da Clock Tower a Remothered, quando un nome diventa sinonimo di un genere

Parliamoci chiaro. Chi ha giocato a Rule of Rose lo ha amato, e nel caso di alcun* millennials è stato probabilmente la principale ossessione durante i peggiori anni di Tumblr.
Le musiche nostalgiche, le atmosfere oniriche, le metafore oscure e fiabesche, tutto è orchestrato in modo accattivante per rendere l’esperienza di gioco indimenticabile e sublime.

Inizio parlando di questo titolo perché nell’ultimo decennio ha avuto un certo revival grazie all’intervento di famosi youtubers che lo hanno ripescato dal passato, spinti forse dal desiderio di giocare a qualcosa di diverso dai soliti Resident Evil e Silent Hill senza però perdere quelle atmosfere inquietanti che li hanno resi famosi. D’altra parte, il titolo potrebbe risuonare familiare per l’innecessario scandalo morale che provocò in Italia dopo la sua pubblicazione e, se proprio non lo conoscete, non preoccupatevi, rimedieremo tra poco.

Letteralmente io che scrivo questo articolo.

Quel che è certo è che Rule of Rose costituisce un gioco unico nel suo genere, un approccio all’horror più femminile e psicologico, e una volta versate tutte le nostre lacrime nei panni della povera, povera Jennifer, abbiamo deciso che vogliamo di piú. Sì, piú orfanotrofi, piú bambini inquietanti. Ebbene, sappiate che Rule of Rose non è proprio spuntato dal nulla, e il fatto che la protagonista si chiami Jennifer non è un caso, si ricollega infatti a un filone di videogiochi che a suo tempo ebbe un certo successo ma che, per diverse ragioni, rimase un po’ oscurato rispetto ai famosi survival horror di Capcom e Konami – senza però mai sparire del tutto.

Il focus nei giochi come Rule of Rose è quello di esplorare labirintiche mappe e risolvere enigmi cercando di evitare il più possibile l’incontro ravvicinato con dei nemici terrificanti.
Le protagoniste sono quasi sempre orfane disarmate, in grado solo di nascondersi e scappare, molto diverse dai poliziotti armati fino ai denti di Resident Evil. I luoghi sono sempre pittoresche mansioni, castelli e orfanotrofi che sembrano attingere a piene mani dalla letteratura gotica del secolo scorso (basti pensare alla famosa “Maledizione di Hill House” di Shirley Jackson, che sposta il fulcro di un atavico male sulla casa stessa). Rule of Rose aggiunge un’ostica meccanica di combattimento che non oserei definire
incoraggiante (come dimenticare la mitica forchetta) ma quasi tutti i titoli del genere, come vedremo, concordano abbastanza su un punto: inutile cercare di combattere qualcuno che ti insegue con un paio di cesoie più grandi di te, nascondersi è meglio.

Il franchising di Clock Tower

Addentrandoci nel genere molto specifico di “videogiochi horror che hanno per protagonista un’orfana di nome Jennifer”, strano ma vero, oltre a Rule of Rose troviamo anche un altro titolo, nonché progenitore di questo genere di giochi, che è Clock Tower, sviluppato dalla Human Entertainment. Possiamo dire, infatti, che la maggior parte dei giochi di cui parleremo appartengono a una specie di albero genealogico un po’ contorto che ha come antenato comune una piccola perla del 1995, intitolata Clock Tower (Kurokku Tawa in originale, perché i titoli in giapponese sono sempre piú simpatici). Pur essendo praticamente
un’avventura grafica in 2D, i perni di questo gioco sono comuni a tutti i titoli di cui parleremo: l’esplorazione punta e clicca, l’idea di dover evitare i nemici invece di combatterli e una meccanica del panico che compare qui per la prima volta.

Il gioco è una geniale intuizione dello sviluppatore Hifumi Kouno. È deliberatamente ispirato a uno dei capolavori di Dario Argento, Phenomena (1985), ma la componente esplorativa in una villa infestata attinge dai giochi di ruolo interattivi: Sweet Home del 1989 e Alone in the Dark del 1992. Per chi non lo sapesse, questi giochi sono stati dei survival horror prima ancora che venisse coniato il termine.

La meccanica del panico veniva espressa dal riquadro di Jennifer in basso, che cambiava colore a seconda del livello di paura. L’unico modo per calmarsi era restare seduta per terra per un certo tempo.


