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"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."

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#recensione

Letture Arcane – Febbraio ’23

Due cose sono certe a febbraio: la festa degli innamorati e la sessione invernale, entrambe spine nel fianco. Ci poteva essere una sola carta adatta per questo mese, ed è un arcano maggiore, una delle mie preferite, signore e signori:

La papessa

Ci può essere qualcosa di più arcano della Papessa? Forse no. Nella traduzione inglese questa carta riporta il nome di Grande Sacerdotessa, che mi perplime, perché secondo me è proprio Papessa il nome giusto. Una figura che va a rompere completamente gli schemi e a prendersi un titolo che non è mai stato concesso a nessuna donna, quello di capo della Chiesa. In realtà questa carta trae origine da quella che si è fatta passare come una leggenda (anche se nessun* ha mai dimostrato il contrario), legata alla Papessa Giovanna, che ha pontificato tra l’855 e l’857 con il nome di Giovanni VIII, scoperta poi per colpa di una gravidanza e allontanata dal seggio pontificio. La Papessa delle carte è la figura più misteriosa tra gli arcani, assisa su un trono è posta davanti a una tenda, un velo, cosa ci nasconderà dietro? Non solo mistero, la Papessa è anche una carta che esprime purezza, da sempre associata alla verginità (anche alla Madonna) e non si accompagna con nessuno. Vive una solitudine scelta, ponderata, che le serve per raggiungere i suoi obbiettivi, studiosissima, la Papessa è profondamente legata alla vita studentesca e infatti viene sempre rappresentata con un libro o nella versione moderna del mio Modern Witch Deck con un PC.

Che cosa nascondo? Che cosa devo studiare?

Queste sono le domande che si pone questa carta e che dovremmo farci tutt* in questo periodo. La Papessa è la prima donna del mazzo, che tiene dentro di sé tantissime cose, è la carta dell’accumulo, ma non a livello materiale. L’accumulo della Papessa è tutto spirituale, lei ci invita a guardarci dentro: anche noi abbiamo accumulato tanto, molto spesso abbiamo tenuto dentro verità scomode, segreti, sentimenti che non riusciamo a esprimere e che probabilmente non vogliamo dire. Questa è una carta che non solo ha scelto la solitudine, ma sceglie anche il silenzio. Molto spesso evitare di affrontare le situazioni, girarci intorno, ci sembra il modo più facile e indolore per venire a capo di alcuni problemi, ma tutto questo accumulo ci farà bene? Vi ho già detto che questa carta parla anche di verginità, ma non stiamo parlando solo dell’ambito sessuale. La Papessa custodisce delle verità, rimane ferma nelle sue convinzioni, è fredda, rigida, educata e niente e nessun* riesce a contaminare le sue idee, né può farle cambiare idea. Questa chiusura totale verso l’esterno ci rende però insensibili e anche se in un primo momento la solitudine ce la siamo scelta, il confronto è sempre fondamentale, solo gli stupidi non cambiano mai idea e la Papessa tutto è, tranne che stupida. Lei studia, ricerca, s’informa, pur essendo la carta della verginità è in continua gestazione, perché lei produce idee, crea, scrive, disegna e dà vita a progetti, costruendo i suoi sogni.
La Papessa è anche la carta che si lega al concetto di matriarcato, di un nuovo ordine sociale che deve andare a scardinare lo status quo, questa figura che non è mai esistita storicamente, vuole comunque il suo posto e acclama il potere.

“Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost” andate, studiate, create.

Cosa leggiamo?

Oltre la periferia della pelle, Silvia Federici, D Editore.

Studio, storia, femminismo, sono le parole chiave di questa carta, ma anche degli scritti di Silvia Federici. Se non l’avete ancora fatto vi prego di recuperare Calibano e la strega, un’opera fondamentale che attraverso una disamina storica dal Medioevo arriva fino ai giorni nostri per spiegarci come il patriarcato ci ha privato sempre di più della libertà e come il capitalismo ha colpito più di tutti le donne, andando a completare quello che la critica al capitalismo non aveva mai preso in considerazione. Seguito di Calibano, Oltre la periferia della pelle parla di corpi e di come le istituzioni e il capitalismo controllano i nostri corpi. Federici delinea anche in questo caso una storia puntuale che ci fa mettere in discussione ciò che sappiamo e anche ciò in cui crediamo fermamente.

