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tararabundidee

"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."

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Tararabundidee feat. Tra le righe: LIBRI DI NATALE.

Natale è qui, le lucine, i babbi natale, il rosso, l’oro il cibo: siamo tutti prontissimi a festeggiare anche quest’anno il periodo più luccicante che ci sia. Per concludere al meglio quest’anno ho lasciato alle mie magiche libraie che ogni mese da un bel po’ ci fanno compagnia, la libertà di proporre un consiglio di Natale per tutti voi, fedelissimi lettori.

Quindi se siete in alto mare con i regali o volete proprio gustarvi un buon libro in queste feste, ecco due consigli per voi:

Il consiglio di Claudia:

Cari lettori, per questo Natale non posso fare altro che consigliarvi un libro meravigliosamente dolce, che mi ha lasciato un senso di speranza e mi ha fatto sentire davvero felice: Quel che si vede da qui di Mariana Leky, edito da Keller.
Un libro che parla di morte, di amore e di vita. Non sembra molto originale, vero? E invece l’autrice riesce a trattare questi temi triti e ritriti con una voce fresca, senza mai risultare banale né perdere profondità. È la storia di Selma, che può predire la morte anche se non sa dire con precisione a chi toccherà, di sua nipote Louise e del suo divenire donna, ma è anche la storia di tutti gli altri abitanti di questo fiabesco paesino della Germania, dell’ottico da sempre innamorato di Selma e della superstiziosa Elsbeth che ha un rimedio per ogni male. Questo bellissimo libro parla soprattutto di cosa ci rende umani. È una fiaba per adulti delicata ed ironica e io ve la consiglio con tutto il cuore.

Il consiglio di Paola:

Sylvie Schenk, Veloce la vita, Keller editore.
Cosa rende un libro prezioso, a tal punto che vorresti consigliarlo a tutti? Il romanzo che sto per proporvi risponde a questa caratteristica: non vi si raccontano storie straordinarie e mirabolanti avventure, ma una vita di ragazza e poi di donna che, come leggiamo nel titolo, scorre veloce, eppure densa. Lieve e dolente, sempre interessante nella sua semplicità, bella perché umana, forte e intensa. Siamo negli anni del dopoguerra, e da un piccolo paese in mezzo alle montagne la nostra ragazza si trasferisce a Lione per studiare: ha inizio così per lei l’apertura al mondo, alle idee che rendono una persona libera e unica, a una emancipazione prima di tutto interiore, alla conoscenza di amici e agli amori. Ce ne saranno di importanti, e la porteranno lontano. Ma senza svelare nulla del filo di un racconto lungo una vita, mi soffermo sulla scrittura bellissima di Sylvie Schenk, che riesce ad essere sempre intima, contenuta, profonda e coinvolgente… cosa aggiungere per convincervi a leggerlo?

Noi libraie di Tra le Righe abbiamo scelto per questo mese di dicembre due romanzi pubblicati dalla Keller editore, con l’idea di suggerire un legame nel lavoro di selezione accurata di una casa editrice e di una libreria indipendenti. Buone letture!

E con questo ultimo post del 2019, Tararabundidee e le libraie vi danno appuntamento a tanti nuovi consigli, polemiche, liste etc. etc. nel 2020!

Tararabundidee feat. Tra Le Righe – Ep. 18: La saggezza.

Come ogni mese, ritornano le libraie di Tra Le Righe a farci compagnia e stavolta tocca a Claudia che ci racconta un libro legato al tema della saggezza, della sapienza insomma qualcosa che si matura con tempo ed esperienza e che fa vivere meglio, forse.

Cari amici di Tararabundidee, quando la nostra Carla mi ha chiesto di scrivere una recensione su un libro che trattasse il tema della saggezza ammetto di essermi trovata un attimo in difficoltà, sembrava proprio che io non fossi in grado di richiamare alla mente un solo titolo con questa caratteristica. Poi, mentre sistemavo la pila delle ultime letture è arrivata l’illuminazione: perché non parlare de L’educazione di Tara Westover

