Quando la poesia di Montale esplose, lo si avvicinò alla produzione di Saba e Ungaretti, a voler formare una nuova triade, moderna e innovativa, in sostituzione alla precedente, che aveva dato enorme lustro alla poesia italiana: Carducci – Pascoli – D’Annunzio. L’opera di Montale però si andò via via caratterizzando in forme e modi tali da non poter essere accostato a nessun altro poeta del suo tempo (ma neanche di altri tempi eh!). Lui stesso affermava che le sue intuizioni fossero originali, non condizionate da nessun avvenimento: personale, politico, sociale. In realtà alcuni componimenti si legano fin troppo alla storia che Montale viveva, come ad esempio La primavera hitleriana, contenuta in La bufera e altro (1956), ma non solo, il nostro Eugenio è riconosciuto come il cantore della solitudine dell’uomo moderno, quindi testimone del suo tempo; oltre che della frammentazione dell’animo, del Meriggiare pallido e assorto (Ossi di seppia, 1925).

La vita di Montale è stata però ricchissima e passionale, non era proprio un uomo solitario che rimuginava solo sul male di vivere. Anche se viene studiato e conosciuto soprattutto per il suo pessimismo e per la visione tendenzialmente malinconica e dolorosa della vita, il ruolo della donna e dell’amore è assolutamente centrale nella poesia montaliana. Egli stesso infatti dice che uno dei temi portanti della sua poesia sia: «l’amore, sotto forma di fantasmi che frequentano le varie poesie e provocano le solite intermittenze del cuore […] e l’evasione, la fuga dalla catena ferrea della necessità, il miracolo, diciamo così, laico».

La donna ha uno spazio immenso nell’opera del poeta, fino a diventare dominante. Lei è la portatrice di salvezza, descritta con attributi eccezionali: dal biancore di una luce intensissima, alla fissità di uno sguardo sovrumano, fino al freddo glaciale, è qualcosa di estraneo alla normalità e alla consuetudine, ed è in coppia con la verità, cosa che non si può scorgere nel quotidiano, che in Montale appare sempre come limitato, chiuso (descritto con mura, orti, recinti, cocci di bottiglia).
Il tu, l’interlocutore principale nelle poesie di Montale, sarebbe dovuto essere secondo il poeta: «Un tu istituzionale, l’antagonista che bisognerebbe inventare, se non esistesse».
La realtà è un po’ diversa. I critici non si sono accontentati della fredda descrizione di Eugenio, avevano scorto qualcosa in più, nascosto sotto il riserbo del poeta. Infatti quel tu non è altro che l’interlocutore preferito dell’io lirico, il femminino, incarnato da molte donne diverse che hanno attraversato la vita del poeta, tutte trasfigurate da altri nomi, simboleggiate da animali o da parole che ne esprimessero le caratteristiche. Allora abbiamo tra le tante: Anna degli Uberti –Arletta/Annetta, Paola Bonacina Nicoli – Crisalide, Drusilla Tanzi Marangoni – Mosca, Maria Rosa Solari – la peruviana, Irma Brandeis – Clizia, Maria Luisa Spaziani – Volpe.
C’è molto materiale tra cui scegliere, ma io come al solito mi soffermo su due componimenti, entrambi contenuti ne La bufera e altro (1956), il secondo fa parte della sesta sezione: Madrigali privati.

L’anguilla ha un ritmo avvolgente, perturbante, quasi ad imitare i sinuosi movimenti del pesce. Innanzitutto, siamo in acqua (avete già abbondantemente imparato quanto l’acqua sia importante in contesti erotici, se non ve lo ricordate, date un’occhiata qui, qui o qui.) Subito al primo verso abbiamo un termine importantissimo, che richiama mitologicamente misteri ed erotismo: sirena. L’anguilla, un animale che, diciamoci la verità non ha una grande presenza letteraria e non è che sia poi tutta questa poesia, viene nobilitato e accostato ad una delle figure più sensuali dell’immaginario, cioè la sirena: donna metà umana e metà pesce, o metà uccello metà umana, dipende a quale mito fate riferimento, ma comunque in grado di ammaliare e attirare ogni uomo.
L’anguilla non si accosta solamente alla figura della sirena, evoca molto altro.
Diventa una torcia, per illuminare, figura che porta la verità, diventa frusta oggetto che da sempre è collegato ai giochi erotici e all’atto sessuale, freccia d’Amore ossia lo strumento di Eros per eccellenza, quello che colpisce il cuore per far esplodere l’amore.
Ci sono altri due termini molto importanti: guizzo e scintilla entrambi sottolineano qualcosa di subitaneo, esplosivo, dirompente, l’anguilla attraverso il guizzo accende l’acquamorta, è scintilla che riporta la vita dove tutto si è incarbonito; è ciò che porta ai paradisi di fecondazione. Al completamento dell’atto sessuale, dopo una serie infinita di avversità, dimostrando coraggio e dedizione. Sono gli ultimi cinque versi in cui si compie però la perfetta associazione di anguilla e donna. L‘iride breve denota ancora una volta la luce, attributo concreto in cui si rivela la salvezza ed è una caratteristica tanto dell’animale quanto della donna. Anche in mezzo alla più completa bassezza, la melma e il fango, l’anguilla e la donna riescono ad emergere e a brillare e a compiere l’atto sessuale che li porterà al paradiso: procreeranno.

