contorno alla nostra Storia occidentale. Subito ho capito il potenziale di rappresentazione contemporanea e di divertimento, non potevo non raccontare questa storia. Il titolo venne fuori da Mussolini stesso che in un controverso discorso cita – parafraso – “delle fantomatiche fortezze volanti di cui i nemici dell’Italia non dovrebbero preoccuparsi, al contrario del nostro valoroso esercito”. L’ho trovata un’immagine molto forte, qualcosa di gigantesco che galleggia e che è metafora di moltissime cose inerenti ai totalitarismi e al nostro bizzarro paese.

Siete riusciti in qualche modo a reperire materiale storico su questo episodio nonostante la censura fascista? Vi è capitato di trovarvi dinanzi a fake news o bufale dell’epoca?

L’evento stesso è probabilmente una bufala risalente agli anni ’90, anche se “qualcosa” sarebbe avvenuto secondo alcuni dispacci del tempo. È tutto molto nebuloso e gli abitanti di Vergiate, gli ufologi e certi storici tengono giustamente in vita la leggenda. La maggior parte delle bufale riguardo eventi
paranormali nasce dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con il boom economico, l’agiatezza familiare, la ricostruzione e la mancanza di minacce estere. Per “Fortezza Volante” mi sono informato sul contesto storico più superficiale attraverso libri di Storia Contemporanea che studiavo all’università, mentre per la vita quotidiana – fondamentale per una storia di provincia – ho letto e riletto le lettere e i diari di mia nonna Berta, ahimè ora non più con noi, ma che al tempo era ragazzina e avendo una penna
acutissima mi è stata fondamentale per la prospettiva umana.

In realtà, in Fortezza Volante il fatto reale rappresenta solo il punto di partenza per un viaggio nella fantascienza, nel romanzo storico, di spionaggio, d’azione. Come avete trovato la chiave giusta per mescolare tutti questi generi?

Quando una storia vuole essere raccontata, gli ingredienti ci sono già da soli perché è il messaggio che lo richiede e tu non puoi fare altro che seguirlo. Una volta che conosci i temi principali – la perdita della memoria, il tempo come arma, la paranoia del totalitarismo – sai anche che dovrà essere un corale,
perché servono più punti di vista; che dovrà essere una spy-story con venature thriller, perché la sfiducia e la tensione sono centrali; che la fantascienza sarà solo una scusa e che la cornice storica dovrà essere
credibile per quanto stramba e legarsi con il segno del disegnatore. In questo caso abbiamo trovato un aggettivo che era trasversale al racconto: grottesco, come il fascismo merita di essere.

Dal punto di vista della sceneggiatura la storia è strutturata in modo abbastanza lineare (suddivisione in atti, luoghi e tempi indicati in modo preciso ecc.) con un intreccio mai banale. Dal punto di vista grafico, invece, le tavole sono incredibilmente destrutturate, con le vignette che cambiano continuamente di forma, struttura, posizione. Come avete trovato l’equilibrio tra storia e disegni?

Questo è merito di Miguel, io potevo solo fidarmi. Nel senso che ho scritto un libro in prosa con le divisioni in tavole, i giripagina obbligatori, i dialoghi e le didascalie necessari per poi lasciare a Miguel – da sua richiesta – tutto il lavoro su divisione in vignette e regia. In fondo era impossibile sceneggiare in modo canonico un libro del genere con un disegnatore di questa forgia. Poi ci abbiamo rimesso mano perché non avendo il controllo sulle vignette e quindi sul ritmo ho scritto più del necessario e abbiamo tagliato un sacco di roba, meglio così. È stata un’esperienza stranissima e spettacolare, molto motivante
e piena di brividi: non conoscevo Miguel e aveva uno spazio di manovra incredibile. Qualcosa mi diceva però di fidarmi e ho fatto bene. In mezzo a tutto questo, l’editing di Carlotta è stato costante e fondamentale, lasciandoci tutto lo spazio di cui avevamo bisogno senza permetterci di sbrodolare.

Come mai il fumo, la fortezza e tante altre cose sono rosa in questa storia? Pensando a un’associazione banalissima di colori, tra fascismo, spie e ufo, l’ultimo colore che mi verrebbe in mente è il rosa, non è per la Barbie Fever, vero?