Cosa guardiamo?

Little Fires Everywhere (Miniserie)

Per scegliere questa serie ci si è concentrate soprattutto sul concetto del matriarcato, con queste due madri (interpretate da Reese Whiterspoon e Kerry Washington) veramente diverse da loro, chiuse in visioni antitetiche: la prima è una working mom con la famiglia perfetta da Mulino Bianco, la seconda una mamma single, artista, con un’unica figlia per cui ha fatto veramente di tutto. Riflette l’essenza di essere madri ma anche donne con i propri bisogni (con una versione di “Bitch” pazzesca che ricordo ancora a distanza di tre anni) e risponde a un’altra domanda che ci pone la Papessa: cosa nascondono le protagoniste? Aver seppellito il desiderio di poter essere qualcosa di più, relazioni passate, collaborazioni segrete o molto altro che potrebbe metterle in serio pericolo? A voi scoprirlo.

Letture Arcane – Gennaio ’23

È iniziato un nuovo anno e ci eravamo lasciat* con Il Matto che ci prospettava un fine 2022 veramente scoppiettante. Dopo gli imprevisti e i cambi di rotta a cui ci ha portato l’Arcano 0, entriamo in questa nuova annata con una delle carte più sicure.

Regina di Pentacoli

È la prima volta che nelle nostre letture arcane incontriamo una Regina. La Regina più salda e ferma, quella di Pentacoli. Sappiamo ormai che i Pentacoli sono il seme legato alla terra, alla produzione e alla materia. La Regina di Pentacoli è custode di questa abbondanza che arriverà dritta dritta tra le nostre braccia, è una carta che parla soprattutto al successo lavorativo. Una delle letture che preferisco fare che riguardano la sfera lavorativa, la vedono al centro, scoperta, un po’ come protezione e buon auspicio per il resto della lettura.

Quindi cosa ci aspetta? Un momento positivo ma non dal punto di vista meramente economico, ci sono soddisfazioni nel lavoro o nello studio, insomma là dove ci stiamo impegnando saremmo ricompensat*. La Regina è una custode della moneta, ma noi non dobbiamo diventare Zio Paperone, anzi, lei ci dice proprio che il benessere va condiviso.

Le carte non ci parlano nella logica capitalista, anzi tutto al contrario: i successi nella vita possono venire da sfere diverse e questo è il loro momento, i soldi non sono tutto e forse il successo più grande sarebbe quello di riuscire a dedicare maggior tempo a ciò che ci piace fare e che sicuramente non si lega alle ore di lavoro o alla produttività, ma parla sempre a una collettività e al benessere condiviso. Il rovescio di questa prosperosa situazione infatti è diventare egoist* e avar*, far pesare i nostri successi su chi al momento non ne sta avendo e arraffare tutto senza gioire con gli altri dei nostri guadagni. L’importante quindi è godersi con altr* il successo che arriverà insieme alla Regina, a proposito è per caso una donna la persona che vi incoraggia nel lavoro, nello studio o in qualsiasi vostro progetto? Potrebbe essere lei la vostra Regina.

Cosa leggiamo?

Il banchetto annuale della confraternita dei becchini, M. Enard, Edizioni E/O.

David Mazon è un giovane antropologo e si trova ad avventurarsi nella campagna francese per scrivere la sua tesi di dottorato. Tra pittoreschi personaggi e rocambolesche situazioni, David cerca di portare a termine il lavoro che lo vedrà finalmente dottore, sicuramente un traguardo importantissimo. Attraverso gli occhi e le parole di David capiremo un po’ meglio il mestiere dell’etnologo e anche le frustrazioni di chi non finisce mai di studiare, lui di Regine che lo aiutano nel suo intento ne ha un po’ alcune puramente benigne e altre che lo fanno crogiolare nella frustrazione.

Questo è anche il libro del mese del bookish bookclub, che stiamo leggendo proprio ora (siete ancora in tempo per unirvi a noi)!