Tornando a Clock Tower, la storia si ambienta in Norvegia, dove vestiamo i panni della quattordicenne Jennifer Simpson (quella di Phenomena si chiama Jennifer Corvino) che va a vivere in una grande magione – la Clock Tower – dopo essere stata adottata con le sue compagne di orfanotrofio. La magione appartiene alla famiglia Barrows, è infestata dagli spiriti e da un bambino deforme armato di cesoie che in breve tempo fa strage delle amiche di Jennifer e perseguita quest’ultima apparendo casualmente
durante l’esperienza di gioco. Vi sono anche altri inseguitori tra cui un bebé gigante bitorzoluto che potrebbe apparirvi familiare se avete presente una certa sequenza (di inseguimento, guarda caso) di Resident Evil Village.

Il titolo si diffonde solo in Giappone e ottiene abbastanza successo da richiedere un sequel che uscirà dai confini nazionali, ma qui le cose iniziano a farsi complicate. Questo sequel del 1996 si chiamerà, com’è logico pensare, Clock Tower 2, ma solo in Giappone. Per il resto del mondo sarà solo “Clock Tower”, mentre a partire dal 1997, in occasione di un update, il titolo del primo gioco verrà cambiato in Clock Tower: The First Fear per distinguerlo.

E Clock Tower 3? Esiste, ma non è il terzo titolo della saga, bensì il quarto, anche se non proprio.

D’altronde, perché mai dovrebbe essere così facile?
Ma andiamo con ordine.

Io che mi arrendo nel mettere ordine tra i titoli della saga.

Il terzo titolo della saga si chiama infatti Clock Tower II: The Struggel Within, ma anche Clock Tower: Ghost Head, pubblicato nel 1998, ed è uno spin-off ambientato in Giappone che poco ha a che vedere con i primi due titoli. Non c’è più nessuna Jennifer e no, non c’è neanche una torre dell’orologio. Neanche Hifumi Kouno, il creatore stesso di Clock Tower, prese parte allo sviluppo. Qui interpretiamo Alyssa Hale, una studentessa giapponese che deve vedersela con una maledizione di famiglia (che non viene mai del tutto spiegata) e una doppia personalità interpretata dal suo decisamente più divertente fratello gemello defunto (di nome Bates, in omaggio a Psycho), che invece di nascondersi può anche combattere –
prendere a calci delle bambine, per lo più.

Clock Tower 3 è uscito nel 2002, ma non appartiene più alla Human Entertainement – che nel frattempo aveva dichiarato bancarotta in seguito a delle infelici scelte finanziarie – bensì alla Sunsoft, che pubblica però con la Capcom. Un’informazione abbastanza rilevante se consideriamo che fino a quel momento la Capcom deteneva uno dei più agguerriti rivali di questa saga: Resident Evil, che aveva avuto nel frattempo uno sviluppo parallelo a quello di Clock Tower.
Il primo Resident Evil, che fu pubblicato nel 1996, era pensato proprio per essere un remake 3D di quello Sweet Home di cui sopra: l’inventario limitato, le stanze di salvataggio, la narrazione attraverso appunti sparsi nel gioco, perfino le sequenze delle porte che si aprono, provengono tutte da questo gioco! Ma questa è un’altra storia e qui non abbiamo lo spazio per raccontarla.

Con Clock Tower 3 abbiamo definitivamente abbandonato la storia di Jennifer e dei Borrows, ma ritorna una torre dell’orologio. La nostra protagonista questa volta è Alyssa Hamilton – quasi lo stesso nome del titolo precedente – una giovane studentessa che si trova ad affrontare suggestivi viaggi nel tempo, fantasmi terrificanti e gente armata di martelli e forbici (di nuovo). Alyssa scoprirà di essere l’ultima discendente di una stirpe di prescelte (rigorosamente adolescenti) in grado di combattere le forze del male, grazie all’ausilio dell’acqua santa e di una specie di arco di luce spara-fulmini in pieno stile “anime magical girl”, più o meno. Nonostante il cambio di trama, e l’esilarante piega un po’ Buffy un po’ Sailor Moon che assume a partire da un certo punto del gameplay, questo titolo è per storia, lore e giocabilità tra i più godibili della saga, e assolutamente quello più consigliato.