No, anche se vorrei fosse per Barbie – non vedo l’ora di andare al cinema. Quando abbiamo cominciato a lavorare a “Fortezza Volante” cercavo di immaginarmi come avrebbe lavorato Miguel e gli ho consigliato una palette minimale con colore dritti, contrasti forti, magari un grigio un rosa e un verde che fanno a cazzotti fra loro e con il nero delle divise dei camerati. Miguel ha poi espanso il pensiero e l’ha organizzato per linee temporali: tre tempi, ognuno con la sua palette. Il rosa è trasversale, è un colore kitch, luminoso, fuori dal mondo, fuori dallo spazio-tempo fascista, doveva esplodere negli occhi di un mondo triste e senza futuro, doveva venire da un altro mondo.

I personaggi di Fortezza volante sono fascisti a vari livelli e sono tutti caratterizzati da una profonda ambiguità perché ciascuno, in modo diverso, vuole soltanto perseguire i propri obiettivi. Neanche chi all’apparenza sembra più buono si salva. È questo frutto del loro essere fascisti?

In parte. Penso che fascismo ed individualismo abbiano una radice comune e molto italiana. Nessun fascista è mai stato integerrimo e mai lo sarà, è impossibile, è innaturale. I governi di destra prosperano sull’ipocrisia e l’ambiguità di mondi all’apparenza solidissimi che rispondono semplicemente a domande complesse e fanno presa su menti distratte o deboli o ignoranti. Il mondo è l’esatto opposto e non per questioni politiche, ma naturali: il progresso è l’unica via che conosciamo – anche se non è detto che sia quella giusta – in un mondo liquido e in costante movimento. Dualità, familismo e amoralità sono brutti sprazzi di umanità in un sistema disumano, che oltretutto ci portiamo dietro da sempre e che contraddistinguono il Belpaese anche oggi. Volevo che i personaggi di “Fortezza Volante” fossero italiani, quindi egoisti e refrattari a regole che loro stessi impongono agli altri e si impongono. Come
fanno a salvarsi personaggi così? E come potremo mai salvarci noi, quindi?

Il fumetto si apre alla fine degli anni ‘90. Quando chi legge si approccia al fumetto, all’inizio si trova in un clima familiare fino a che non si arriva al primo capitolo e allora si viene catapultati in una storia così ben costruita che si dimenticano quasi i piani temporali: ma siamo nell’Italia degli anni ‘30 e contemporaneamente ci sono tanti richiami al presente: contraddizioni enormi, storie sociali che si intrecciano, discriminazioni. Dove avete trovato il tempo di collegare anche passato e presente?
Stiamo rischiando di ripetere gli stessi errori del passato?

Lo stiamo già facendo, basta guardare le ultime elezioni nazionali. Ma è una tendenza globale, solo che da noi attecchisce meglio perché c’era già la consapevolezza malcelata che siamo un paese fascista, legalista, intollerante abbattuta da decenni di indebolimento del sistema scolastico. Non ci piace
che le cose cambino perché siamo un paese povero che fa finta di essere ricco, non c’è il tempo né la voglia di pensare a soluzioni, siamo troppo impegnati a sopravvivere, stritolati e stritolatori. Nel libro tempo e memoria si intrecciano, il primo è oggettivo e impalpabile; la seconda soggettiva e fallace.
Non penso sia diverso nella realtà. Siamo animali tragici in questo senso. Destinati a fallire e riprovarci e a dimenticarci cosa stavamo facendo e perché, quindi torniamo a fallire di nuovo – anche se avremmo le capacità di vincere. E solo allora andiamo sul gattopardesco, “cambiare tutto per non cambiare
niente”. In “Fortezza Volante” possiamo declinare il motto in “dimenticare tutto per ripetere tutto”.

Sono cresciuta a suon di X-Files, Roswell e Doctor Who e perciò sono curiosa di sapere quali serie, film vi hanno ispirato per le atmosfere di Fortezza Volante.

X-Files” uber alles, ovviamente. Una miniera d’oro di informazioni e ispirazioni è stata “The Mothman Profecies” dell’ufologo John Keel, che da adolescente mi riempì di terrore e meraviglia; “Base Terra”, un librone degli anni ’90 del Readers’ Digest pieno di storie vere o presunte tali di contatti con extraterrestri; i libri autobiografici del contattista George Adamski e la serie “Area 51” di Robert Doherty. Ma non credere che ci siano solo libri sci-fi, i gialli di Carlo Lucarelli in epoca fascista mi hanno aiutato con l’atmosfera e
certe dinamiche poliziesche mentre i corali di James Ellroy – soprattutto “Perfidia” (2015) e “Questa tempesta” (2020) – ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale mi hanno aiutato a capire la tenerezza da costruire fra i personaggi in un mondo che crolla – tenerezza necessaria a far venire fuori, per contrasto, la ferocia.