Le guerriere della valle, A. Flechais, J. Garnier, Tunuè

Il successo qui non è né di studio, né lavorativo si tratta di un successo ben più importante, che riguarda tante vite e il futuro di un intero villaggio. La protagonista di questo fumetto è Molly che entra a far parte dell’ordine delle Pastorelle Guerriere, le donne che, lasciate sole durante la Grande Guerra hanno dovuto difendersi nei loro campi di battaglia, far andare avanti l’economia, la famiglia e difendere tutto ciò che non era sul fronte, ma era comunque martoriato dalla guerra.

Cosa vediamo?

Good Girls (4 stagioni, conclusa)

Qui di Regine ne abbiamo ben tre, le sorelle Beth ed Annie insieme alla loro amica Ruby, mogli e madri in modi totalmente diversi, con tutti i patemi del caso: mariti assenti e incapaci di gestire le finanze, affidamento dei figli e malattie in un sistema sanitario americano in cui dovresti girare con la carta di credito appese al collo.

Da una rapina improvvisata le donne si ritrovano catapultate nel mondo di Rio, capo di una losca gang, e finiranno per invischiarsi inevitabilmente nei loro affari.

La matassa si inizia a intrecciare, soffocando sempre di più il senso etico e facendo emergere la vera natura delle tre, soprattutto quella di Beth (che, ə più attentə di voi avranno notato, è interpretata da una delle protagoniste di Mad Men, la conturbante Joan). A un certo punto viene spontaneo chiedersi: quali azioni sono mosse da necessità e quali semplicemente per una prorompente voglia di potere e di riscatto?

Best of 2022 – SERIE TV

Un altro anno è passato e, come al solito, è tempo di ricordare (o, nel mio caso, di tornare indietro il più possibile su Tv Showtime) tutte le serie passate sugli schermi in questi 12 mesi, tra vecchie, nuove, rinnovi e finali, e decidere quali vale la pena ricordare: per me è sempre il remake de La scelta di Sophie ma, con fatica e dedizione, sono riuscita anche quest’anno nell’impresa.

Heartstopper

Tratta dall’omonimo webcomic di Alice Oseman (ora anche serie di graphic novel), si racconta la storia d’amore tra due ragazzi, Charlie e Nick; uno dei pochi gay dichiarati della scuola il primo, gentile e popolare giocatore di rugby il secondo. Dall’inizio sembra una storia impossibile, persino per un’amicizia: ma in otto puntate si arriva a una riflessione profonda sulla sessualità, senza drammoni da soap opera ma esplorando sentimenti ed emozioni reali. Rispetto alla controparte di carta qui si ha la possibilità di approfondire le storie dei personaggi cosiddetti “secondari”, che meritano assolutamente sia per l’interpretazione che per la rappresentazione di varie realtà della comunità LGBTQ+.

Una storia dolcissima, da vedere tutta d’un fiato.

How I met your father

Vi vedo alzare gli occhi e iniziare a chiudere la pagina. I reboot/sequel/spin off non sono mai visti bene, specie di una serie importante com’è stata How I Met your Mother. Ma provate a lasciare da parte la tabella dei confronti, a dimenticare le aspettative e a cercare di ritrovare gli stessi identici personaggi in dei nuovi interpreti: questo improbabile gruppo di sei, capitanato dalla romantica Sophie (narratrice e protagonista, interpretata da Hillary Duff e Kim Cattrall) è unico, eterogeneo e con molte cose da raccontare sull’essere giovani a New York nel 2022. La chimica tra di loro è da subito percepibile, il mistero sul padre è leggermente più fitto e richiama subito alle prime puntate e ci sono degli omaggi alla serie madre che vi stupiranno e vi faranno commuovere. Con queste premesse dategli una possibilità e non ve ne pentirete.


House of the Dragon

Anche qui meglio evitare un confronto con la serie madre, soprattutto sapendo come quella sia andata a finire. Varrà quindi la pena iniziare questa serie incentrata sulla dinastia del Drago, sulle loro tradizioni, sulle lotte di potere per quel trono che è ancora al massimo dello splendore? Per me lo è stato: già dalle prime puntate si sente un ritorno a quella sceneggiatura distesa, che si prende tutti i tempi per mostrare un mondo e dei personaggi che non ci sono familiari, ma con omaggi a elementi che ci fanno ancora tremare dall’emozione. Per me è stato come decidere di ritornare in un luogo che mi ispirava tanto ma che per cause esterne mi aveva fatto schifo la prima volta che c’ero andata: una sensazione di dèja-vu e di novità unite alla voglia di fare le cose diversamente. Per ora il viaggio è piacevole quindi me lo godo: in caso contrario stavolta diamo noi fuoco a Westeros.