Gli anni 2000 e gli eredi spirituali

Gli anni 2000 iniziano col botto con il celebre Resident Evil Code: Veronica, il primo titolo del famoso franchising che utilizza ambienti in reale 3D invece che scene prerenderizzate. Questo conferì al gioco una maggiore qualità visiva che al tempo fu definita “hollywoodiana”, insieme alle atmosfere gotiche date dall’ambientazione e dalle musiche ben scelte. Sono gli stessi anni in cui vediamo farsi spazio sulla scena molti titoli poi divenuti i grandi classici horror per la Playstation 2: il franchising di Project Zero/Fatal Frame (2001), Silent Hill 3 (2003), Siren (2003), lo stesso Clock Tower 3.
Arrivati a questo punto, siamo costretti a rallentare nella narrazione e a fornire qualche riga di contesto, perché la storia di Clock Tower entra a far parte della storia della Capcom, e si intreccerà spesso con quella di Resident Evil.
Quello che sarebbe dovuto essere il prossimo titolo della saga sugli zombie, Resident Evil 4, divenne per la Capcom il terreno di prova di molti esperimenti di gameplay. Si volevano ottenere risultati più dinamici, con combattimenti corpo a corpo più interessanti, scene più cinematografiche, e in qualche modo ringiovanire la saga – eliminando gli zombie, per esempio. Il processo richiese molti anni e molti cambi di programma e da esso videro la luce anche altri titoli Capcom, ma fu così che nacquero meccaniche innovative come la telecamera dinamica “over-the-shoulder”, che “segue” il personaggio rendendo l’esperienza di gioco molto più movimentata, e che per ovvie ragioni fu subito integrata nella maggior parte dei videogiochi d’azione che seguirono fino ai giorni nostri. Quindi sì, se vi piace The Last of Us,
lo dovete proprio a Resident Evil 4.

Resident Evil Code: Veronica – elementi topici che funzionano sempre: i gemelli pazzi incestuosi, un’antica
mansione piena di tranelli, il filtro seppia.

Possiamo quasi dire che era iniziata una golden era del genere horror, e non sorprende che tutti volessero inaugurare la propria personalissima saga del terrore: lo stesso Rule of Rose nacque nel 2006 perché la Sony, pur contando già con il successo di Siren, voleva un gioco horror “diverso dagli altri”, e che affrontasse tematiche meno giapponesi. Peccato che, nonostante l’originalità della storia (un po’ come se il Signore delle Mosche e le fiabe dei fratelli Grimm avessero avuto un figlio molto perverso), nelle meccaniche di gioco riprende – un po’ male – un titolo Capcom troppo spesso sottovalutato.
Stiamo parlando di Haunting Ground, pubblicato nel 2005 (quindi un anno prima), ma eclissato dal più atteso Resident Evil 4 uscito nello stesso anno. Possiamo definire questo gioco un po’ come l’anello di congiunzione tra Clock Tower e Rule of Rose, poiché questa volta ci troviamo di fronte a un “videogioco horror che ha per protagonista un’orfana che non si chiama Jennifer ma che ha un cane”. Si vocifera che, all’inizio dello sviluppo, il gioco era pensato effettivamente per chiamarsi “Clock Tower 4”, del quale recuperava la meccanica del panico e il concetto di dover eludere i nemici invece di combatterli. Ma essendo in un momento di sperimentazione, si fece un po’ di taglia e cuci con alcune fasi embrionali di
Resident Evil 4, dal quale nacque anche Devil May Cry (2001). La sceneggiatura di Haunting Ground apparteneva a Noboru Sugimura (che lavorò anche a Resident Evil Code: Veronica e a Clock Tower 3) e fu una delle sceneggiature pensate per questo Resident Evil 4 “Castle version”, che doveva essere ambientato nel castello degli Spencer e che rappresentava a tutti gli effetti il seguito di Resident Evil Code: Veronica. Ma di esso esiste solo un trailer per GameCube.

In Haunting Ground voliamo in un posto non ben definito tra le Alpi (guarda caso, dove era ambientato Phenomena) e vestiamo i panni di Fiona Belli, una diciottenne ovviamente orfana che si trova prigioniera in un castello e deve vedersela contro gli orrori della sua stessa famiglia, una stirpe di alchimisti un po’ fuori di testa. Durante il gioco, Fiona salverà un cane (un pastore bianco di nome Hewie) che aiuterà la protagonista trovando oggetti per lei e ostacolando i nemici – suona familiare? L’IA di Hewie, paragonata a quella dell’affezionato Brown di Rule of Rose, è considerata decisamente più raffinata e completa, così come altri elementi del gameplay. Anche qui, uno degli stalker è un gigantone armato di cesoie, questa
volta giustificate dal fatto che il nostro amico è il giardiniere del castello. Per il resto Haunting Ground è stato un gioco molto apprezzato da chi ha avuto la possibilità di conoscerlo, sia per il gameplay sia per il gusto, tutto gotico e farcito di citazioni in latino, che caratterizza anche gli altri titoli Capcom dell’epoca.