Anche l’ultima domanda della nostra intervista doppia è di rito: progetti in cantiere? Lavorerai ancora con Miguel?

Di progetti ce ne sono sempre, è il problema delle storie: sono infinite! Di mio ho così tanto in pentola che preferisco svelare le carte quando ce l’ho già in mano e non quando sono ancora nel mazzo. Ma l’obiettivo di trovare qualcos’altro da fare con Miguel c’è e ci è stato chiesto ufficialmente un pitch
per una casa editrice grossa e non necessariamente italiana. Ma davvero non c’è ancora niente quindi: acqua in bocca al momento. Qualche segreto lo sappiamo ancora tenere. Grazie, Carla!

Carle vs. Marco Taddei & Eleonora Antonioni

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti.

Questo mese vi portiamo nel mondo della scienza con un meraviglioso fumetto che parla della vita dello scienziato Alexander Von Humboldt (se non sapete chi è, è solo un motivo in più per scoprirlo attraverso questo fumetto). A scrivere di questo straordinario personaggio dell’800 sono Marco Taddei ed Eleonora Antonioni nel loro Un mistero alla luce del giorno, edito da Hoppipolla edizioni. Scenari meravigliosi, disegni dall’aria vintage, vi faranno scoprire le mirabolanti avventure di Alexander che è stato incaricato di salvare il mondo dalla Stirpe.
A parlare di questa meraviglia qui su Tararabundidee sarà la disegnatrice Eleonora Antonioni, per leggere le risposte di Marco Taddei dovete nuotare fino a una banda di cefali!

Ciao Eleonora e benvenuta su Tararabundidee. La prima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. Com’è nata la collaborazione con Marco Taddei e come avete strutturato il lavoro per questo graphic novel?

Ciao a voi e grazie mille per l’invito! La collaborazione con Marco è avvenuta tramite la casa editrice che ha pubblicato il nostro libro, Hoppípolla. È stato contattato prima Marco e poi io. Conoscevo il lavoro di Marco, conoscevo un poco Alexander von Humboldt e quando mi è arrivata questa proposta ho accettato subito perché sembrava tutto talmente diverso da ciò che faccio di solito che non volevo perdere l’occasione di fare quest’esperienza!

Alexander von Humboldt è stato una vera e propria celebrità della scienza tanto che i suoi contemporanei lo definirono l’uomo più famoso al mondo dopo Napoleone. Nonostante questo, oggi sembra essere stato inabissato. Da dove nasce l’idea di dedicargli un fumetto e come mai, secondo te, è caduto nel dimenticatoio?

Tempo fa su TikTok ho intercettato un video molto interessante che analizzava il fatto che la nostra impostazione scolastica sia stata improntata nettamente più sulle materie umanistiche che sulle materie scientifiche. Questa cosa mi ha fatto venire in mente, per esempio, che Darwin, tra i pochi scienziati che a scuola si devono studiare, era nel mio libro di Filosofia. L’ho sempre trovato strano, un po’ come se per essere degno di essere approfondito ci fosse bisogno di inserirlo tra “i pensatori”. Forse le figure come quelle di von Humboldt spariscono proprio a causa di questo retaggio culturale e l’idea di dedicargli un fumetto nasce proprio dal voler dare valore a una figura come la sua, che tra l’altro oggi si inserisce molto bene anche nel discorso del cambiamento climatico e salvaguardia dell’ecosistema.

Come suggerisce già il titolo, Un mistero alla luce del giorno non è una biografia nel senso tradizionale del termine e mescola continuamente il piano della realtà e quello fantastico. Come avete trovato la chiave narrativa per raccontare questa figura così fuori dagli schemi e come siete riusciti a rendere così attuale un personaggio nato più di 250 anni fa?

Beh questa è una domanda sicuramente più per Marco, è tutta farina del suo sacco! Sicuramente la sua intuizione di inserire un piano narrativo fantastico alla narrazione della classica biografia ha aiutato a rendere la vita di uno studioso più emozionante. È vero che von Humboldt ha viaggiato molto, ma per ricercare e analizzare. L’elemento fantastico vivacizza, ma allo stesso tempo è funzionale a far arrivare in
modo più veloce ed esplicito il messaggio ecologista che deriva dall’approccio allo studio della natura intrapreso da von Humboldt.