The Bear

Una delle serie rivelazione dell’anno e ha ben ragione di esserlo. Carmy, ragazzo prodigio dell’alta cucina, ritorna a Chicago per gestire la fatiscente paninoteca di famiglia dopo il suicidio del fratello maggiore, cercando allo stesso tempo di elaborare il lutto. Una serie che crea dipendenza e di dipendenza se ne parla parecchio: dalle pasticche, dall’alcool, da quella cucina che diventa la tua casa, da quella brigata che diventa la tua famiglia, dall’ansia che scaturisce da ogni semplice comanda e dalla scansione delle ore del servizio. Pensiamo che programmi come Masterchef o Hell’s Kitchen ci abbiano abituati alla realtà, ma è qui che si vede, anche se in modo coreografato, il vero mondo della cucina; sporco, veloce, rude, ma anche pieno di rispetto, di passione e creatività.

Boris 4

Nonostante abbia una storia di tre stagioni e un film a precederla, questa nuova stagione di Boris è un inedito sotto alcuni punti di vista: non si fa più critica alla possibilità di una tv diversa, ma di una serialità. Il nemico non è più la Rete, ma la Piattaforma con il suo crudele Algoritmo che cerca la diversità omologando tutti i prodotti, tra rappresentazione e amori teen; le frasi motivazionali (“dai, dai, dai”) in inglese sono percepite come frasi che non si possono dire, ci si chiede se “a merdu” sia accettabile per rivolgersi agli stagisti e si deve stare attenti a non avere caccolette negli occhi o sono guai!

Di uguale c’è la genialità di alcune battute che hanno ancora lo stesso spirito, nonostante siano passati dieci anni, e che sono destinate a diventare nuovi tormentoni (“Lo dimo” il nuovo “F4”); ma anche di alcuni attori che rimangono fedeli alle loro controparti (nonostante alcuni risultino più macchiettistici), tra tutti Corrado Guzzanti con le sue improvvisazioni senza sbavature e che portano a farti stare male dal ridere.

Alcuni della troupe non sono più tra noi (Daje cor vino, Itala, sempre), sia nella finzione che nella realtà, portando a un livello ancora più estremo il gioco della metavisione, alla base del progetto, dando vita a uno dei saluti più belli e sinceri visti sullo schermo.

Le serie non scadono (i recuperoni)

Cougar Town

Una serie adatta agli orfani di Friends e Scrubs in cui Monica Geller si è reincarnata in Jules Cobb, una quarantenne fresca di divorzio che decide di rispolverare la sua vita amorosa con accanto il suo nucleo familiare disfunzionale che comprende il figlio adolescente Travis, l’ex marito Bobby, il vicino di casa cinico Grayson e le sue amiche più care, Laurie, giovane assistente che cerca di motivarla in questa rinascita, ed Ellie, praticamente una seconda Jordan Sullivan, anche lei reincarnata in questa neomamma di una piccola cittadina in Florida (anche se il marito Andy non è per niente come Cox fisicamente ma ugualmente esilarante).

Le risate sono garantite così come il vino (e gli innumerevoli recipienti di dubbia capacità in cui berlo)!

E anche per quest’anno diciamo addio a un paio di serie poco amate, ovvio

Farewell to…

Grace and Frankie

Di cosa parla questa serie già lo sapete se avete consultato le Letture Arcane di Novembre (se non lo avete fatto, aggiornatevi qui!): ho faticato a vedere la seconda parte della stagione finale perché non avevo assolutamente voglia di staccarmi dal mondo di queste due nemiche-amiche, talmente folli da decidere di vivere insieme nonostante siano agli antipodi e smettano di parlarsi almeno una volta al giorno. Ma il loro viaggio doveva concludersi e lo ha fatto nel migliore dei modi, affrontando come ultimo nemico quello che prima o poi tutti dovranno affrontare e che ci separa inevitabilmente dalle persone amate: la Morte. Lo hanno fatto mixando commedia e drammaticità come Grace prepara i suoi Martini o Frankie utilizza i pennelli, in equilibrio perfetto ma facendo trasparire una sorpresa amara. Tutti i personaggi, compresi i figli e gli ex mariti, dopo aver fatto i conti, sei anni fa, con la fine delle loro vite apparentemente perfette, devono vedersela con nuovi inizi. E non sempre è una scelta facile da compiere.


