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"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."

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Il caso Innocence, M. Bagnato

Ogni città ha la propria anima, luminosa o meno che sia, che ne pervade ogni viale, ogni cortile, ogni campanile di ogni chiesa. Può gettare ombre o rischiarare le tenebre nelle vite di chi la abita, ma in definitiva è la gente stessa a forgiarla, nel bene o nel male, a renderla quello che è. Ogni città ha la propria anima, ma quella di Emerald Falls era nera come la morte.

Il caso Innocence (Golem edizioni) di Mattia Bagnato è un romanzo duro, che non fa sconti.

Protagonista indiscussa è Clara, una giovane donna che, come scopriremo presto, ha compiuto uno spietato delitto – chi sia la vittima resta un mistero fino alle battute finali – e la cui salute mentale è posta sotto esame. Follia o premeditazione? È questo l’interrogativo che si pone il lettore e, con lui, la dottoressa Page, convocata per stilare una perizia psichiatrica e pronunciarsi in merito: sarà lei che dovrà decretare in quale struttura Clara sconterà la sua pena. Sì, perché a dispetto del nome – Clara Innocence – la nostra protagonista si dichiara colpevole senza mezzi termini, con una lucidità che non lascia spazio a interpretazioni. Eppure, addentrandosi nella sua storia, il lettore non può fare a meno di ritenerla una vittima più che la carnefice.

Il racconto è scandito in quattro fasi – a cui corrispondono altrettante sezioni del testo – che ripercorrono le tappe salienti dell’esistenza di Clara, narrando soprattutto i traumi che ne hanno provocato la progressiva deriva e, apparentemente inevitabile, caduta. A far da sfondo Emerald Falls, una cittadina degradata sulla quale sembra gravare un’ombra che condanna i suoi abitanti al baratro: la sua inquietudine così viscerale ricorda quella di Derry, nata dalla penna di Stephen King, a cui forse Bagnato si è ispirato nel rievocare un’idea di città che diventa parte attiva delle vicende che accadono ai protagonisti. Senza voler entrare nel merito dell’intreccio – originale, complesso e che merita di essere scoperto durante la lettura, con tutta la sorpresa che molti risvolti possono regalare – non si può non evidenziare quanto l’autore sia stato accurato nell’incastrare ogni tassello in maniera coerente e allo stesso tempo sbalorditiva. Per esempio i numerosi comprimari che attraversano le pagine non sono mai figure accessorie, ma giocano sempre un ruolo essenziale nella vicenda di Clara. Sorge quindi spontaneo chiedersi quanto l’ambiente, le circostanze, gli incontri siano determinanti – nel bene o nel male – a imprimere una direzione all’esistenza delle persone. E, ancor di più, sorge spontaneo chiedersi cosa ne sarebbe stato di Clara, di quella bambina piena di sogni e aspirazioni che abita le prime pagine, se la vita non avesse imposto alla sua storia un inarrestabile declino. E non solo per lei.

Forse se avesse avuto degli amici su cui fare affidamento, una famiglia che lo aspettasse oltre quei pesanti cancelli neri di ferro battuto, una casa in un quartiere rispettabile e un cane da portare a spasso al guinzaglio tutte le mattine, allora forse quella libertà tanto agognata e allo stesso tempo temuta non l’avrebbero terrorizzato in quella maniera. Fatto sta che lui non aveva niente di tutto ciò […].

Sono domande a cui il romanzo non fornisce una risposta, lasciando che sia il lettore a formulare la propria ipotesi. Eppure è presente una traccia, un indizio che non si può trascurare: la scrittura.

Clara scrive, e continua a farlo anche quando la vita sembra sempre più simile a una colpa che a un dono. Se la scrittura sarebbe stata la vocazione che l’avrebbe condotta a una vita migliore, se non più bella in assoluto, non è dato saperlo: l’unica cosa certa è che resta l’unica oasi in cui Clara può sempre trovare sollievo.

La scrittura rende liberi, sembra quindi voler concludere Mattia Bagnato, lasciando che una scintilla di speranza rischiari anche la notte più buia.

Carle vs Filippelli & Canestrari

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti. Dopo qualche mese di pausa, siamo ritornate più cariche che mai. Potete leggerci ogni secondo giovedì del mese. Il prossimo appuntamento sarà infatti il 14 aprile!

