Un altro anno è passato e, come al solito, è tempo di ricordare (o, nel mio caso, di tornare indietro il più possibile su Tv Showtime) tutte le serie passate sugli schermi in questi 12 mesi, tra vecchie, nuove, rinnovi e finali, e decidere quali vale la pena ricordare: per me è sempre il remake de La scelta di Sophie ma, con fatica e dedizione, sono riuscita anche quest’anno nell’impresa.
Heartstopper

Tratta dall’omonimo webcomic di Alice Oseman (ora anche serie di graphic novel), si racconta la storia d’amore tra due ragazzi, Charlie e Nick; uno dei pochi gay dichiarati della scuola il primo, gentile e popolare giocatore di rugby il secondo. Dall’inizio sembra una storia impossibile, persino per un’amicizia: ma in otto puntate si arriva a una riflessione profonda sulla sessualità, senza drammoni da soap opera ma esplorando sentimenti ed emozioni reali. Rispetto alla controparte di carta qui si ha la possibilità di approfondire le storie dei personaggi cosiddetti “secondari”, che meritano assolutamente sia per l’interpretazione che per la rappresentazione di varie realtà della comunità LGBTQ+.
Una storia dolcissima, da vedere tutta d’un fiato.

How I met your father
Vi vedo alzare gli occhi e iniziare a chiudere la pagina. I reboot/sequel/spin off non sono mai visti bene, specie di una serie importante com’è stata How I Met your Mother. Ma provate a lasciare da parte la tabella dei confronti, a dimenticare le aspettative e a cercare di ritrovare gli stessi identici personaggi in dei nuovi interpreti: questo improbabile gruppo di sei, capitanato dalla romantica Sophie (narratrice e protagonista, interpretata da Hillary Duff e Kim Cattrall) è unico, eterogeneo e con molte cose da raccontare sull’essere giovani a New York nel 2022. La chimica tra di loro è da subito percepibile, il mistero sul padre è leggermente più fitto e richiama subito alle prime puntate e ci sono degli omaggi alla serie madre che vi stupiranno e vi faranno commuovere. Con queste premesse dategli una possibilità e non ve ne pentirete.
House of the Dragon

Anche qui meglio evitare un confronto con la serie madre, soprattutto sapendo come quella sia andata a finire. Varrà quindi la pena iniziare questa serie incentrata sulla dinastia del Drago, sulle loro tradizioni, sulle lotte di potere per quel trono che è ancora al massimo dello splendore? Per me lo è stato: già dalle prime puntate si sente un ritorno a quella sceneggiatura distesa, che si prende tutti i tempi per mostrare un mondo e dei personaggi che non ci sono familiari, ma con omaggi a elementi che ci fanno ancora tremare dall’emozione. Per me è stato come decidere di ritornare in un luogo che mi ispirava tanto ma che per cause esterne mi aveva fatto schifo la prima volta che c’ero andata: una sensazione di dèja-vu e di novità unite alla voglia di fare le cose diversamente. Per ora il viaggio è piacevole quindi me lo godo: in caso contrario stavolta diamo noi fuoco a Westeros.
The Bear

Una delle serie rivelazione dell’anno e ha ben ragione di esserlo. Carmy, ragazzo prodigio dell’alta cucina, ritorna a Chicago per gestire la fatiscente paninoteca di famiglia dopo il suicidio del fratello maggiore, cercando allo stesso tempo di elaborare il lutto. Una serie che crea dipendenza e di dipendenza se ne parla parecchio: dalle pasticche, dall’alcool, da quella cucina che diventa la tua casa, da quella brigata che diventa la tua famiglia, dall’ansia che scaturisce da ogni semplice comanda e dalla scansione delle ore del servizio. Pensiamo che programmi come Masterchef o Hell’s Kitchen ci abbiano abituati alla realtà, ma è qui che si vede, anche se in modo coreografato, il vero mondo della cucina; sporco, veloce, rude, ma anche pieno di rispetto, di passione e creatività.
Boris 4

Nonostante abbia una storia di tre stagioni e un film a precederla, questa nuova stagione di Boris è un inedito sotto alcuni punti di vista: non si fa più critica alla possibilità di una tv diversa, ma di una serialità. Il nemico non è più la Rete, ma la Piattaforma con il suo crudele Algoritmo che cerca la diversità omologando tutti i prodotti, tra rappresentazione e amori teen; le frasi motivazionali (“dai, dai, dai”) in inglese sono percepite come frasi che non si possono dire, ci si chiede se “a merdu” sia accettabile per rivolgersi agli stagisti e si deve stare attenti a non avere caccolette negli occhi o sono guai!
Di uguale c’è la genialità di alcune battute che hanno ancora lo stesso spirito, nonostante siano passati dieci anni, e che sono destinate a diventare nuovi tormentoni (“Lo dimo” il nuovo “F4”); ma anche di alcuni attori che rimangono fedeli alle loro controparti (nonostante alcuni risultino più macchiettistici), tra tutti Corrado Guzzanti con le sue improvvisazioni senza sbavature e che portano a farti stare male dal ridere.
Alcuni della troupe non sono più tra noi (Daje cor vino, Itala, sempre), sia nella finzione che nella realtà, portando a un livello ancora più estremo il gioco della metavisione, alla base del progetto, dando vita a uno dei saluti più belli e sinceri visti sullo schermo.
Le serie non scadono (i recuperoni)
Cougar Town