This is Us

Di questa serie ho parlato per ore, sono diventata come una predicatrice che vuole convincere la gente a convertirsi.

Ho raccontato, a chiunque volesse ascoltarle, le vicende della famiglia Pearson, di Jack e Rebecca alle prese con il loro ruolo di genitori di tre figli: Kate e Kevin, gemelli biologici nati da un parto plurigemellare (a cui il terzo gemello non è sopravvissuto) e Randall, neonato afroamericano che sarà adottato dalla coppia in ospedale; diversissimi tra loro ma incredibilmente uguali nelle loro paure e nelle loro ansie.

Ho vissuto con loro le festività (soprattutto il Ringraziamento), gli amori, i drammi, le dipendenze che questa famiglia ha attraversato negli anni, attraverso cliffhanger misuratissimi e mai banali e la sovrapposizione di più piani temporali, innovazioni che hanno elevato questo family-drama, facendolo diventare unico nel suo genere.

Ho fatto il tifo per tutti i personaggi che si sono aggiunti a questo piccolo nucleo; alcuni sono entrati subito nel mio cuore, altri hanno faticato per essere apprezzati, altri ancora non mi hanno mai toccato profondamente. Nessuno è perfetto dentro questa serie, nemmeno quest’ultima stagione è stata perfetta: un po’ disomogenea, con alcuni tempi morti e il fiatone per recuperare pezzi perduti l’anno prima a causa della pandemia, ma anche piena di momenti intensi e di viaggi simbolici e non.

Ma non è così che sono le persone reali? Non è così che va la vita? Uno straordinario caos che ci insegna, parafrasando una delle frasi più belle di questa sesta stagione, che il mondo non deve fermarsi per le cose brutte che ci accadono, non importa quanto paralizzanti siano, perché sarebbe tutto buio: deve continuare a girare così da poter trovare uno spiraglio di luce dall’altra parte della porta.

Per me questa serie è stata davvero un faro in questi sei anni: spero che sia lo stesso anche per chi la inizierà ora.


Il caso Innocence, M. Bagnato

Ogni città ha la propria anima, luminosa o meno che sia, che ne pervade ogni viale, ogni cortile, ogni campanile di ogni chiesa. Può gettare ombre o rischiarare le tenebre nelle vite di chi la abita, ma in definitiva è la gente stessa a forgiarla, nel bene o nel male, a renderla quello che è. Ogni città ha la propria anima, ma quella di Emerald Falls era nera come la morte.

Il caso Innocence (Golem edizioni) di Mattia Bagnato è un romanzo duro, che non fa sconti.

Protagonista indiscussa è Clara, una giovane donna che, come scopriremo presto, ha compiuto uno spietato delitto – chi sia la vittima resta un mistero fino alle battute finali – e la cui salute mentale è posta sotto esame. Follia o premeditazione? È questo l’interrogativo che si pone il lettore e, con lui, la dottoressa Page, convocata per stilare una perizia psichiatrica e pronunciarsi in merito: sarà lei che dovrà decretare in quale struttura Clara sconterà la sua pena. Sì, perché a dispetto del nome – Clara Innocence – la nostra protagonista si dichiara colpevole senza mezzi termini, con una lucidità che non lascia spazio a interpretazioni. Eppure, addentrandosi nella sua storia, il lettore non può fare a meno di ritenerla una vittima più che la carnefice.