Anche dal punto di vista grafico il fumetto mescola modernità, con una scelta molto particolare dei colori e uno stile retrò che ci porta indietro nel tempo. Com’è andata la ricerca su i luoghi che hanno visto la presenza di von Humboldt, da cosa ti sei fatta ispirare?

La ricerca non è stata semplice, anche perché la vita di Alexander von Humboldt attraversa tanti anni cruciali: nasce prima della rivoluzione francese e muore dopo la metà del 1800. Ho cercato di essere il più accurata possibile, in genere cerco di attingere da tutto ciò che posso: film, libri di storia dell’arte e storia del costume. Una cosa che mi ha ispirata molto nel mood, non solo come reference, sono le stampe di
moda di inizio ‘800. Trovo che abbiano dei toni di colori intriganti, da lì mi è venuta l’ispirazione di usare il rosa nella mia palette. Poi sapevo già che ci sarebbe dovuto essere il verde, non poteva non essere un colore dominante, infine ho aggiunto un viola per aggiungere un elemento di inquietudine.
Per quanto riguarda i luoghi la ricerca è stata molto faticosa, tante cose sono state ricostruite o immaginate da me. L’unico punto della storia in cui ho potuto attingere a reference molto specifiche è il capitolo finale perché il castello di Tegel ristrutturato in stile neoclassico è attualmente esistente. Vedendo le foto ho trovato molto singolare che sulle 4 facciate dell’edificio ci fossero le riproduzioni dei bassorilievi degli otto venti presenti nella torre dei venti di Atene e mi sono divertita a rendere omaggio a questo dettaglio.

Nel corso del racconto, Alexander von Humboldt entra in contatto con delle creature antropomorfe. Qual è la tua preferita e perché?

Montefur, il nostro gattone con gli stivali. Come si fa? È affascinante, suadente e facile da disegnare. A dir la verità, però, mi piacciono molto anche gli insettoni!

Alexander von Humboldt è stato un personaggio molto eclettico. Qual è l’aspetto della sua personalità che ti ha colpito di più?

La totale devozione a quello che amava. Accettare senza peso di essere un outsider pur di dedicarsi alla sua scienza. Sicuramente lo ha potuto fare da privilegiato, però non considero una cosa molto facile o scontata la conduzione di una vita così tanto fuori dall’ordinario per l’epoca in cui viveva.

Qual è il messaggio più importante che Alexander von Humboldt ha lasciato e che hai voluto trasmettere con questo fumetto?

Quello di tenere a mente il concetto di ecosistema, del fatto che alterare la natura ha delle conseguenze su un equilibrio molto più vasto di quello su cui si crede di impattare.

È difficile ritrovare oggi personaggi che hanno la stessa fama e le stesse intuizioni di Alexander von Humboldt, sembra che tutte le menti brillanti che possano effettivamente cambiare il mondo siano state fatte fuori. Secondo te, la Stirpe ha vinto?

La stirpe sta vincendo nettamente, ma c’è sempre chi lotta, la guerra non è finita!

Anche l’ultima domanda è di rito: hai altri progetti in cantiere? Lavorerai ancora con Marco Taddei?

Forse sì, forse no, chi lo sa!!!

Ringraziamo tantissimo Marco ed Eleonora per essersi prestati a questa intervista, noi ci vediamo sempre qui il mese prossimo!

Carle vs. Tommaso Renzoni e Raffaele Sorrentino

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti.

Questo mese scopriamo insieme Fehida, nuova uscita della collana Cosmica di Minimum Fax, di Tommaso Renzoni e Raffaele Sorrentino. Questo fumetto parla di faide, di criminalità organizzata e di persone che non riescono a scappare dalla realtà delle organizzazioni criminali, da una imperitura sete di vendetta che travalica spazio e tempo.
In questa occasione abbiamo fatto qualche domanda a Tommaso Renzoni, per scoprire le risposte di Raffaele Sorrentino, dovete viaggiare come sempre verso una banda di cefali.

  • Ciao Tommaso e benvenuto su Tararabundidee. La prima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. Com’è nata la collaborazione con Raffaele e come avete lavorato insieme a questo graphic novel?

È stata colpa di Carlotta Colarieti! Carlotta mi ha chiamato per lavorare a questo graphic novel, e mentre scrivevo il soggetto lei mi ha proposto il suo nome, e quando Raffaele si è innamorato del progetto abbiamo iniziato una collaborazione a quattro mani su tutto. Anche adesso io e Raffaele ci scherziamo su, non c’è una pagina su cui riusciamo a dire “questo è mio, questo è suo”!