Non si tratta di un romanzo ma di un memoir, tutto ciò che viene raccontato è successo davvero e al solo pensiero mi viene la pelle d’oca. Tara ha avuto un’infanzia dura: è nata in casa, da una famiglia che non crede nel sistema sanitario, non ha mai preso un’aspirina né è mai stata vista da un medico; non è iscritta all’anagrafe e non va a scuola, a undici anni invece, inizia a lavorare nella discarica del padre. No, Tara non è nata all’inizio del secolo scorso, come si potrebbe immaginare da questa breve descrizione, è nata invece nel 1987 in Idaho, Stati Uniti, in una famiglia di mormoni. L’autrice ci racconta le varie tappe della sua vita senza risparmiarci i dettagli più crudi: la violenza fisica e psicologica, la sottomissione, l’impossibilità di mantenere i legami familiari e allo stesso tempo rompere con la religione e le sue regole. Tara non è fatta per vivere come la madre, ignorante e sottomessa in tutto al marito, sente che c’è qualcosa che le sfugge, qualcosa che non sa e che invece vorrebbe sapere. Lei ha diciassette anni e non ha mai messo piede in un’aula scolastica ma capisce che è quello il punto di partenza per emanciparsi, e allora contro la volontà del padre si iscrive all’università e da quel momento non ha più smesso di studiare.

Ciò che emerge potentemente è la difficoltà che chiunque di noi ha nel distaccarsi da quello che ci viene insegnato fin da piccoli, per provare a guardare il mondo con occhi nuovi, per crearci una nostra personale opinione sulla realtà; la verità è data dalle sfaccettature, non dall’assolutezza e dall’imposizione di un’univocità, questo Tara l’ha capito attraverso i libri ed è qui che sta la sua saggezza secondo me.

Noi vi ricordiamo che potete leggere tutti i consigli delle libraie a questo link, se avete temi da proporre, dubbi, perplessità, chiedeteci e le libraie risponderanno, fino ad ora, a 18 temi, non si sono mai fatte trovare impreparate quindi sentitevi liberi.

Tararabundidee feat. Tra Le Righe – Ep. 17: Addio, addio amici addio.

Nuovo appuntamento con la recensione delle libraie a cui stavolta ho sottoposto il tema dell’addio, dei saluti, insomma. Non una cosa piacevolissima, perché gli addii non sono mai piacevoli, implicano sempre un cambiamento di stato, una rottura degli equilibri creati. Quindi in questo clima torrido ed estenuante, noi vi lasciamo al consiglio della libraia Paola che sul tema ci dà il suo parere di un classico: Il Ballo di Irene Nemirovsky.

Irène Némirovsky, Il ballo, Adelphi (trad. Margherita Belardetti). Scritto nel 1928, pubblicato nel 1930

«La signora Kampf entrò nello studio chiudendosi la porta alle spalle così bruscamente che tutte le gocce di cristallo del lampadario, mosse dalla corrente d’aria, tintinnarono d’un suono puro e leggero di sonagli.»

Già nelle prime righe è condensata tutta l’essenza di un racconto che si snoda breve nella sua perfezione, come solo la mano di una grande scrittrice è in grado di fare. C’è dunque una donna dal carattere imperioso, con un cognome duro, in una casa certamente lussuosa. E c’è, poi, una figlia adolescente, Antoinette, che viene letteralmente invasa dalla presenza ingombrante, spigolosa, incapace di amore della madre. La signora ha, con il marito, una sola esigenza impellente: entrare nel mondo dorato della Parigi bene, essere riconosciuta e farsi riconoscere. Bisogna assolutamente costruirsi un’impalcatura fatta di niente con la ricchezza arrivata grazie a un colpo di fortuna, negli scintillanti anni venti dove la musica, i balli, i ricevimenti e il benessere esternato e mostrato come merce al mercato sono il miglior biglietto da visita per il paradiso. Ma in una famiglia, al di là delle apparenze, si possono covare risentimenti, frustrazione, sentimenti di vendetta, rabbia. Bisognerà salutare le aspirazioni più rosee di scalata sociale, dire addio anche alla complicità di una coppia che si regge sul filo del denaro per vedere realizzata la soddisfazione di una ragazza esclusa, messa all’angolo, come se fosse solo parte della tappezzeria. Il prezzo da pagare è alto, però: nel disprezzare la meschinità del mondo adulto, Antoinette finisce per dover salutare l’ingenuità, i sogni di fanciulla, e cadere nel baratro insieme alla famiglia. Un addio doloroso e tanto più profondo, quello che la Némirovsky ci offre, perché condensato in pochi tratti e poche pagine, dove le scene, gli oggetti e i personaggi rimangono incisi e impressi con pennellate d’artista.

Paola Mastrobuoni

Tararabundidee feat. Tra Le Righe – Ep. 16: Parigi in fiamme.

Nel mese appena passato ci sono stati tantissimi avvenimenti, ma più di tutti ci ha colpito l’incendio alla cattedrale di Notre Dame. Abbiamo allora pensato di dedicare il tema da proporre alle nostre libraie proprio qualcosa che avesse a che fare con incendi, fuochi e Parigi. All’appello ha risposto Claudia, la new entry del sodalizio che ci lega alla libreria Tra le righe.