Il racconto è scandito in quattro fasi – a cui corrispondono altrettante sezioni del testo – che ripercorrono le tappe salienti dell’esistenza di Clara, narrando soprattutto i traumi che ne hanno provocato la progressiva deriva e, apparentemente inevitabile, caduta. A far da sfondo Emerald Falls, una cittadina degradata sulla quale sembra gravare un’ombra che condanna i suoi abitanti al baratro: la sua inquietudine così viscerale ricorda quella di Derry, nata dalla penna di Stephen King, a cui forse Bagnato si è ispirato nel rievocare un’idea di città che diventa parte attiva delle vicende che accadono ai protagonisti. Senza voler entrare nel merito dell’intreccio – originale, complesso e che merita di essere scoperto durante la lettura, con tutta la sorpresa che molti risvolti possono regalare – non si può non evidenziare quanto l’autore sia stato accurato nell’incastrare ogni tassello in maniera coerente e allo stesso tempo sbalorditiva. Per esempio i numerosi comprimari che attraversano le pagine non sono mai figure accessorie, ma giocano sempre un ruolo essenziale nella vicenda di Clara. Sorge quindi spontaneo chiedersi quanto l’ambiente, le circostanze, gli incontri siano determinanti – nel bene o nel male – a imprimere una direzione all’esistenza delle persone. E, ancor di più, sorge spontaneo chiedersi cosa ne sarebbe stato di Clara, di quella bambina piena di sogni e aspirazioni che abita le prime pagine, se la vita non avesse imposto alla sua storia un inarrestabile declino. E non solo per lei.

Forse se avesse avuto degli amici su cui fare affidamento, una famiglia che lo aspettasse oltre quei pesanti cancelli neri di ferro battuto, una casa in un quartiere rispettabile e un cane da portare a spasso al guinzaglio tutte le mattine, allora forse quella libertà tanto agognata e allo stesso tempo temuta non l’avrebbero terrorizzato in quella maniera. Fatto sta che lui non aveva niente di tutto ciò […].

Sono domande a cui il romanzo non fornisce una risposta, lasciando che sia il lettore a formulare la propria ipotesi. Eppure è presente una traccia, un indizio che non si può trascurare: la scrittura.

Clara scrive, e continua a farlo anche quando la vita sembra sempre più simile a una colpa che a un dono. Se la scrittura sarebbe stata la vocazione che l’avrebbe condotta a una vita migliore, se non più bella in assoluto, non è dato saperlo: l’unica cosa certa è che resta l’unica oasi in cui Clara può sempre trovare sollievo.

La scrittura rende liberi, sembra quindi voler concludere Mattia Bagnato, lasciando che una scintilla di speranza rischiari anche la notte più buia.

Io, lui e Muhammad Ali, R. Jarrar

Chi è già approdato su questi lidi sa che io ho un problema con i racconti. Non so cosa sia, la loro brevità forse? O quella sensazione di non finito che mi ha sempre lasciata perplessa. Stavolta il “non finito” ha lasciato spazio praticamente alla disperazione. I racconti di Randa Jarrar, contenuti in Io, lui e Muhammad Ali, con la traduzione di Giorgia Sallusti, editi da Racconti, sono veramente stupefacenti e io ancora, dopo giorni dalla fine della lettura, mi domando come sta la bambina che è stata investita? E la relazione messa in crisi dal marinaio è ancora in piedi? La spia alata che fine ha fatto?

Ogni personaggio che appare in questi racconti ha il potere di fissarsi nella memoria, è per questo che sono dispiaciuta. Vorrei leggere di più di ognunǝ di loro, se Jarrar facesse un romanzo per ogni protagonista dei suoi racconti li leggerei tutti, immediatamente. I personaggi sono vari: donne, uomini, bambinз, animali, tuttз legati tra loro dall’Egitto, c’è chi lì ci è natǝ, chi ci ritorna, chi ha vissuto ogni suo cambiamento; tuttз chi più, chi meno hanno dei conti in sospeso con questa terra, a volte estremamente benevola, altre più somigliante alla matrigna leopardiana. L’Egitto di Jarrar è una terra che dà, che accoglie, ma che non riesce mai davvero a trasformarsi: è fissa nei suoi modi, sembra giocare col destino dei suoi abitanti, dare fortuna a chi ne ha già da vendere e affossare chi è già sul lastrico.