Con la pubblicazione di Haunting Ground, Capcom voleva probabilmente chiudere e seppellire il franchising di Clock Tower per potersi concentrare su altri titoli ben più remunerativi e in cui c’era molta più azione, essendo la meccanica del panico e del “nascondino con gli stalker” abbastanza trita ed esplorata (o forse no, dato che continuerà a essere applicata per alcuni dei più iconici boss di Resident Evil). La saga dell’orologio però non fu mai del tutto dimenticata e qui e lì continuarono a sorgere altri “eredi spirituali” più o meno riusciti.
Qui arriviamo a Rule of Rose, che per molti versi non rientrerebbe nello stesso genere a cui apparterrebbero Clock Tower e Haunting Ground, dal momento che non c’è una meccanica del panico e neanche uno stalker vero e proprio. Il tipo di horror esplorato in questo gioco è ben differente, forse più raffinato di un semplice inseguitore con le cesoie. Si tratta infatti di un survival prevalentemente psicologico e senza un sistema di combattimento sensazionale, ma più focalizzato sullo storytelling. In Rule of Rose, come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, interpretiamo sempre un’orfana di nome Jennifer, una ragazza infelice e traumatizzata che non ricorda nulla del suo passato. Questa volta lo scenario non è un labirintico maniero ma il labirinto della mente stessa, dato che giochiamo a cavallo tra i
ricordi color seppia di un logoro orfanotrofio e il mondo del sogno che ci trasporta all’interno di uno strano dirigibile abitato dai mostri della sua infanzia. La narrazione della storia è ben riuscita e mantiene col fiato sospeso fino alla fine: l’uso del simbolismo, l’esplorazione del male, l’inquietudine e la nostalgia sono sapientemente intrecciate. Il gioco fu prodotto per la Sony dalla defunta Punchline, che contava solo 25 impiegati ed ebbe vita molto breve. La mente dietro l’idea del gioco era Yoshiro Kimura, che inizialmente pensava a una storia su un ragazzo rapito da un adulto che doveva fuggire con l’aiuto dei fantasmi delle precedenti vittime; il tema, ritenuto troppo rischioso, fu rifocalizzato sull’idea che i nemici fossero proprio i bambini, e si sarebbe incentrato sulle inquietudini e sulle crudeltà di un gruppo di
orfani lasciati a loro stessi durante gli anni della guerra.

Ma quindi, se non c’è una meccanica del panico e non c’è uno stalker, vogliamo definire Rule of Rose come un gioco “figlio” di Clock Tower solo sulla base del nome della protagonista?
No, ovviamente no. Il nome è probabilmente un omaggio, ma esplorando il codice del gioco è possibile trovare una serie di animazioni non usate per il personaggio di Gregory (un uomo robusto e un po’ disturbato, ma non possiamo dire di più) e quella che sembra una meccanica per “tracciare” le posizioni di Jennifer e del cane Brown, suggerendo la presenza poi eliminata di un inseguimento in pieno stile Clock Tower. L’intenzione c’era, ma i tempi di produzione restrittivi evidentemente non hanno permesso di implementarla. Per il resto, Rule of Rose non ha mai rivendicato nessuna appartenenza al filone, volendo probabilmente brillare per essere un gioco differente da qualsiasi produzione Capcom. Ci sono altri titoli
invece che rivendicano a gran voce l’eredità della saga dell’orologio.

Hifumi Kouno e l’ossessione per le forbici.

Ora facciamo un passo indietro, di nuovo. Abbiamo detto che la Human Entertainement aveva dichiarato bancarotta, ma Hifumi Kouno, il creatore dei primi due Clock Tower ispirati a Phenomena, era nel frattempo diventato il CEO di una nuova compagnia in cui si riciclarono la maggior parte dei membri della defunta Human Entertainement: la Nude Maker, che fu contrattata più di una volta da SEGA, Konami e dalla stessa Capcom.

Project Scissors: NightCry – anche se siamo su una lussuosa nave di crociera in cammino verso i Caraibi, non riusciamo comunque a liberarci di un nemico armato di forbici che farà di tutto per ucciderci.