  • Fehida parla di criminalità organizzata, in particolare di ‘ndrangheta, è liberamente ispirato alla faida di San Luca degli anni ‘90 ed è ambientato tra l’Italia e la Germania. Dove nasce l’idea di raccontare la ‘ndrangheta calabrese in un fumetto e come mai proprio questo periodo?

L’idea era di arricchire la collana Cosmica con un testo che parlasse di una vicenda di cronaca, e la scelta è caduta su quei fatti ispirandosi ad un altro libro di Minimum Fax che è “Statale 106” di Antonio Talia. Io però in quella storia ci vedevo in filigrana un racconto di libertà e di liberazione dai modelli di un maschile aggressivo e patriarcale. Raffaele condivide con me questa sensibilità e d’accordo con lui ci siamo allontanati dai fatti reali per far vivere un racconto che potesse parlare ai maschi di oggi.

  • Già dalle prime tavole, al momento del sorteggio, si comprende quello che sarà uno dei protagonisti di Fehida: il destino. Che ruolo svolge nella storia e nella vita dei protagonisti?

Il destino ineluttabile è un tema centrale nella storia. Proprio perché nella criminalità, ma pure nell’educazione predatoria del maschile si avverte questa sensazione di un fato già scritto, rispetto al quale si può solo prendere il proprio posto. Ci sono tanti elementi che rimandano a questo concetto, tanti livelli di lettura. Da una parte la sottotrama legata all’amore, di matrice shakesperiana, dall’altra i modelli classici. Gli anziani sono le tre parche, tagliano e cuciono destini e si comportano come il coro della tragedia greca. E anche la struttura del racconto, con un climax forte a midpoint e una piramide con il vertice centrale omaggia la tragedia greca. Perché la lotta contro il destino è titanica.

  • Fehida non è soltanto una storia di ‘ndrangheta, ma anche quella di un rapporto amoroso proibito tra i due ragazzi che diventano una sorta di Romeo e Giulietta ostacolati dalle rivalità tra le due famiglie. La loro relazione, se scoperta, potrebbe generare una nuova faida. In un’organizzazione dove il machismo è la base, come viene sentita l’omosessualità e perché avete deciso di inserirla nel fumetto?

L’omosessualità è uno dei tabù delle società viriliste, proprio perché il sesso è vissuto come sopraffazione e potere, era inevitabile per noi scardinare questi preconcetti con la dolcezza del sentimento. I due ragazzi sono fiori che nascono nell’asfalto, e portano temi rivoluzionari, per questo e perché sognano la libertà.

  • I personaggi sono tutti uomini, rivali, assetati di vendetta, ma sono anche ragazzi svezzati a pane e pistole. In un mondo in cui il rito d’iniziazione è farsi una sega e poi sparare, perdendo in un attimo innocenza e sogni, mi sono ritrovata ad empatizzare con alcuni personaggi, che rimangono vincolati a queste leggi, ma che sognano altro. Faceva parte del vostro piano fare in modo che i lettori provassero pena per i personaggi, anche se commettono bestialità indicibili?

Kurt Vonnegut dice che i cattivi non esistono e io sono d’accordo. Il racconto bianco e nero, bene e male, finisce per essere in realtà rassicurante: puntare il dito e salvaguardare la comunità dai “cattivi”, che poi sono i più deboli. Volevamo raccontare esseri umani con le loro storture, sogni, speranze e bestialità. L’empatia è fondamentale per capire cosa succede a quei ragazzi, anche se la storia non fa sconti a nessuno. Non è buonista, non opera salvataggi. Eppure sì, gli vogliamo bene a questi ragazzi, per questo non possiamo permetterci di indorare la pillola.

  • Parlare di criminalità organizzata può rivelarsi un’arma a doppio taglio perché, sebbene gli intenti siano altri, si rischia di offrirne un ritratto in qualche modo positivo. Come avete trovato la chiave giusta per parlarne restando umani ma obiettivi al tempo stesso?