Ad accomunare le persone che compaiono nei racconti c’è anche un altro tema ricorrente: la riflessione sulla condizione femminile. Ci sono donne emancipate, donne che invece non riescono a rompere con la tradizione, donne che hanno fatto della ribellione il proprio mantra, ma tutte sono consapevoli di vivere in una situazione di subalternità. In ognuna di loro c’è una visione chiara e nitida del mondo patriarcale che ci circonda, di una prigione mascherata da regole religiose e del buon costume. In alcuni punti la scrittura di Randa Jarrar mi ha fatto pensare ad alcuni passaggi di Elena Ferrante quando la Lenù de L’amica geniale si rende conto che le donne sono plasmate dagli uomini, i loro sguardi ci esaminano di continuo, le loro leggi non hanno lasciato spazio a nessuna.

“Pensaci” disse quella mattina, dando inizio alla giornata. “Chi ha dato il nome ai figli nella tua famiglia?” Mio padre. Lo dissi a Mansoura. Lei annuì e mi disse: “Come pensavo. Parte tutto con il modo in cui veniamo chiamate. Dobbiamo incoraggiare le donne a dare il nome ai figli.”

Anche se le riflessioni a cui arrivano le protagoniste delle due autrici sono molto simili, Randa Jarrar non dà mai spazio ai moralismi. Non ci sono spiegoni, né lamentele sterili, c’è solo una grande consapevolezza a cui si arriva attraverso un’analisi personale della propria condizione. Le donne di Io, lui e Muhammad Ali sono reali, fresche, leggere. Nessuna di noi è approdata alla verità sulla propria condizione, sulle discriminazioni, con un’illuminazione divina, le vie di Damasco per noi non sono mai state valicabili. Noi siamo giunte alla consapevolezza di noi stesse attraverso una stratificazione di conoscenze e di esperienze e sappiamo che ognuna di noi ha avuto un percorso diverso, per questo non ci ergiamo a paladine della verità e a giudicare le altre (questa è più una speranza che una verità, comunque) e così fanno anche le donne descritte da Jarrar. Mi rivedo tanto in loro, in alcune delle loro esperienze, in alcuni dei loro percorsi di crescita.

Non c’è nessuna pesantezza nei profili tracciati dall’autrice, c’è solo una grande voglia di raccontare la realtà. Conosciamo il mondo in cui viviamo, sappiamo che dobbiamo fare il doppio del sacrificio, ma dobbiamo anche viverlo questo mondo, con leggerezza, con simpatia, trattando anche situazioni serie e delicate con ironia e come in questo caso, coinvolgendo chi legge. Questo è il grande pregio di questo libro, si arriva a verità importantissime a riflessioni rivelatrici, ma in un modo effettivamente realistico e senza bacchettoneria, ricordando che oltre l’infinità di problemi a cui ci costringe questo mondo, c’è anche qualcosa che vale la pena di essere vissuto con tranquillità.

Insomma: magnativell’ n’emozione.

Iniziata, Amanda Yates Garcia

L’Oracolo di Los angeles, così è conosciuta Amanda Yates Garcia, strega professionista e scrittrice. Il suo libro, Iniziata, è di una rarissima potenza. L’autrice lo scrive nel 2019 descrivendolo come: “Una storia femminista della stregoneria, un’opera di teoria critica, un manifesto attivista, una mitologia personale e un libro di memorie” arriva in Italia nel 2020 grazie a Venexia Editrice.

Amanda Yates Garcia ha una storia travagliata e sofferta, non si è mai sentita accolta nella sua stessa casa, ha imparato prestissimo e a sue spese che l’uomo è una minaccia. Appena ne è in grado si ribella al sistema patriarcale che sembra però essere l’unico sistema possibile. Cercando di allontanarsi da tutto ciò che durante l’infanzia l’aveva mortificata, Yates Garcia rimane invischiata nell’industria del sesso. È ripugnante essere serve del patriarcato, ma pare che per lei non ci sia via d’uscita. L’unico riconoscimento che aveva le veniva dal suo corpo, come poteva quindi sfuggire al sistema meschino?