Nonostante ciò, Hifumi non fu mai coinvolto nello sviluppo di Clock Tower 3 e aveva ormai perso ogni diritto sulla sua stessa creazione. Tuttavia, nel pieno di un ritorno di fiamma rappresentato da Project Scissors: NightCry (2016), decise comunque di rimetterci mano mettendo insieme una squadra di tutto rispetto: nel team appaiono nomi come Masahiro Ito, creatore e designer di
cosucce come Silent Hill, Takashi Shimizu, il regista di Ju-on e The Grudge, e Nobuko Toda, la compositrice delle musiche di Metal Gear Solid. Tra gli artisti principali appare anche l’italiano Chris Darril, di cui sentiremo parlare di nuovo tra poco. Nonostante queste premesse, il gioco fu generalmente considerato un flop, avendo una grafica troppo ostica per essere del 2016, un pessimo doppiaggio e delle animazioni che possiamo anche definire divertenti nel senso ridicolo del termine.

Un esempio della qualità del gioco e del modo di correre della protagonista.

Ci serve una produzione italiana dell’anno successivo per tornare in carreggiata, con Remothered: Tormented Fathers (2017). Il prima citato Chris Darril decide di omaggiare la serie a modo suo, riprendendo l’ormai familiare dinamica dell’esplorazione di una villa in cui bisogna eludere dei terrificanti stalker. Il gioco è sviluppato dalla Stormind Games e ritroviamo la partecipazione della compositrice Nobuko Toda per la colonna sonora. Anche questo gioco ebbe uno sviluppo lento e più volte revisionato, tanto che inizialmente doveva essere un vero e proprio remake del primo Clock Tower. Ma nella sua versione finale prese una piega completamente diversa, in cui vediamo come protagonista la (presunta) dottoressa Reed, che si infiltra in casa Felton per indagare sulla scomparsa di una bambina di nome
Celeste. Nel corso delle indagini, la dottoressa Reed dovrà far fronte a spaventosi inseguitori
come una squisitamente “darioargentiana” Monaca Rossa armata di colonna vertebrale, contro la quale dispone di ben poche risorse per difendersi.

I riferimenti a Clock Tower, Haunting Ground e Silent Hill sono innumerevoli e non è questo
il luogo per elencarli. Ciò che salta all’occhio, però, è che anche in questo gioco c’è una
Jennifer, ed è anzi proprio il fatto di chiamarsi Jennifer che costituisce il nodo dell’intreccio.
Una Jennifer il cui design ricorda molto quella di Rule of Rose ritorna come co-protagonista nel seguito Remothered: Broken Porcelains (2020), in cui si fa luce sul mistero delle suore del Cristo Morente e su un farmaco sperimentale che ricorre nel primo gioco. La storia di Remothered potrebbe tranquillamente passare per una pellicola (di quelle buone, e con gli
stessi buchi di trama) di Dario Argento, con tanto della presenza di una “Madre Acherontia” che ha tutta l’aria di citarlo, e forse non è un caso che il secondo gioco sia stato pubblicato un paio di anni dopo l’uscita nelle sale dell’elegantissimo remake di Suspiria di Guadagnino. Ok, forse elegante non è il termine giusto, ma ci stiamo capendo lo stesso.

Altre due Jennifer a confronto: Rule of Rose e Remothered: Broken Porcelain

Tornando al gioco, la parentesi cinematografica non cade causalmente, perché con la Jennifer di Remothered il cerchio un po’ si chiude: per ragioni che sarebbe spoiler commentare, ella infatti può controllare le falene, un potere simile a quello della Jennifer di Phenomena che comunicava con tutti gli insetti. Le falene, dopo tutto, sono un elemento ricorrente nella saga di Clock Tower, per non parlare del tema della memoria perduta – le nostre Jennifer tendono spesso
all’amnesia – che è centrale anche in Rule of Rose.

Infine, la saga di Remothered esigeva un terzo titolo per completare l’annunciata trilogia, ma
nel 2022 Chris Darril si tirò fuori dalla produzione e non pare esserci speranza perché il gioco veda la luce. Un vero peccato, ma rimaniamo comunque soddisfatti della piega che hanno preso gli eventi (un delizioso effetto farfalla?), se consideriamo che tutto ebbe inizio perché un giovane Hifumi Kouno, nel Giappone del 1995, chiuso nel suo dormitorio universitario, visionò una pellicola di Dario Argento e si disse “ma sí, perché no?”.


“…So when I created Clock Tower, I drew from what fascinated me about horror films like
Phenomena and Suspiria. The suspense of being chased and the thrill of hiding from a killer
while holding your breath – neither of these aspects existed in video games at the time. That’s
why I felt it was worth depicting them.

(Hifumi Kouno)