[Non era una cosa che ci saremmo aspettati, quella che le robbe grosse potessero piacere così tanto, e ci rendiamo anche conto che siamo venuti meno al nostro progetto iniziale, ma siamo qui per riprenderlo.]
Erotismo, parola che rimanda direttamente ad Eros. Lui, figlio di Afrodite, divinità splendente, tanto benevola quanto malevola, ha un potere illimitato sui cuori di tutto l’Olimpo e di tutto il resto del mondo, ne ha fatte di cotte e di crude e ha dato moltissimo materiale ai nostri poeti.

In Grecia il nostro caro Eros e l’erotismo in generale erano tematiche centrali in ogni narrazione: mitologica, religiosa, filosofica, teatrale (basti pensare un pochino agli amori appassionati e talvolta anche un po’ brutali dei tragediografi), ma per questa volta lasciamo la candida culla della Grecia e ci spostiamo un po’ più avanti.

Nel mondo latino se pensiamo all’eros pensiamo principalmente a Catullo e al suo totalizzante amore per Lesbia, a Properzio e la sua Cinzia, ad Orazio, Tibullo… però prima di tutti loro a cantare d’amore c’è stato il buon Virgilio, passato alla storia più come megafono della politica augustea nell’Eneide e profeta della religione cristiana nelle Bucoliche, che come poeta d’amore. In realtà ha dato un grande contributo alla costruzione della letteratura erotica attingendo da modelli greci, in particolare a Teocrito e dalla sua contemporaneità, creando dei quadri d’amore che oggi definiremmo molto inclusivi. Il signor Publio ci parla infatti in maniera indistinta, come era di consuetudine all’epoca (e come dovrebbe esserlo anche oggi) di amore omo ed eterosessuale. Analizzare tutte le tracce di erotismo nell’opera virgiliana sarebbe però un po’ too much, soprattutto per voi che ci sorbite, quindi abbiamo scelto due cosine che saranno fondamentali per tutta la letteratura successiva.

Formosum pastor Corydon ardebat Alexin.
E già solo con questo primo verso della seconda ecloga di Virgilio siamo carichi di erotismo. L’aggettivo posto in prima posizione, in apertura del verso e di tutta l’ecloga è un riferimento alla bellezza fisica, all’esteriorità più seducente dell’inarrivabile Alessi, desiderato in modo focoso e palpitante (tanto che arde) dal pastore Coridone.
Virgilio ci aveva lasciati nella prima ecloga in un ambiente del tutto differente: quello della preoccupazione per le terre espropriate, concludendo il componimento con Titiro in riposo sotto l’ombra degli alberi; qui invece per contrasto alla precedente chiusura, irrompe dal principio l’incontenibile passione amorosa, che danna e consuma il povero Coridone.
Alessi è un giovanotto di città, abituato a cose alte ed eleganti, di certo non avvezzo alla pastorizia. Il suo nome deriva dal termine greco αλεγειν, che si traduce con venire in soccorso, sinonimo del termine φαρμακον che invece significa rimedio, ma anche veleno: quello che Alessi rappresenta per l’animo di Coridone.

L’ambientazione dell’ecloga è ombrosa, illuminata solamente dai giochi di luce che il sole crea tra le fronde degli alberi, ed è proprio la penombra l’ambiente ellenistico in cui viene principalmente consumato l’amore omoerotico. Il problema è che qui nella penombra si muove, solamente Coridone che, strafottente di rispettare le ore pomeridiane di riposo di Pan, inizia il suo lamento d’amore, che rivolge alla natura circostante perché tanto Alessi, definito crudele (da cruor, il termine che indica il sangue che fuoriesce dalle ferite) non si cura né di lui, né delle sue preghiere.
Il povero Coridone infatti non solo si lamenta perché Alessi non se lo fila, ma anche perché non ha proprio tutta st’autostima, non è sicuro del suo fascino, delle sue capacità, insomma parliamoci chiaro: come può un ragazzetto di città ben educato innamorarsi di un rusticus, un rozzo pastore? Però neanche si può solo disprezzare, Coridone si specchia nell’acqua, si specchia (proprio come fa il ciclope Polifemo nell’idillio Teocriteo) e non è che si vede proprio così brutto, poi ha pure armenti, latte, proprio non riesce a immaginarsela Alessi una vita insieme a lui?

Atque humilis habitare casas, et figere cervos,
haedorumque gregem viridi compellere hibisco!

In fondo anche se abitano in un’umile casa possono abbandonarsi ai piaceri sessuali, possono cacciare. L’immagine della caccia rimanda ai ruoli erotici di cacciatore/preda o padrone/schiavo ed è collegata all’ibisco (figere cervos e hibisco sono posti a chiusura dei rispettivi versi), pianta esile che poteva essere utilizzata come sferza nei giochi sessuali. Gli avrebbe poi donato tutto quello che aveva, tutto quello che produceva, i frutti da lui prodotti come le tenera lanugine mala. La mela è un frutto legato all’amore e al sesso in varie religioni e miti, è per colpa della mela lanciata da Eris al banchetto di Perseo e Teti che si deve decretare la dea più bella dell’Olimpo, e si arriverà alla guerra di Troia (la guerra più eroica della Grecia, iniziata per un amore); in ambito ebraico – cristiano la mela è il simbolo della tentazione, anche quella sessuale. La carica erotica del frutto viene amplificata dalla presenza della lanugine, che rimanda alla peluria pubica.
Nonostante le proposte allettanti che praticamente rivolge a sé stesso, in un discorso con la sua interiorità, Coridone sa che il suo rimane un amore non corrisposto.