Lei ci parla di un autore classico francese, Zola, con L’Assommoir.

“Parigi, tutt’intorno, dispiegava il suo fosco manto, immenso, azzurrastro all’orizzonte, e i suoi profondi avvallamenti, dove ondeggiava una marea di tetti; un’atmosfera d’angoscia, dense nuvole color dame adombravano tutta la Rive Droite; e dal bordo di queste nuvole, dalle loro frange d’oro, balenava un raggio di sole, che rischiarava le mille finestre della Rive Gauche in un’esplosione di scintille…”

Quando pochi giorni fa gli schermi dei nostri televisori e le prime pagine dei giornali hanno riportato le immagini della cattedrale di Notre-Dame in fiamme, siamo rimasti tutti sconvolti; il simbolo di una delle più importanti capitali europee, Parigi, divorato dal fuoco, sembra quasi voler dire che nella nostra società l’arte e la cultura non sono più considerate un bene prezioso per l’umanità.

Parigi è stata per anni, nei secoli passati, patria e rifugio di innumerevoli letterati, pittori e pensatori: lì hanno visto la luce opere straordinarie  come Guernica, i romanzi di Hemingway e i versi dei poeti maledetti. Ma non è di questa Parigi che voglio parlare oggi: lontano dagli Champs élysées e dai Grands Boulevards, alla periferia nord della città, c’è un piccolo quartiere, la Goutte d’Or, che ha ispirato uno dei più bei romanzi della letteratura francese: L’assommoir, di Emile Zola. Qui, tra i marciapiedi fangosi di boulevard Poissonière e le grida delle lavandaie in boulevard de la Chapelle, vive Gervaise, una ragazza di ventidue anni appena, con già due figli da accudire e un marito fannullone. Si trova a Parigi da poco tempo ma il suo sogno di lasciarsi alle spalle la miseria della provincia si è già infranto, ben presto il marito la abbandona per un’altra donna e lei è costretta a spaccarsi la schiena facendo la lavandaia, le mani rosse e gonfie per l’acqua gelata. Gervaise non si dà per vinta, finalmente incontra Coupeau, un uomo onesto, perbene, così diverso dal padre dei suoi figli e dagli altri uomini che vanno a bersi lo stipendio all’Assommoir, la bettola della Goutte. Dopo il matrimonio con Coupeau finalmente la vita va per il verso giusto e Gervaise corona il suo sogno: avere la sicurezza di un tetto sopra la testa e un piatto caldo che la aspetti la sera; dopo anni di stenti apre una lavanderia tutta sua, non ha più padroni e si gode la vita.  Ma la vera natura dell’uomo, animale corruttibile e vizioso fa prepotentemente capolino quando Coupeau s’infortuna e dopo aver perso il lavoro inizia a passare le giornate all’assommoir, inebetito dall’alcol.

“Lo scannatoio si era riempito. Sbraitavano, cacciando certe urla che squarciavano il gracchio catarroso delle voci rauche. Ogni tanto qualche pugno sul bancone faceva tintinnare i bicchieri. Tutti in piedi, con le mani incrociate sulla pancia o serrate dietro la schiena, i bevitori facevano drappello, ammassati gli uni sugli altri; diversi gruppi, vicino alle botti, dovevano aspettare anche un quarto d’ora prima di farsi servire da Colombe.”

Da qui in poi la famiglia di Gervaise scivola sempre più nel degrado e nella disperazione, nessuno viene risparmiato, neanche Nana la piccina della famiglia (protagonista di un successivo romanzo di Zola), che vediamo battere i marciapiedi e tornare a casa solo per rubare i pochi spiccioli della madre. Non c’è mai stata speranza di salvezza per questa famiglia, chi nasce nel fango, muore nel fango. Il libro è un affresco dettagliato della miseria dei sobborghi parigini della metà del 19esimo secolo, all’occhio osservatore di Zola non sfugge niente e cosi come lo vede ce lo racconta in ogni terribile dettaglio.

Comparso per la prima volta come romanzo a puntate nel 1876 , l’Assommoir viene accolto negativamente dalla critica e dal pubblico per il modo dissacrante in cui viene trattato il problema dell’alcolismo nella classe operaia francese e per l’uso dell’argot, il dialetto parigino, nei dialoghi. La risposta di Zola alle critiche è lapidaria ed attuale : Chiudete le bettole, aprite le scuole. L’alcool divora il popolo. L’uomo che saprà eliminare la piaga dell’alcolismo, farà per la Francia più di Carlo Magno o di Napoleone

Un romanzo tremendamente meraviglioso che entra dritto nel cuore di chi lo legge, a mio parere è uno dei più grandi capolavori della letteratura francese.