Io e Raffaele eravamo certi di una cosa, non volevamo trasformare questa storia in un “crime”. Troppo spesso nel mio lavoro di sceneggiatore vedo i soliti schemi narrativi quando si parla di criminalità organizzata, si scomoda il racconto del potere, infondo si glorifica il male. Di solito si scelgono altri modelli narrativi per una storia come questa: Amleto, Riccardo III. Figli illegittimi che sognano il trono, storie di vendetta… Abbiamo cercato di lavorare su due piani, da una parte il racconto oggettivo, esteriore, dall’altra il racconto emotivo, entrando nella testa (letteralmente) dei personaggi. Sono i piccoli sprazzi di umanità, dettagli come un pupazzetto giocattolo, a dare quel senso di vicinanza che rende insostenibile il racconto della violenza.

  • A livello grafico hai fatto una scelta precisa riguardo ai colori perché la palette ha ruolo attivo all’interno della storia e cambia in base alla fazione della faida. Da dove viene questa scelta?

Ecco, se ci sono tante scelte sulle quali io e Raffaele non sappiamo prendere la paternità, quella del colore so per certo che non è mia! Mi fido ciecamente di Lele, e lui ha lavorato con Riccardo Pasqual per trovare una palette che dividesse le parti in gioco e i piani narrativi. Io ho collaborato nello scegliere quella che ci convinceva di più, ma sono davvero felice che ci fossero Lele e Riccardo al volante del colore!

  • Anche l’ultima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. Hai altri progetti in cantiere? Lavorerai ancora con Raffaele?

Con Raffaele è nata una collaborazione, un’amicizia, un matrimonio. Stiamo lavorando a nuovi progetti che speriamo presto di svelare, certo posso dirvi che in Raffaele ho trovato il co-autore che cercavo da tanto tempo.

Ringraziamo i due autori che si sono prestati a questa intervista doppia e voi per averci letto, ci rivediamo il mese prossimo!

Carle vs. Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti.

Questo mese vi portiamo in Francia, per ammirare da vicino una lontana, ma sempre affascinante questione sulla Gioconda. Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso in Per amore di Monna Lisa, hanno percorso la vita di Vincenzo Peruggia, l’operaio del Louvre che rubò la Gioconda per riportarla in Italia. A parlarne con me ci sarà lo sceneggiatore Marco Rizzo, mentre da una banda di cefali trovate l’intervista al disegnatore Lelio Bonaccorsi.

  1. Ciao Marco, benvenuto su Tararabundidee. La prima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. Tu e Lelio avete già lavorato insieme in passato. Com’è nata la vostra collaborazione e come organizzate il vostro lavoro?

Ormai più di quindici anni fa io ero un professore alla Scuola del Fumetto di Palermo… e Lelio era uno dei miei allievi più promettenti. Presto siamo diventati amici (nonostante lui si addormentasse in classe – ovviamente perché disegnava tutta la notte) e gli ho proposto di collaborare inizialmente ad alcune storie brevi pubblicate online, agli albori dei webcomics. Poco dopo è arrivata l’opportunità di lavorare insieme a Peppino Impastato – Un giullare contro la mafia per Beccogiallo e da lì è iniziata la nostra collaborazione.

Anche se il nostro lavoro rientra nella classica ripartizione dei ruoli, cioè io invio una sceneggiatura e Lelio la interpreta con i suoi disegni, dopo anni di collaborazioni continuiamo a confrontarci, specialmente nella fase iniziale in cui decidiamo su cosa lavorare o come impostare l’opera. Ormai è un confronto continuo, lui sulla mia sceneggiatura, io sui suoi disegni, cercando di migliorarci a vicenda.

  1. Per amore di Monna Lisa racconta di un fatto di cronaca avvenuto nel 1911, il furto della Gioconda da parte di un immigrato italiano che voleva riportarla in Italia, il paese a cui credeva che appartenesse. È una storia che mescola fiction e fatti reali, diversa quindi da quelle a cui avete lavorato insieme in precedenza. Perché avete scelto proprio questa storia e da dove nasce l’idea di raccontare dal punto di vista del ladro?

Volevamo da tempo provare qualcosa di diverso, scrivere e disegnare una storia in un’ambientazione per noi nuova e che non fosse né la classica biografia né un’opera di graphic journalism. A riprova di quanto dicevo sopra, l’idea è stata proposta da Lelio, che conosceva questa vicenda meglio di me. Quando l’ho approfondita, me ne sono innamorato, poiché bizzarra ma reale, poco nota nonostante epocale.

  1. Quanto è stato complesso ricercare notizie su Vincenzo Peruggia e anche su tutte le altre persone coinvolte nel leggendario furto, compresi Picasso e Apollinaire? Come avete fatto a creare questi personaggi storicamente esistiti e portarli in un fumetto?