Per la prima intervista del 2022 abbiamo fatto quattro chiacchiere con Samuele Canestrari e Luigi Filippelli, autori di Un corpo smembrato, uscito lo scorso novembre per Eris edizioni. Si tratta di un’opera in bianco e nero che racconta la storia di Marina: una ragazza divisa tra i turni al supermercato del piccolo paese di provincia dove vive e il suo desiderio di fare la scultrice ed essere libera. Un volume molto particolare, crudo e poetico al tempo stesso, insolito anche nell’allestimento: è infatti un libro smembrato anche di fatto poiché la copertina è stata strappata e sostituita con un poster, lasciando la rilegatura completamente libera e visibile. Qui potete leggere l’intervista a Luigi Filippelli, sceneggiatore del volume mentre per leggere le risposte di Samuele Canestrari dovete viaggiare su una banda di cefali!

  1. Ciao Luigi, benvenuto e grazie di aver accettato questa doppia intervista. Partiamo con una domanda per conoscerci meglio: come hai iniziato a fare fumetti e come è cominciato il sodalizio artistico con Samuele Canestrari?

Come molti ho iniziato da piccolo, disegnavo e scrivevo storie (e anche un’enciclopedia dei dinosauri). Leggevo molto: fumetti, romanzi, epica cavalleresca e manuali per diventare un inventore. Mi è sempre piaciuto esplorare il mondo attraverso i libri.
Ho conosciuto Samuele al festival Ratatà di Macerata, lui era lì con i suoi libri, io con MalEdizioni, la casa editrice che ho fondato insieme a Nadia Bordonali. Ci sono piaciute le sue pubblicazioni, così gli abbiamo proposto di coprodurre il suo libro successivo: Mosto.
In seguito Samuele ci ha inviato Il battesimo del porco, scritto da Marco Taddei, e lì abbiamo collaborato come autore ed editore. In Un corpo smembrato, invece, siamo entrambi autori… spero continueremo con questo trasformismo, provando sempre nuove combinazioni, perché mi sto divertendo molto.

  1. Un corpo smembrato, edito da Eris Edizioni, è un fumetto pervaso da un senso profondo di inquietudine ma anche da una perfetta sintonia tra sceneggiatura e disegni. Com’è stato lavorare con Samuele Canestrari? Vi siete trovati d’accordo nelle varie fasi di stesura?

Quando  ho iniziato a scrivere Un corpo smembrato volevo lo disegnasse Samuele, così ho pensato a una storia che potesse creare una connessione fra di noi, sia a livello di vissuto che di poetica, e che valorizzasse il suo modo di disegnare.
Da subito abbiamo considerato il libro come un oggetto organico e vivo, lavorando entrambi in modo fluido e mandandoci continui rimandi, suggestioni e idee. Frammentavamo la narrazione, spostavamo e modificavamo disegni e parti di testo.
Per poter trovare un equilibrio in questo modo di lavorare c’è bisogno di grande onestà e rispetto reciproco, sono felice che siamo riusciti nell’impresa.

  1. Un corpo smembrato racconta la storia di Marina, della sua vita in provincia e del suo immenso sogno di diventare un’artista, che però si scontra con la precarietà. Quanto c’è di tuo in Marina e in questo fumetto?

Per un breve periodo, intorno ai vent’anni, ho studiato e praticato la scultura, poi ho capito che non era il mio mezzo espressivo. Il vissuto di Marina riverbera con il me stesso dell’epoca, avevo abbandonato l’accademia di belle arti e non riuscivo a trovare una mia dimensione, né creativa né lavorativa. 

L’incubo che apre il libro, invece, è un sogno che ho fatto qualche anno fa a causa di una separazione molto dolorosa. Si tratta della prima sequenza che ho scritto, quella tristezza è stata la scintilla che ha permesso al libro di nascere.