In tutto il suo percorso di vita, Amanda dice di essere stata negli inferi, di aver toccato il fondo. Racconta le sue esperienze terribili, dalle violenze infantili, alle delusioni della vita adulta, dalle speranze vane ai sogni distrutti. Sono vari i suoi viaggi negli inferi e devono esserlo. Ogni strega riesce a propagare i suoi poteri solo dopo che ha fatto questi viaggi. La sua vita è costellata di esperienze particolari e di persone che hanno provato ad allontanarla dai suoi poteri, in parte riuscendoci. Rinnegando le sue radici, allontanandosi dalla sua famiglia, si era allontanata anche dalle pratiche magiche, dalla spiritualità che aveva appreso grazie a sua madre, la quale aveva dedicato la vita a diffondere il bene attraverso la magia. Anche nei momenti più bui però, inconsciamente l’autrice non ha mai smesso di praticare la magia. A legarla alla grande Dea, madre di tutte le cose che la cultura accumulatrice e patriarcale ha cercato di schiacciare, c’erano le sue passioni, una su tutte: la danza. In tutta la sua vita Amanda non ha fatto altro che studiare e impegnarsi per rimanere in contatto con il ritmo del mondo e la Dea stessa attraverso l’arte. Uno degli spettacoli da lei ideato è dedicato a Medusa, colei che l’autrice riconosce come sua protettrice. Medusa è il mostro, ma è anche la resistenza alla forza votata al patriarcato che ha generato il suo castigo: Atena.

Dopo la liberazione dai demoni, dopo aver preso la consapevolezza di voler servire la dea, Amanda decide di diventare l’Oracolo di Los Angeles. Il suo percorso travagliato è dettagliatamente descritto nel libro, non solo una raccolta di eventi e situazioni, ma anche della sua formazione culturale che l’hanno portata ad accettare la sua vocazione di strega. Ecco che allora Yates Garcia ricorda il pensiero di Federici in Calibano e la strega, della nascita e dell’evoluzione dei tarocchi Rider – Waite e di chi ha volutamente tralasciato nel parlare di questo mazzo della figura di Pamela Colman Smith, ci parla della rivoluzione artistica di Pina Bausch, della storia della Wicca, di Aleister Crowley. È assolutamente riduttivo parlare di autobiografia. Iniziata è una guida per ritrovare la spiritualità, per combattere il patriarcato con nuovi mezzi. È un libretto d’istruzioni per servire la Dea e riconoscerne il potere. Iniziata è anche una storia della stregoneria stessa, dove nasce, come si evolve, cosa significa ora.

La vita di Amanda Yates Garcia diventa un exemplum, in cui la storia personale e intima si mescola con quella universale. Ogni episodio della vita di Garcia fa da pretesto per parlarci dell’azione della dea e dell’Universo: il suo amore per un demone diventa l’occasione per raggiungere la serenità attraverso la meditazione, il suo riorno a casa è la scusa per raccontare dell’azione benefica di Saturno, il nuovo inizio in un campo inesplorato dà l’opportunità di descrivere chi è e come si comporta il Matto dei tarocchi. Iniziata è un appello a fare ricerca dentro di noi e a trovare la via che ci accompagni alla Dea. È un modo per capire quanto forte può essere la spiritualità di una persona e anche per comprendere pienamente il significato che ha la stregoneria. Non si tratta di cappelli a punta e scope volanti, si tratta di fare del bene, aiutare chi ha bisogno ed essere consapevoli, si tratta di resistere, di rovesciare un sistema oppressivo e prenderci il nostro posto.

Iniziata è un viaggio che inizia nel deserto e finisce all’Oracolo di Delfi.

“Ciascuna di noi è un albero che si erge rigoglioso nel sacro bosco della Dea; ne siamo il seme che cresce e matura per poi elevarsi in tutto il suo splendore verso l’alto. Oggi inneggiamo i nostri canti, versiamo libagioni, liberiamo le energie dei nostri corpi nella danza, facciamo l’amore nei campi, intrecciamo le nostre braccia, restiamo unite, durante le proteste ci opponiamo strenuamente al tentativo esterno di trascinarci via, prendiamo d’assalto le prigioni, intasiamo le linee telefoniche, ci leghiamo agli alberi della conoscenza, li proteggiamo, mangiamo i loro frutti e ne piantiamo i semi. Marciamo per le strade, amiamo, resistiamo.
Viviamo per questo: unire le nostre forze. Spargere nel mondo i semi di un nuovo incanto.”

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