Una serie adatta agli orfani di Friends e Scrubs in cui Monica Geller si è reincarnata in Jules Cobb, una quarantenne fresca di divorzio che decide di rispolverare la sua vita amorosa con accanto il suo nucleo familiare disfunzionale che comprende il figlio adolescente Travis, l’ex marito Bobby, il vicino di casa cinico Grayson e le sue amiche più care, Laurie, giovane assistente che cerca di motivarla in questa rinascita, ed Ellie, praticamente una seconda Jordan Sullivan, anche lei reincarnata in questa neomamma di una piccola cittadina in Florida (anche se il marito Andy non è per niente come Cox fisicamente ma ugualmente esilarante).
Le risate sono garantite così come il vino (e gli innumerevoli recipienti di dubbia capacità in cui berlo)!
E anche per quest’anno diciamo addio a un paio di serie poco amate, ovvio
Farewell to…
Grace and Frankie

Di cosa parla questa serie già lo sapete se avete consultato le Letture Arcane di Novembre (se non lo avete fatto, aggiornatevi qui!): ho faticato a vedere la seconda parte della stagione finale perché non avevo assolutamente voglia di staccarmi dal mondo di queste due nemiche-amiche, talmente folli da decidere di vivere insieme nonostante siano agli antipodi e smettano di parlarsi almeno una volta al giorno. Ma il loro viaggio doveva concludersi e lo ha fatto nel migliore dei modi, affrontando come ultimo nemico quello che prima o poi tutti dovranno affrontare e che ci separa inevitabilmente dalle persone amate: la Morte. Lo hanno fatto mixando commedia e drammaticità come Grace prepara i suoi Martini o Frankie utilizza i pennelli, in equilibrio perfetto ma facendo trasparire una sorpresa amara. Tutti i personaggi, compresi i figli e gli ex mariti, dopo aver fatto i conti, sei anni fa, con la fine delle loro vite apparentemente perfette, devono vedersela con nuovi inizi. E non sempre è una scelta facile da compiere.
This is Us

Di questa serie ho parlato per ore, sono diventata come una predicatrice che vuole convincere la gente a convertirsi.
Ho raccontato, a chiunque volesse ascoltarle, le vicende della famiglia Pearson, di Jack e Rebecca alle prese con il loro ruolo di genitori di tre figli: Kate e Kevin, gemelli biologici nati da un parto plurigemellare (a cui il terzo gemello non è sopravvissuto) e Randall, neonato afroamericano che sarà adottato dalla coppia in ospedale; diversissimi tra loro ma incredibilmente uguali nelle loro paure e nelle loro ansie.
Ho vissuto con loro le festività (soprattutto il Ringraziamento), gli amori, i drammi, le dipendenze che questa famiglia ha attraversato negli anni, attraverso cliffhanger misuratissimi e mai banali e la sovrapposizione di più piani temporali, innovazioni che hanno elevato questo family-drama, facendolo diventare unico nel suo genere.
Ho fatto il tifo per tutti i personaggi che si sono aggiunti a questo piccolo nucleo; alcuni sono entrati subito nel mio cuore, altri hanno faticato per essere apprezzati, altri ancora non mi hanno mai toccato profondamente. Nessuno è perfetto dentro questa serie, nemmeno quest’ultima stagione è stata perfetta: un po’ disomogenea, con alcuni tempi morti e il fiatone per recuperare pezzi perduti l’anno prima a causa della pandemia, ma anche piena di momenti intensi e di viaggi simbolici e non.
Ma non è così che sono le persone reali? Non è così che va la vita? Uno straordinario caos che ci insegna, parafrasando una delle frasi più belle di questa sesta stagione, che il mondo non deve fermarsi per le cose brutte che ci accadono, non importa quanto paralizzanti siano, perché sarebbe tutto buio: deve continuare a girare così da poter trovare uno spiraglio di luce dall’altra parte della porta.
Per me questa serie è stata davvero un faro in questi sei anni: spero che sia lo stesso anche per chi la inizierà ora.