  1. Le prime sequenze del fumetto mostrano un incubo. Qual è secondo te l’incubo più opprimente della protagonista?

Un corpo smembrato parla di perdita dell’innocenza attraverso la disgregazione dei sogni, dell’impatto che la vita adulta può avere con le speranze di una giovane donna.
In questo senso l’incubo più opprimente per Marina potrebbe essere legato all’assenza:
Marina non ha un luogo a cui appartenere, sia la città sia la provincia in qualche modo la rigettano, allo stesso tempo i rapporti con le persone che lei sceglie non funzionano, amanti e amori si rivelano fonte di instabilità e dolore. Il suo percorso artistico non è ancora definito, e non è chiaro se lo sarà in futuro.
Marina può solo sapere cosa manca, non ha un ruolo riconosciuto dal mondo esterno e, non potendosi vedere riflessa negli occhi degli altri, per lei è impossibile riuscire a trovare se stessa.

  1. Marina è costretta a lasciare la città e ritornare nella sua cittadina di provincia. Cosa rappresenta per te la provincia? Crescere in provincia è qualcosa di limitante o piuttosto il contrario?
    Io amo la provincia, soprattutto la bassa bresciana, ruvida e dolce allo stesso tempo, un po’ come tutta la pianura padana. Penso che la provincia possa essere un buon posto per muovere i primi passi, è certamente un ambiente dove si avverte una mancanza di alternative, quindi c’è spazio per portare contenuti e bellezza. Allo stesso tempo la provincia ti tiene ancorato con i piedi per terra, scardina le velleità artistiche, a volte anche in modo brutale.
    Penso che per immergersi nella realtà del nostro paese sia necessario attraversare la provincia, ma la provincia da sola non basta. Bisogna anche uscirne, andando alla ricerca di festival, connessioni con altri artisti, spazi culturali indipendenti, pensieri e culture diverse… tutto questo per poi tornare in provincia, portando con sé quanto si è appreso. 
  1. Come mai avete scelto di dare una forma insolita anche a livello materico, sconvolgendo il volume stesso? Quanto è stata complessa la realizzazione di questo smembramento dal punto di vista tecnico?

Il libro non ha una copertina, perché tutte le copertine sono state ricavate da fogli di recupero e strappate a mano, non si tratta di una scelta estetica ma di un gesto di smembramento, necessario al libro perché aggiunge un livello alla narrazione, facendola diventare fisica e tattile, proprio come le sculture di Marina.
La sovraccoperta che protegge il libro è come una pelle sottile, così come sono fragili le difese che possiede Marina nei confronti del mondo, un mondo che non riesce a capire e ad accettare.

  1. Il vostro fumetto è quasi totalmente privo di dialoghi e in generale le parti scritte sono veramente minime;  è stato difficile raccontare solo con le immagini?

Io sono abituato a vedere molto cinema giapponese, uno dei registi che mi ha influenzato maggiormente è Takeshi Kitano, attraverso i suoi film ho scoperto come raccontare utilizzando le immagini e gli ambienti. Penso in particolare al film Il silenzio sul mare, che è la storia di un giovane surfista sordomuto.

Penso che approcciarsi a un fumetto “silenzioso” sia più impegnativo per il lettore, bisogna leggere con attenzione le immagini perché non c’è la specificità della parola a guidarci. Dobbiamo capire le intenzioni dei personaggi dal contesto, dai piccoli gesti, dalle parole non dette.
Per quanto riguarda la scrittura, invece, per me è naturale pensare per immagini, anche quando scrivo racconti prima visualizzo le scene e le ambientazioni, poi le traduco in parole. 

  1. Un corpo smembrato parla anche di arte sotto vari aspetti. Sono molto belle le sequenze che ci mostrano il suo lato manuale, quello delle mani rovinate, degli scalpelli. Cos’è per te il processo artistico e la creatività? 

Io non credo nel talento, penso che l’idea di talento limiti molto le persone.
Pensare di non avere talento é una facile giustificazione se non si riescono a realizzare le proprie idee, allo stesso tempo riconoscere negli altri un dono crea una narrazione distorta, in cui il talentuoso è capace a prescindere, una narrazione in cui non vengono riconosciuti meriti e impegno.
Ovviamente ogni persona ha delle peculiarità e delle attitudini, ma per scrivere come per disegnare c’è bisogno di studio e pratica, poi bisogna avere un forte spirito critico e mettersi in discussione continuamente.
Per me il processo artistico passa attraverso una serie di errori, fallimenti e inciampamenti… bisogna sporcarsi le mani e sbagliare, per questo lo trovo affine al lavoro che potrebbe fare un meccanico.