Questo è il consiglio di Claudia Fanelli estremamente azzeccato, noi vi proponiamo la lettura di Eroi e Meraviglie del Medioevo di LeGoff. Che c’entra direte voi: c’è un bellissimo spazio dedicato alle cattedrali, ovviamente a Notre Dame e in molti casi è citata Parigi… tanto le fiamme ce le hanno messe gli altri.

Tararabundidee feat. Tra le righe, ep. 15: La Maschera

Carnevale quest’anno è arrivato ai primi di marzo. È una festa sicuramente divertente, gioiosa, ma è anche la festa in cui da sempre è avvenuto un capovolgimento, si dà vita a un particolare gioco delle parti e per quei giorni tutti possono essere quello che vogliono. Non ci sono ruoli, né regole, si può fare tutto. In molti casi però le maschere servono anche per nascondersi, per non far vedere chi si è e per agire indisturbati.

Insomma, il tema della maschera è da sempre legato a quello dell’identità ed è stato sfruttato ed utilizzato in tutti in modi possibili nella letteratura e ovviamente nel teatro. Abbiamo chiesto alla nostra libraia di Tra le righe, per il libro di marzo, di parlare di qualcosa che avesse a che fare proprio con la maschera e Paola ci parla infatti di Transiti. Secondo libro della trilogia di Rachel Cusk. Il primo libro si intitola Resoconto, ma anche se la protagonista rimane la stessa non è necessario leggerli in ordine.

Rachel Cusk, Transiti, Einaudi 2019 (trad. Anna Nadotti)

«… qualunque cosa vogliamo pensare di noi stessi, non siamo che il risultato di come gli altri ci hanno trattato.»

La letteratura è costellata di interrogativi su chi siamo veramente noi, come appariamo, come vogliamo mostrarci agli altri: un continuo gioco di specchi tra la nostra vera identità e la maschera che ci hanno chiesto di indossare o la parte che ci siamo imposti di recitare. Ed ecco che Carla mi chiede di pensare a un libro su un tale tema, complesso e molto trattato: la scelta è scivolata su un romanzo fresco di stampa, ma anche fresco nella sua originalità di scrittura, piana e profonda. La storia principale – quella di una scrittrice da poco trasferitasi a Londra con i suoi due figli, “in transito” verso una nuova dimensione dopo una separazione – ne contiene molte altre: la protagonista incontra tanti personaggi diversissimi tra loro, con i quali instaura un dialogo talmente intenso da risultare quasi una sorta di seduta psicoterapeutica. Alla fine di ogni racconto o microstoria il personaggio ha gettato la maschera, o almeno ha svelato una parte di sé che rimaneva nascosta e inespressa. Quasi senza volerlo, mossa solo da una curiosità che nasce senz’altro dalla sua professione di cercatrice e narratrice di storie, la protagonista incalza con delicatezza i suoi interlocutori, o viene semplicemente scelta per ascoltare lo svolgersi dei fatti e dei ricordi, le molteplici narrazioni di sé che ognuno di loro decide di raccontare. Che si tratti di un impresario edile, di un ex fidanzato, o di persone che ruotano intorno al mondo della scrittura, tutti aprono squarci di vita passata, spesso dolente, davanti agli occhi della donna, e nel parlare riflettono sui propri comportamenti, raccontano di abbandoni e durezze, ma mostrano anche lati sgradevoli, poco chiari della loro stessa esistenza. Rachel Cusk, attraverso il suo alter ego scrittrice, nota tutto con grande capacità evocativa, uno sguardo, un taglio di capelli, un modo di sedersi o di alzare un sopracciglio. E nello stesso tempo non è mai superficiale, affonda il coltello nelle vite vere delle persone e ci restituisce un quadro composito, inevitabilmente ponendoci domande altrettanto incalzanti su di noi, chi siamo e cosa vogliamo essere.

Paola Mastrobuoni

Qui potete trovare le scorse puntate, noi ci sentiamo il mese prossimo con un nuovo tema per il libro di aprile! Ah… dimenticavo, il libro sul tema che consigliamo l’avvocato ed io è La notte non vuole venire di Alessio Arena, in cui la protagonista Gilda Mignonette, sotto una maschera di fama, bellezza e lustrini nasconde un animo fragile e delicato, mentre la cara Esterina che sembra così anonima e buona darà del filo da torcere alla protagonista.