Nonostante quanto scrivevo sopra, c’è una vastissima produzione su questa vicenda, tra documentari, podcast, libri, siti dedicati. In particolare ci è stato utile il lavoro di ricerca dell’Archivio Storico di Firenze, ricco di documenti, carteggi e foto, e liberamente consultabile. Sul “come”… be’, come sempre, cercando compromessi con la Storia quando necessario e rispettando i personaggi, studiandoli quanto possibile nelle loro caratteristiche.

  1. Il furto di Monna Lisa da parte di Vincenzo Peruggia è più un atto politico che criminale. Dopo essere stato arrestato, infatti, Vincenzo Peruggia viene celebrato come un eroe in Italia e come un criminale da quattro soldi in Francia. Qual è il tuo rapporto con il protagonista e da che parte ti schieri?

Non mi schiero perché sono un narratore, in questo caso più che in altri super partes. Peruggia commise un reato, in maniera anche un po’ rocambolesca, e questo è un dato di fatto. Sul perché lo abbia fatto, proviamo a ipotizzarlo con questo libro. Lascio ai lettori decidere per chi schierarsi… anche se dopo 110 anni io lascerei perdere le tifoserie!

  1. Nonostante le piccole dimensioni, la Monna Lisa è un quadro leggendario e circondato da sempre da miti, leggende e rivalità. Dall’enigmatico sorriso a questa paternità divisa tra Francia e Italia. Perché, secondo te, tra tutti i quadri di Leonardo, questo dipinto è diventato così emblematico? C’entra qualcosa Peruggia?

Sì, proprio così, grazie a questa vicenda la Gioconda finì sui giornali di tutto il mondo guadagnandosi ancora più mistero. È una delle conseguenze di cui trattiamo nel volume.

  1. Per amore di Monna Lisa mescola continuamente il piano della realtà con quello della finzione. Che ruolo svolge per te l’immaginazione e quanto è importante nella tua creazione artistica?

Venendo da una formazione giornalistica, quando scrivo cerco di lasciare poco spazio all’immaginazione e anche in storie come questa, pur prendendomi delle libertà, cerco sempre di riportare tutto alla realtà. Ci sono dettagli che noteranno in pochi (ad esempio, indirizzo, dialoghi sui trascorsi dei personaggi etc) ma che per me ancorano il tutto al contesto. Poi sono un grande appassionato di fumetti e di super eroi in particolare (e ci lavoro pure) ma per me le storie migliori sono quelle che in un modo o nell’altro ci aiutano a capire la nostra realtà.

  • 7. A livello grafico il fumetto è ricco di riferimenti al Liberty e all’Art Decò, che erano le correnti artistiche prevalenti ai primi del ‘900 a cui però nessuno dei protagonisti sembra essere interessato, tutti presi dall’arte classica e dalla Monna Lisa, come mai avete deciso di impostare i disegni in questo modo?

Risponderebbe meglio, ma credo sia stato naturale perché automaticamente connotava il contesto storico. I protagonisti non ne sono toccati più di tanto perché per loro quello è il “contemporaneo” e vivono immersi nei classici che riempiono il Louvre. Eppure, quando un gendarme si trova davanti a un’opera di Picasso, nel libro, la chiama “schifezza”… perché a volta ci vuole del tempo per interpretare un’opera, anche se figlia della sua epoca.

  • 8. Anche l’ultima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. Hai altri progetti in cantiere? Lavorerai ancora con Lelio?

    Stiamo lavorando da tempo a un progetto molto ambizioso ma che sta avendo una lunga fase di preparazione. Prima o poi arriverà, così come prima o poi torneremo a lavorare a dei reportage a fumetti con Feltrinelli. 

    Letture Arcane – Febbraio ’23

    Due cose sono certe a febbraio: la festa degli innamorati e la sessione invernale, entrambe spine nel fianco. Ci poteva essere una sola carta adatta per questo mese, ed è un arcano maggiore, una delle mie preferite, signore e signori:

    La papessa

    Ci può essere qualcosa di più arcano della Papessa? Forse no. Nella traduzione inglese questa carta riporta il nome di Grande Sacerdotessa, che mi perplime, perché secondo me è proprio Papessa il nome giusto. Una figura che va a rompere completamente gli schemi e a prendersi un titolo che non è mai stato concesso a nessuna donna, quello di capo della Chiesa. In realtà questa carta trae origine da quella che si è fatta passare come una leggenda (anche se nessun* ha mai dimostrato il contrario), legata alla Papessa Giovanna, che ha pontificato tra l’855 e l’857 con il nome di Giovanni VIII, scoperta poi per colpa di una gravidanza e allontanata dal seggio pontificio. La Papessa delle carte è la figura più misteriosa tra gli arcani, assisa su un trono è posta davanti a una tenda, un velo, cosa ci nasconderà dietro? Non solo mistero, la Papessa è anche una carta che esprime purezza, da sempre associata alla verginità (anche alla Madonna) e non si accompagna con nessuno. Vive una solitudine scelta, ponderata, che le serve per raggiungere i suoi obbiettivi, studiosissima, la Papessa è profondamente legata alla vita studentesca e infatti viene sempre rappresentata con un libro o nella versione moderna del mio Modern Witch Deck con un PC.

    Che cosa nascondo? Che cosa devo studiare?

    Queste sono le domande che si pone questa carta e che dovremmo farci tutt* in questo periodo. La Papessa è la prima donna del mazzo, che tiene dentro di sé tantissime cose, è la carta dell’accumulo, ma non a livello materiale. L’accumulo della Papessa è tutto spirituale, lei ci invita a guardarci dentro: anche noi abbiamo accumulato tanto, molto spesso abbiamo tenuto dentro verità scomode, segreti, sentimenti che non riusciamo a esprimere e che probabilmente non vogliamo dire. Questa è una carta che non solo ha scelto la solitudine, ma sceglie anche il silenzio. Molto spesso evitare di affrontare le situazioni, girarci intorno, ci sembra il modo più facile e indolore per venire a capo di alcuni problemi, ma tutto questo accumulo ci farà bene? Vi ho già detto che questa carta parla anche di verginità, ma non stiamo parlando solo dell’ambito sessuale. La Papessa custodisce delle verità, rimane ferma nelle sue convinzioni, è fredda, rigida, educata e niente e nessun* riesce a contaminare le sue idee, né può farle cambiare idea. Questa chiusura totale verso l’esterno ci rende però insensibili e anche se in un primo momento la solitudine ce la siamo scelta, il confronto è sempre fondamentale, solo gli stupidi non cambiano mai idea e la Papessa tutto è, tranne che stupida. Lei studia, ricerca, s’informa, pur essendo la carta della verginità è in continua gestazione, perché lei produce idee, crea, scrive, disegna e dà vita a progetti, costruendo i suoi sogni.
    La Papessa è anche la carta che si lega al concetto di matriarcato, di un nuovo ordine sociale che deve andare a scardinare lo status quo, questa figura che non è mai esistita storicamente, vuole comunque il suo posto e acclama il potere.

    “Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost” andate, studiate, create.

    Cosa leggiamo?

    Oltre la periferia della pelle, Silvia Federici, D Editore.

    Studio, storia, femminismo, sono le parole chiave di questa carta, ma anche degli scritti di Silvia Federici. Se non l’avete ancora fatto vi prego di recuperare Calibano e la strega, un’opera fondamentale che attraverso una disamina storica dal Medioevo arriva fino ai giorni nostri per spiegarci come il patriarcato ci ha privato sempre di più della libertà e come il capitalismo ha colpito più di tutti le donne, andando a completare quello che la critica al capitalismo non aveva mai preso in considerazione. Seguito di Calibano, Oltre la periferia della pelle parla di corpi e di come le istituzioni e il capitalismo controllano i nostri corpi. Federici delinea anche in questo caso una storia puntuale che ci fa mettere in discussione ciò che sappiamo e anche ciò in cui crediamo fermamente.

    Cosa guardiamo?

    Little Fires Everywhere (Miniserie)

    Per scegliere questa serie ci si è concentrate soprattutto sul concetto del matriarcato, con queste due madri (interpretate da Reese Whiterspoon e Kerry Washington) veramente diverse da loro, chiuse in visioni antitetiche: la prima è una working mom con la famiglia perfetta da Mulino Bianco, la seconda una mamma single, artista, con un’unica figlia per cui ha fatto veramente di tutto. Riflette l’essenza di essere madri ma anche donne con i propri bisogni (con una versione di “Bitch” pazzesca che ricordo ancora a distanza di tre anni) e risponde a un’altra domanda che ci pone la Papessa: cosa nascondono le protagoniste? Aver seppellito il desiderio di poter essere qualcosa di più, relazioni passate, collaborazioni segrete o molto altro che potrebbe metterle in serio pericolo? A voi scoprirlo.

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