  1. L’opera inizia con una citazione di Herman Hesse, tratta dall’antologia Sull’amore, che ci ricorda quanto sia fondamentale essere presenti a noi stessi e desiderare ciò che ci conduce nel nostro intimo e ci permette di rimanere connessi con il mondo. Cos’è che ti aiuta ad essere te stesso nel mondo che ci circonda?
    La citazione è stata scelta da Samuele e penso si sposi bene con il contenuto del libro, io probabilmente avrei inserito il testo di una canzone, forse Milano Circonvallazione Esterna degli Afterhours. Onestamente, avendo io un’attitudine punk malinconica, non so dirti se sono presente a me stesso e in connessione con il mondo… forse a me servono solo altri punk malinconici con cui condividere il tempo e le esperienze.
  1. Domanda finale di rito: a cosa stai lavorando al momento? Altri progetti in cantiere?
    Sto scrivendo la sceneggiatura per un fumetto che disegnerà Chiara Abastanotti, si tratta di una storia con elementi fantastici, nata pochi mesi prima di Un corpo smembrato.
    In un certo senso sono storie gemelle, affrontano entrambe il quotidiano, le relazioni e la distanza anche se con toni molto diversi. Se tutto procede per il meglio la potrete leggere già nel corso di quest’anno.

Ringraziamo come sempre gli autori che si sono prestati alla nostra incontenibile curiosità e non vediamo l’ora di leggere le loro prossime opere!

Letture Arcane, Febbraio

Attenzione, attenzione! Quando ho chiesto alle carte come sarebbe andato avanti il mese di febbraio, ho ricevuto una sorpresa inaspettata. Lo abbiamo visto in tutti questi mesi insieme, i tarocchi non ci hanno mai viziato, ogni carta è stata un avvertimento, una finestra sulle nostre debolezze, è forse finalmente arrivato il momento di raccogliere i frutti di tutti questi mesi? Così è, se vi pare.

“Gira, il mondo gira
Nello spazio senza fine
Con gli amori appena nati,
Con gli amori già finiti
Con la gioia e col dolore
Della gente come me.

Un mondo
Soltanto adesso, io ti guardo
Nel tuo silenzio io mi perdo
E sono niente accanto a te

Il mondo
Non si è fermato mai un momento
La notte insegue sempre il giorno
Ed il giorno verrà.”

Il mondo

È finalmente arrivato il momento di stare fermз e rimanere a guardare, perché tutto ha raggiunto il suo compimento. Dobbiamo rilassarci e accettare la pienezza che si manifesta attraverso la carta del Mondo. Le energie degli elementi, si irradiano al centro ed esplodono festose e noi ci godiamo lo spettacolo. Febbraio è il mese della realizzazione, non importa a quale livello o per quale campo, lavoro, amore, studio, qualsiasi cosa in cui abbiamo messo energie giungerà alla fine regalandoci enormi soddisfazioni.

Il Mondo è il lieto fine che ci meritiamo dopo un avvio difficile, è la quiete dopo la tempesta. Siamo di fronte a un vero e proprio trionfo, siamo ricolmз di piacere e gioia, che sia perché abbiamo finalmente pianificato un viaggio che rimandiamo da troppo, o abbiamo dato quell’esame che proprio non riuscivamo a studiare, è la carta del matrimonio, dell’unione proficua, del benessere. È una carta che sottolinea la fertilità e l’abbondanza, sempre, per qualsiasi motivo.

Qual è il risultato di quello che ho fatto? In cosa primeggio?

Queste sono le domande che dobbiamo porci ora. Nonostante difficoltà, rallentamenti, indecisioni, in questi mesi abbiamo messo da parte qualcosa e ora è il momento di mostrarlo. Tutto ciò che abbiamo covato con passione e dedizione vedrà la luce. Anche se ci sentiamo persз e privз di stimoli, questo è il momento per capire in cosa siamo migliori, qual è la situazione che ci mette a nostro agio, quale il futuro in cui ci rispecchiamo. Ora il nostro primeggiare ha un valore, anche se non ce ne rendiamo conto, c’è sicuramente qualcosa che ci rende orgogliosз, gratificatз e quello è ciò su cui dobbiamo puntare.