Tararabundidee feat. Tra le righe, ep. 14: VELOCITÀ.

Febbraio è un mese che passa in fretta. Non solo perché ha 28 giorni di solito ed è quindi per forza di cose il più piccolo dei mesi, ma anche perché forse per sua sfortuna capita dopo gennaio: mese del nuovo inizio, delle nuove cose, delle nuove responsabilità e quindi interminabile.

Abbiamo scelto per questo quattordicesimo episodio del sodalizio che ci lega alle libraie di Tra le righe, la velocità. Qualcosa di breve e fulminante, ma che lasci il segno, un po’ come febbraio. Prima di lasciarvi ai consigli delle libraie, vi lasciamo con una poesia che si sposa bene con questo tema, del poeta turco Nazim Hikmet, Ho vissuto alla velocità dei sogni.

Ho vissuto alla velocità dei sogni
Tra sfavillanti scintille
Ho piantato un albero di susine
Ne hanno assaggiato i frutti

Meno male che ho amato la tristezza
Soprattutto la tristezza che c’è nell’occhio delle pietre
Del mare dell’essere umano
E ho amato la gioia improvvisa

Meno male che ho amato la pioggia
Meno male che sono stato in carcere
Ho amato l’irraggiungibile
In tutte le mie nostalgie

Meno male che ho amato il ritorno.

Il tema per la recensione che ci richiede la nostra amica blogger
questo mese è la velocità. Me lo scrive una notte, Vale, scusa
l’orario, per febbraio direi qualcosa su un romanzo breve, una
raccolta di racconti, insomma, qualcosa che abbia a che vedere con la
velocità. Eh già, febbraio è breve, ti fa patire il freddo, il vento,
i malanni, ma poi passa, passa più velocemente degli altri. E così il
tempo per scegliere un libro e scrivere la recensione è poco, ma lo
sguardo inciampa sulla copertina viola e rosa di un volume della Rive
Gauche, la splendida collana dedicata alla narrativa americana diretta
da Tiziana Lo Porto per le Edizioni Clichy (Rive Gauche è un omaggio
alla libreria Shakerspeare&co.). Clessidra. Meglio la sabbia che
scivola nel vetro piuttosto che il ticchettio di un orologio per
misurare il tempo.

Breve, è breve, e Clessidra sia.
È un memoir, della scrittrice e giornalista americana Dani Shapiro.
Ripercorre gli anni del suo matrimonio con l’amato M., giornalista e
scrittore, avanti e indietro, regalandoci anche momenti dell’infanzia
gioiosa, l’adolescenza infelice che emerge dai diari dell’epoca, il
percorso accidentato verso una maggiore consapevolezza, percorso che
non ha fine mai. Riflessioni, illuminazioni. Il tempo. Il tempo
trascorso a capire se stessi, lunghissimo, frastagliato, contrapposto
alle certezze immediate di quando eravamo bambini, quello che ci
piaceva e che non ci piaceva, le passioni sicure e ferme, repentine.
Il tempo che serve a capire che siamo di fronte ad una persona che ci
resterà vicino, un attimo, e quello che trascorre nel confermarlo, una
vita. Il tempo impiegato tenacemente ad allontanarci da noi stessi,
che si srotola come un infinito gomitolo di lana, e l’attimo in cui ce
ne rendiamo conto, veloce come la forbice che recide la lana. Dani
Shapiro ci fa dono, attraverso la sua esperienza e la sua delicata e
nitida capacità di scrittura di un libro che nella sua brevità è denso
di suggestioni, considerazioni che lasciano l’eco fino a diventare
nostre, spunti per rivolgere quello sguardo dalle sue parole alle
nostre, a quelle che dobbiamo utilizzare per raccontare la nostra
storia, per capire se siamo sulla strada dove dovremmo essere. E, quel
che sembra emergere da questo bellissimo memoir, è che se la strada
non ci risparmia angoli bui, brecciolino dove sbucciarsi le ginocchia,
rami divelti da evitare, ma anche paesaggi dove lo sguardo, a tratti,
trovi pace e meraviglia, allora la strada è quella giusta. Dani
Shapiro cita Wendell Barry, poeta e ambientalista: “Il torrente
ostacolato è quello che canta”
. Certo, bisogna esercitare un orecchio
musicale per saperlo ascoltare, ma è un esercizio alla portata di
tutti, basta solo volerlo fare.

Valentina Mogetta

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