Fun fact. La lirica è basata sul paragone tra donna e anguilla, entrambe votate a perseguire un destino di fecondazione (sappiate perdonare e contestualizzare, purtroppo, siamo nel 1956), ma Montale è moooooolto impreciso sul piano ittiologico. I cigli migratori dell’anguilla la portano a discendere i fiumi di tutta Europa per raggiungere l’Atlantico. Lì le femmine muoiono dopo aver deposto le uova, da esse nascono i leptocefali che, in circa tre anni, fanno tutto il percorso inverso per arrivare ai nostri mari, ma non fanno come i salmoni a cui forse sta pensando il nostro Eugenio. Per fecondare le anguille usano delle pozze stagnanti molto vicine al mare, quindi in realtà i paradisi di fecondazione oltre a non essere dei veri e propri paradisi, non sono neanche conquistati attraverso lotte, risalite ed atti eroici.

I Madrigali Privati, sono dedicati alla donna contraddistinta dal senhal animale di volpe: Maria Luisa Spaziani, che Montale conobbe nel ’49. La Volpe è una protagonista più carnale, non ha le altezze siderali e cosmiche di Clizia contraddistinta come la donna assente, lontana. Volpe non è solo un angelo, né solo salvatrice è anche corruttrice.

Tutta al passato la prima strofa, un ricordo, indelebile nella mente del poeta. Poeta assassinato come Apollinaire, o meglio la sua opera Le Poète Assassiné (1916) a cui ruba l’idea dell’acrostico, nel racconto infatti un fattorino d’albergo scrive un acrostico che compone in nome MARIA. In realtà Guilleme Apollinaire, nel 1899 aveva scritto lo stesso acrostico, poi revisionato ed inserito nel racconto, per Maria Doubois. Lo vede da voi, l’acrostico che invece costituisce Montale in questa poesia.
Grotta: gli antri, le tane, le grotte, i luoghi in cui ci si nasconde, sono sempre stati utilizzati nella letteratura erotica come i luoghi in cui si consuma l’atto sessuale. In questo caso, c’è anche la tana, quella della volpe, dove lei aspetta e attira il poeta, dove raggiungono l’orgasmo, quella fine, invocata, illuminata da un falò, non da un semplice fuoco, ma da un’enorme bruciante passione, che rende il noccioleto raso. La grotta è un chiaro riferimento anche all’opera di Anatole France, la Taide, pubblicata nel 1890, tratta del monaco Pafnuzio che si deve recare ad Alessandria, per convertire la cortigiana Thais, sorprendentemente ci riesce, ma il ricordo di una donna così meravigliosa, conturbante e affascinante non lo lascerà mai e sarà costretto a rinunciare alla santa vita condotta fino ad allora.

«Di fronte alla “volpe” mi sono paragonato a Pafnuzio, il frate che va per convertire Thais ma ne è conquistato. Vicino a lei mi sono sentito un uomo astratto vicino a una donna concreta: lei viveva con tutti i pori della pelle. Ma anch’io ne ricevevo un senso di freschezza, il senso soprattutto d’essere ancora vivo.»

Il primo incontro di Pafnuzio e Thais avviene in una grotta.
Il fuoco, è presente anche nella seconda strofa. Il falò, quindi fuoco enorme seppure contenuto, divampa, non si trattiene, diventa incendio, facendo scappare un’anatra, facendosi spazio tra tutto e tutti, per entrare ancora una volta nel solco pulsante, di eccitazione ovviamente, nella pista arroventata segnalata dalle tracce dell’amata. Il ricordo dell’amplesso diventa nuovo e presente amplesso, ancora piombo dice Montale, e quell’ancora perpetra nel tempo l’atto sessuale.

Forse questa è fino ad ora la poesia più erotica che abbiamo analizzato. Con immagine vive e reali dell’atto sessuale, non più solamente allusioni. Quella fine che viene attesa per esplodere e soprattutto il solco, evidentissimo riferimento alla vagina, non sono termini che abbiamo incontrato fino ad ora e non sono così facilmente rintracciabili nella letteratura. Ovviamente il nostro caro Eugenio questo lo sa bene, infatti descrivendo Da un lago svizzero alla stessa Maria Luisa dirà che è:

«La poesia più erotica che conosca (in senso lato). […] Non credo esista (in Italia) una poesia erotica così sublimata, coi simboli altrettanto spontanei e puri, ma carnali, non stilnovistici».

Speriamo di trovare adesso un autore che riesca a fronteggiare il caro Montale.

Bibliografia:

Mauro Bersani, Maria Braschi, Viaggio nel ‘900, Come leggere i testi della letteratura contemporanea, a cura di Maria Corti, Arnoldo Mondadori Editore, 1984.
Anna Bordoni, Il femminino nel mondo poetico di Montale, in Notiziario della Banca Popolare di Sondrio, Numero 121, aprile 2013.
Francesco Giusti, I Madrigali privati, la Volpe e una narrazione diffusa, in Otto/Novecento: rivista quadrimestrale di critica e storia letteraria. Anno XXXI – N. 3 -settembre/dicembre, 2007.
Mario Santoro, Disegno storico della civiltà letteraria italiana, Le Monnier, 1983.