Attenzione però, è vero che il Mondo rappresenta il benessere, la pienezza, il compimento, ma non crogioliamoci nell’autocompiacimento, cerchiamo di far fruttare ciò in cui primeggiamo e ciò che costruiamo per il benessere collettivo. Non cadiamo nell’egoismo e in inutili rivalità. La carta del Mondo è piena perché raccoglie in sé tutta l’energia degli elementi, dei segni, di ogni essere vivente e noi siamo pieni solamente se tutto intorno a noi è positivo, da solз non si va da nessuna parte.

Cosa leggiamo?

Una serie di fortunati eventi, Sean B. Carroll, traduzione di Allegra Panini, Codice Edizioni

Com’è nato il Mondo? La carta dei Tarocchi, abbiamo visto, che nasce dall’unione delle energie del cosmo e si compie in questa congiunzione e il nostro mondo invece? Attraverso questo saggio Carroll ci mostra tutte quelle casualità che hanno portato a far diventare il mondo quello che è oggi, tra disamine scientifiche, trattazioni filosofiche e ipotesi mitologiche si parla di quel filo sottile che ci tiene ancora tutti qui su questa Terra e di tutto ciò che l’uomo ha scoperto e fantasticato sulla propria origine.

Georgia O’Keeffe, Sara Colaone e Luca De Santis, Oblomov Edizioni.

La biografia a fumetti di una delle più importanti pittrici della Storia è un grande esempio di come si può arrivare a raggiungere la propria completezza. O’Keeffe ha avuto una vita intensissima, tutta mirata all’arte e alla propria emancipazione, macinando rifiuti, difficoltà si è imposta sul panorama mondiale dell’arte, diventando presto un idolo. Qual è stata la storia che ha portato l’artista alla sua pienezza? Com’è stato il suo Mondo?

Wake Up – D. Custagliola e A. Cosentino

Ehm è una realtà di autoproduzione, fondata da 4 colleghi della Scuola del Fumetto di Palermo, Antonello Cosentino, Elisa Bisignano, Clorinda Ragusa,  Francesco Montalbano e Claudia Milazzo. Si raccontano come entusiasti, giovani, ed inesperti, ma con la voglia di mettere in pratica tutto ciò che gli viene in mente senza vincoli editoriali.

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Uno dei loro web comic, Wake Up è in finale per il premio Boscarato del Treviso Book Comic Festival, nella categoria miglior web comic.

Dai testi di Dario Custagliola e i disegni di Antonello Cosentino prende vita una fosca storia a fumetti. I protagonisti sono due, due uomini che hanno fatto dello studio del passato la loro missione. Ah l’archeologia, che materia meravigliosa! Studiare il nostro essere uomini, scoprire i passaggi e i momenti che ci hanno resi quello che siamo ora, ma anche scovare segreti nascosti e impressionanti fonti di pericolo.

È questo che fanno i due professori della storia, scoprono qualcosa di inaspettato, sconvolgente, ma estremamente appassionante, che non li lascia dormire, non li lascia più vivere. È questo il prezzo da pagare per la conoscenza?

Tavola-1.jpgDopo essere venuti in possesso di alcuni manufatti che sono antichi, antichissimi, ma allo stesso tempo hanno segni di una civiltà troppo moderna per vivere nel passato di fronte a cosa siamo? E no, non hanno chiamato Roberto Giacobbo e la troupe di Voyager per saperlo. Si sono, purtroppo per loro, industriati e hanno iniziato a scavare, nel passato, nel presente, prendendo ogni riferimento che potesse sciogliere qualche dubbio su questo manufatto misterioso.

