Poco allettati dai premi e ancora meno allettati dalla letteratura americana, ci siamo avvicinati a La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead, premio Pulitzer 2017, senza alcuna aspettativa. Diciamo che ci è capitato per le mani e gli abbiamo dato una chance. Non so cosa ci ha colpiti di più di questo libro: forse la trama, la narrazione o molto probabilmente tutta la cattiveria schiaffata lì nero su bianco.

BIGSUR22_Whitehead_LaFerroviaSotterranea_cover-409x637Proprio di neri e bianchi si tratta, della sempre di moda differenza razziale che divide l’umanità. Il punto di vista stavolta è quello di Cora, giovanissima schiava di una piantagione in Georgia che con enorme coraggio, in nome della Libertà decide di rischiare il tutto per tutto. I primi bianchi ad entrare in scena sono la feccia, esseri terribili: i proprietari della piantagione e Ridgeway (cacciatore di schiavi). Con queste premesse il lettore penserà ad una completa bipartizione: i malvagi bianchi e i torturati neri, un rapporto di vittima/carnefice trito e ritrito… e invece no. Whitehead trae un po’ in inganno il lettore, giocando con gli stereotipi: ci sono anche bianchi rispettosi e neri crudeli. Non è un gioco delle parti fisso, quella che Whitehead ci riporta è la vita vera con le sue relazioni.

Cora è un personaggio altalenante, non sempre il lettore riesce ad empatizzare con lei, è mutevole: alle volte troppo decisa, altre troppo riflessiva, provocante ma timorosa, delle volte non capivamo le sue scelte, non riuscivamo a condividere i suoi pensieri, ma in più occasioni l’autore riesce a lasciare tra le pagine, grazie alla voce di Cora, riflessioni che pesano come macigni. Si scomodano la Bibbia e la Costituzione, i grandi fondamenti del pensiero e della cultura propria dei bianchi, dove mai c’è scritto che i neri sono inferiori, anzi si versano fiumi d’inchiostro per diffondere i principi di tolleranza e uguaglianza, ma allora perché quella fetta di popolazione che prende meno vitamina D e che non ha abbastanza melanina dentro, ad un certo punto ha sentito l’esigenza di ergersi a razza superiore? Ma poi soprattutto razza di che? Siamo tutti Homo sapiens sapiens, di specie di essere umano ce n’è solo una da un po’…

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Ritornando al romanzo, Cora è sicuramente la protagonista, ma attraverso il suo percorso conosciamo tantissimi altri personaggi positivi e non; e viene svelato il segreto della Ferrovia sotterranea. Whitehead non la immagina solamente, la plasma e la posa nel sottosuolo americano, la fa profumare di libertà e di opportunità: sarà l’unica speranza per gli schiavi che riescono a sfuggire alla tortura delle piantagioni; ma in America un nero può essere libero davvero? La storia di Cora dimostra chiaramente che no. Il colore della pelle è un marchio: d’inferiorità, criminalità, schiavitù stessa da cui non ci si può liberare. Anche quando tutto sembra finito ed i bianchi sembrano finalmente pronti a ragionare, a diventare delle persone, non delle bestie, è tutto un trucco. Le istituzioni, la massa non sono pronte, anzi hanno anch’esse una ferrovia sotterranea dove attraverso marchingegni e macchinazioni disparate, tramano per rendere impossibile la vita dei loro simili.

Tra tutti i personaggi, come un tarlo, per tutta la narrazione, si attacca al lettore la storia di Mabel (madre di Cora, quella che ce l’ha fatta) e piano piano lo divora: ma allora il caro Colson ci prende in giro? Allora ci sono quelli che ce l’hanno fatta? Che sono arrivati in Canada, dove ci sono i bianchi migliori? Non vi diciamo niente, ma la curiosità che l’autore riesce a creare su questo personaggio è tale che quando le carte verranno scoperte, vi cadrà il libro di mano.

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Che dire di più, è un libro intenso, carico di fatti truci e cruenti, reali e fittizi, ma che comunque coinvolgono il lettore a 360°. Non so cosa hanno provato gli uomini e le donne di colore leggendo questo libro, ma vi possiamo dire che noi abbiamo provato vergogna.


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