Quis enim modus adsit amori? 
Conosce misura l’amore? No. Folle d’amore e distratto dal suo lavoro, Coridone decide che è giunto il momento di andare avanti, troverà un nuovo Alessi.
Un altro esempio di amore non corrisposto, ma eterosessuale si ha nell’ecloga X, dove viene raccontato l’amore tra Licoride e Cornelio Gallo, ma noi per l’amore eterosessuale cambiamo opera.

A Virgilio proprio non piaceva il lieto fine nelle storie d’amore e infatti, vi parliamo di quella povera anima di Didone, una delle più grandi protagoniste della letteratura classica, innamoratasi perdutamente di Enea a causa di un’infezione che causerà in lei un progressivo oblio del marito Sicheo.

Longum bibebat amorem (Libro I, v. 748)
Mentre l’immagine del marito scompare, quella di Enea si fa ben presente nella mente di Didone, che prende questa nuova passione come fosse acqua fresca, a sorsate e sapete benissimo (se avete letto le scorse puntate qui e qui) quanto sia cara alla scrittura erotica la presenza di liquidità e dei fluidi, legati alle secrezioni passionali e all’umor e quale miglior corrispondenza di amor/umor? L’amore è provocato dagli umori, messi a moto da un contagio, non c’entrano le divinità, almeno così diceva Lucrezio, da cui pare che Virgilio nella costruzione della storia di Didone ed Enea abbia ripreso non poco. La passione quindi è data da una commistione di liquidi che opera proprio in Didone.
Il contagio avviene tramite i baci dati ad Ascanio, che è sempre presente nelle scene in cui ci sono i due amanti. L’impulso di baciare Ascanio da parte di Didone è dato non solo dalla carica emotiva dettata da tutta la sofferenza che il piccolo e il padre hanno subito, ma anche dalla somiglianza con Enea, che ha già fatto breccia nel cuore della regina.
Dal verso 130 del IV libro, abbiamo l’unione matrimoniale (o un fac-simile) tra Enea e Didone e Virgilio insiste moltissimo sulla bellezza splendente dei protagonisti che ha creato. Si ritrovano su un monte insieme a capre e cervi, ci riporta agli ambienti bucolici tanto amati e sempre cari agli scenari d’amore. Arriva anche l’acqua, al verso 160, un acquazzone e grandine si riversano sul momento della caccia, sì perché si sta compiendo una caccia ed in mezzo all’atto erotico della caccia, Virgilio fa bagnare i suoi protagonisti che si ritrovano vicini e soli in una grotta, da cui Didone ed Enea escono marito e moglie e sicuramente hanno pure consumato il consumabile, ma Virgilio fa il vago.

Il sentimento che si fa strada in Didone nei confronti di Enea è maturo e in divenire, non si tratta di una passione improvvisa, adolescenziale, ma si costruisce pian piano nonostante ci sia lo zampino di Venere e del figlioletto Cupido che avvelena Didone. Il problema è che i due avranno un amore e una passione così piena e totalizzante che Enea verrà meno ai suoi doveri, sarà lo stesso Giove a richiamarlo all’ordine per fargli riprendere il mare: è la fine.

Dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum 
posse nefas tacitusque mea decedere terra? 
nec te noster amor nec te data dextera quondam 
nec moritura tenet crudeli funere Dido? 
quin etiam hiberno moliri sidere classem 
et mediis properas Aquilonibus ire per altum,
crudelis? quid, si non arva aliena domosque 
ignotas peteres, et Troia antiqua maneret, 
Troia per undosum peteretur classibus aequor? 
mene fugis? per ego has lacrimas dextramque tuam te 
quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa reliqui, 
per conubia nostra, per inceptos hymenaeos, 
si bene quid de te merui, fuit aut tibi quicquam 
dulce meum, miserere domus labentis et istam, 
oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem. 
te propter Libycae gentes Nomadumque tyranni 
odere, infensi Tyrii; te propter eundem 
exstinctus pudor et, qua sola sidera adibam, 
fama prior. cui me moribundam deseris hospes 
hoc solum nomen quoniam de coniuge restat? 
quid moror? an mea Pygmalion dum moenia frater 
destruat aut captam ducat Gaetulus Iarbas? 
saltem si qua mihi de te suscepta fuisset 
ante fugam suboles, si quis mihi parvulus aula 
luderet Aeneas, qui te tamen ore referret, 
non equidem omnino capta ac deserta viderer.
(Libro IV, vv. 4305 – 4330.)
Insomma, a nulla serve il lamento di Didone, che lo affronta come solo una regina può fare. Enea sembra dimentico di tutto, dell’amore, della passione, della tenerezza, di tutto ciò che Didone gli ha dato. Il dramma di Didone non è tanto da attribuire al distacco, quanto all’improvvisa rivelazione di un Enea estraneo al suo dolore, che è microscopico al confronto della statura morale e drammatica della regina.

Siamo alla fine, Didone si suicida perché il suo amore non la vuole più e noi ci salutiamo, è finita un’altra puntata di Robbe Grosse e noi dallo splendore dell’epoca augustea ci ritroveremo molto, molto più vicini ai giorni nostri nelle prossime occasioni.

Bibliografia

Virgilio, Bucoliche, introduzione e commento di Andrea Cucchiarelli, traduzione di Alfonso Traina, Roma, Carocci Editore, 2018.
Virgilio, Eneide, versione, traduzione e commento di A. Bacchielli, Torino, Paravia, 1963.
Studi su Virgilio e sulla sua forma, Marco Fernandelli in Polymnia, Studi di Filologia Classica, 15, Università di Trieste, 2012.