Ma non c’è stata soluzione. Arrivati ad un certo punto delle ricerche ed imbattendosi in alcuni racconti che sembravano delle enormi baggianate, gli studiosi si ritrovano prigionieri dei loro più bassi ed insospettabili istinti. Sono intorpiditi da un sonno buio, magico, che gli fa vivere esperienze raccapriccianti. È un testo, un libro strano che sembrava quasi stupido a renderli così, agisce sulle loro paure, sui loro timori facendoli diventare vittime e carnefici di un gioco malsano. È una storia terribile, in cui i protagonisti sono buoni e poi si ritrovano ad essere spietati senza il loro volere. Questa trama particolare, vorticosa e ingarbugliata, è accompagnata da disegni veramente tetri, a farla da padrone è un preponderante uso del nero, intervallato da una scala di grigi e nei momenti clou dall’apparizione del colore rosso e del celeste.  

il-sonno-della-ragione-produce-mostri-goya-analisi-739x1024.jpgFinale apertissimo, con il sonno terribile che cala sulle abili menti di questi studiosi trasformandoli in un fascio di paure e ansie che non riescono a contenere. Il sonno della ragione genera mostri, diceva il caro Goya e in questo caso siamo proprio di fronte a un meccanismo che blocca tutto ciò che c’è di razionale nella mente dell’uomo, dandolo in pasto a mostruosi istinti.

È stata una lettura sorprendente, cruda, terribile che non riesco bene a spiegare, ma che vi invito a fare. Per ora siamo solo alla prima stagione, con 4 episodi, una lettura velocissima che non vi deluderà da cui imparerete che è meglio stare alla larga dall’archeologia e dagli archeologi.


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Parole nella polvere, Máirtín Ó Cadhain

“Muraed! Ehi, Muraed!… Hai sentito cos’ha detto? Basta, sto per scoppiare! Ora scoppio!…”

Voi l’avreste mai detto che un libro ambientato in un cimitero potesse essere divertente? Eppure Parole nella polvere è brillante, ironico, irriverente anche se i suoi protagonisti sono tutti morti e sepolti. Tutti si ritrovano a chiacchierare dai loro loculi su fatti passati, ma soprattutto su fatti recenti, sempre alla ricerca di succulenti gossip dal mondo di sopra. Questo cimitero è quasi come quello della Livella di Totò: i morti non smettono di stuzzicarsi facendo notare a chi sono destinate le tombe migliori, ma in fondo ci pensa il gossip a livellare. I defunti infatti non vedono l’ora di piombare come avvoltoi sui nuovi morti, che portano notizie fresche.

whatsapp-image-2018-04-26-at-20-56-50.jpegQuesto romanzo è l’opera più importante di Máirtín Ó Cadhain, autore irlandese, fortemente radicato alla sua terra e alla sua cultura, cosa che il lettore noterà subito. Sono moltissime i riferimenti geografici, ma anche rituali e mitologici che in alcuni casi non rendono la lettura scorrevole. In realtà il lettore che si trovi ad affrontare Parole nella Polvere deve abbandonare l’idea di una narrazione lineare e tranquilla. In questo libro regna il caos. Siamo in mezzo alle tombe del Connemara, bombardati da notizie, in un turbinio di voci che sbucano dal suolo e che si rintuzzano a vicenda. È un fiume in piena, senza stacchi, senza presentazioni. Ci si trova in mezzo alle conversazioni, tra voci che non si sa a chi appartengono e dopo un po’ di spaesamento, ti accomodi e ti lasci accompagnare da tutti gli schiamazzi dei morti. E così si fa conoscenza anche con la terribile Caitriona, con la finta colta Nora, con il maestro che si strugge per la sua ormai ex moglie e così via…

Leggendo questo libro abbiamo avuto l’impressione nonostante la difficoltà di seguire per bene i discorsi, di stare in un ambiente fortemente familiare. Tutti si conoscono, fanno riferimento alle stesse persone e si arrovellano sugli stessi episodi. Sembra di stare in un paesino, dove l’inciucio è la materia prima. Solo che in un cimitero non si può sparlare, perché quello che di noi rimane, è solo la voce quindi ogni pettegolezzo è alla luce del sole e non si finisce mai di discutere.

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È stato veramente bello potersi immergere completamente in una narrazione così particolare e il merito è senza dubbio anche della traduzione. È la prima volta che Crè na Cille arriva in Italia e lo fa accompagnato da quattro traduttori che sono partiti da tre precedenti edizioni in inglese. A Ó Cadhain si è sempre rimproverato l’uso prepotente del dialetto e questo ha creato grandi difficoltà in ogni sua traduzione, anche se la narrazione ha acquistato in dinamismo e vivacità. Il brio non viene meno però nella versione italiana. È utilizzato un linguaggio moderno e vivo, senza artificiosità e termini che cristallizzano quest’opera negli anni ’40, è pieno di espressioni colorite, di parolacce laddove servono, in questi pettegolezzi ruggenti.

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Ringrazio Edizioni Lindau per aver intrapreso un lavoro così lungo, ma che ha portato nelle nostre mani un vero capolavoro. Se volete sapere di più su questa casa editrice torinese vi rimando all’intervista de La campana di vetro e alla chiacchierata che ho avuto con Alberto Del Bono.


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Tararabundidee feat. Tra Le Righe, ep. 5: CAMBIAMENTI IMPROVVISI.

rainyday.jpgLe vacanze pasquali sono appena finite e noi vi facciamo leggere il frutto della nostra collaborazione con le libraie di Tra Le Righe. Per il mese di marzo ho scelto il tema del cambiamento, non uno lento, progressivo, ma quei cambiamenti repentini, improvvisi. Questo perché il mese di marzo è caratterizzato da terribili e noiosi cambi climatici, nel giro di pochissimo tempo. Il fenomeno nel mio paese viene definito con il verbo marzeà, quando c’è un sole bellissimo e caldo ed insospettatamente viene a piovere, marzea. Per questo volevamo essere in pendant con l’atmosfera e vi proponiamo un racconto di cambiamenti, anzi ce lo propone la nostra libraia Valentina.

Non siamo più noi stessi, Matthew Thomas.

Dopo aver finito di leggere Non siamo più noi stessi (titolo originale We Are Not Ourselves, citazione dal Re Lear), si ha la sensazione di aver letto più di un romanzo, di aver vissuto una vita intera. Quella di Eileen Tumulty, newyorkese di origine irlandese, con un padre imponente, Big Mike, di quegli uomini che tutti rispettano nel quartiere, che tutti stanno ad ascoltare, ed una madre che soccombe ad un evento tragico, provando nel tempo a risollevare la testa. Eileen cercherà di farsi strada nella vita, di riscattarsi dalle origini umili, e lo farà anche sposando Ed, neurobiologo con una promettente carriera, di cui lei si innamora e dal quale avrà un figlio, Connell. Le ambizioni di Eileen si infrangono però nella mancanza di quelle di Ed, lui rifiuterà un incarico prestigioso per rimanere nella sua università, con i suoi studenti, e sarà lei, con il suo impiego da capoinfermiera, a mettere da parte quel denaro per andare a vivere in un quartiere più ricco, in una dimora più sontuosa.

copertinatralerigheMa la tragedia, come è preannunciata dalla citazione shakespeariana (“…non siamo più noi stessi, allorché la natura, oppressa, impone all’animo di soffrire col corpo”), incombe.
E qui c’è la ferocia della vita vera, quella che ti piomba addosso mentre tu progetti, sogni, c’è il caos in cui si precipita quando arriva ciò a cui non avevi mai pensato, che non avevi programmato. Ed si ammala, precocemente, di Alzheimer. Ma Ed è stato, nonostante i contrasti, un buon marito e un ottimo padre, e così Eileen ha un nuovo progetto, che non è più l’ascesa sociale, ma l’aiutare suo marito, l’essergli vicina, il sostenerlo in un viaggio così faticoso, così disperato, così annientante. Raramente una vita matrimoniale è stata così ben rappresentata, raramente la letteratura ha visto un padre degno di Edmund Leary, da cui molti padri (ma anche molte madri), possono trovare un esempio. All’interno del caos, i punti fermi restano, l’eredità, quella buona, dei genitori consente di galleggiare nelle tempeste,  è questo quello che riceve Connell, che gli consentirà di percorrere la sua strada. Un romanzo bellissimo, ben scritto, profondo, commovente. Non possiamo che aspettare ormai con una certa impazienza il prossimo, Matthew Thomas.

Un libro che ha al centro un cambiamento, che però non porterà a nulla di buono è Gilgi, una di noi, libro in cui la protagonista rimarrà praticamente fulminata da un incontro e da allora cambieranno non solo la sua vita, ma anche le sue aspettative, is uoi sogni e bisogni. Noi ci rivediamo con un nuovo episodio a fine mese! (Per recuperare gli episodi precedenti, cliccate qui.)  Buone letture.


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