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Robbe grosse sull’erotismo: Giovanni Pascoli.

Scusa mo che c’entra il fanciullino con l’erotismo? Cioè: il fanciullino, la cavallina storna, il nido, la poesia della casa, le piccole cose, le humiles myricae.
Tutto bello, tutto giusto, ma il nostro caro Pascoli ha avuto un rapporto molto particolare con l’erotismo che si evince da alcuni suoi componimenti, che ci hanno molto incuriosito, non parleremo della Cavallina Storna, di X Agosto o La mia sera.

La pagina sul fanciullino pubblicata sulla rivista Il Marzocco nel 1897 può far tendere i lettori di Pascoli verso una poetica ingenua, buona, solcata sempre da un’inguaribile fanciullagine.
Ma, ma, ma… quella del fanciullino non è solo la voce del poeta capace di sorprendersi come un bambino, è anche la voce che rivendica una facoltà poetica innata e non soffocata dal razionalismo dell’età adulta.

Il fanciullino: “ha paura del buio, perché al buio vede o crede di vedere… che alla luce sogna o crede di sognare, ricordando cose non vedute mai. […] Il poeta percepisce, forse, non so quali raggi x che illuminano a lui solo le parvenze velate e le essenze celate.”

Pascoli è un poeta – medium che dall’osservanza delle piccole cose, tenendo presente sempre le sue esperienze dolorose, crea immagini universali, immettendo tutta la sua vita in poesia.

Era il 1867 quando il padre di Pascoli viene ucciso, questo lutto (il primo grande lutto della sua vita) lo segnerà in maniera indelebile e farà crescere in lui la tendenza a voler tenere unito il resto della famiglia ad ogni costo. Grazie a questo intento si viene a creare così il nido, elemento essenziale della poesia pascoliana; da cui però vola subito via la sorella Ida, che Giovannino bello non perdonerà mai, perché lei ha tradito la nuova e ricompattata formazione a cui aveva dato vita.

Si potrebbe parlare del signor Giovanni all’infinito, ma abbiamo un tema da portare avanti. L’erotismo in Pascoli c’è, non tantissimo, ma c’è. È soprattutto trattato in modo quanto mai casto ed allusivo, come se Pascoli ne avesse in qualche modo paura, ma ne fosse attratto. Al sesso, all’esperienza del piacere e alla lussuria imputava in parte il tradimento della sorella Ida e lui cercava di rifuggire da questo elemento che poteva allontanarlo dal nido, ma sapeva che così facendo si stava perdendo qualcosa.

Tutto questo sentimento ossimorico viene esplicato in Digitale Purpurea, componimento uscito su Il Marzocco nel 1898 ed è ispirato al racconto che gli fece la sorella Maria di un fiore che al collegio era proibito toccare, la Digitalis che diventa il simbolo dell’eros proibito.
Le protagoniste sono Maria e Rachele, tentate dal profumo inebriante emanate da questo fiore, ma siamo in un collegio conventuale votato alla purezza e alla castità, proprio come il nido. Dietro Maria si nasconde l’omonima sorella e dietro Rachele che non riesce a resistere alla tentazione del fiore c’è senza dubbio Ida, che ha osato macchiare la castità del nido, abbandonandolo per abbandonarsi all’amore carnale.
In molte poesie di Pascoli l‘oggetto erotico è rappresentato da un fiore (ma sappiamo benissimo che l’elemento vegetale è una prerogativa del topos erotico, lo abbiamo imparato qui, ricordate?), in questo caso descritto come:

“Una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane.”

Il nome digitale viene infatti dalla caratteristica tubolare di questi fiori che ricordano le dita, ma le dita umane e la spruzzolata di sangue fa anche riferimento alla deflorazione, dettaglio un po’ creepy ma tutto sommato realistico. Comunque legandoci al discorso sui liquidi e sugli effluvi che facevamo la volta scorsa, ecco:

“Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l’aria: un suo vapor che bagna
l’anima d’un oblio dolce e crudele.”

L’ossimoro in chiusura del verso descrive il piacere carnale, dietro la cui bellezza si cela il male e il peccato. Il piacere che viene promesso dal fiore è tanto misterioso, quanto conturbante e immediato: l’umidità che da sempre contrassegna la simbologia erotica bagna portando al culmine del piacere, ma… consumando Rachele/Ida che la tocca. È un’insidia, ed è l’iniziazione alla vita sessuale che ha portato la sorella all’allontanamento. Il pensiero e la pulsione sessuale vengono anche sottolineati in quest’altro punto, che sottolinea il turbamento del sogno e del piacere erotico:

Nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’alba, nell’ignara anima, spento.”

In questo primo poemetto si nota la distanza che Pascoli pone tra sé e l’eros, attribuendo a quest’ultimo la colpa di un grande turbamento psichico e fisico.
Nei Nuovi Poemetti, viene pubblicato anche I Filugelli, altra poesia erotica, dove Pascoli sembra prenderla un po’ più easy ma senza esagerare. Il poeta dialoga con la bella Rosa e dice:

“Ma tu ti sganci il candido corsetto,
o bionda Rosa. Fuori è chiaro il sole,
e due colombi tubano sul tetto

Ti slacci il busto. Odore di vïole
bianche è nell’orto. Oh! lascia come prima.
Bello è come è. Non altro fior ci vuole.”

Abbiamo visto come al nostro Giovanni, piace mettere insieme eros e vegetazione e infatti qui la natura è quasi viva: mentre Rosa si slaccia il corsetto, sembrerebbe davanti agli occhi del poeta, si sparge odore di fiori dal petto della donna stessa, a voler smorzare quasi l’erotismo della scena con una soavissima immagine. Fanno poi la loro comparsa i colombi, simbolo di Venere, contraddistinti dalla lussuria di tubare e amarsi in continuazione (ve lo ricordate Dante, nella Divina Commedia dove colloca i colombi? Nel V canto!), ma i colombi sono poi stati presi in prestito dal Cristianesimo come simbolo di pace e di purezza contraddistinti dal loro candore. Comunque sia a un certo punto, mentre sembra tutto ok, Giovanni chiede di lasciare tutto come prima, perché è già bello così, insomma: allegro ma non troppo.

La Tessitrice è una poesia contenuta nei Canti di Castelvecchio, e vi viene descritto l’incontro con una donna amata dal poeta.

“E piange, e piange – mio dolce amore,
non t’hanno detto? Non lo sai tu?”

Se sperate di trovare una descrizione dell’amore e dell’eros tranquilla e beata, cambiate autore che Pascoli non ve la dà. Gli elementi di turbamento ci sono sempre e infatti, quello che a noi comuni mortali ne La Tessitrice può sembrare un dialogo semi tranquillo, è in realtà un monologo: il poeta parla alla sua amata di un tempo ma in realtà lei non c’è, è un fantasma, una presenza impalpabile che ripete le espressioni del poeta stesso.

“Morta, sì morta! Se tèsso, tèsso
per te soltanto; come non so.”

Insomma, niente, per Pascoli nessuna speranza, neanche nella poesia che forse tutti conoscono come la più audace dell’autore: Il gelsomino notturno, anch’essa pubblicata nei Canti di Castelvecchio.
In realtà Il gelsomino notturno dovrebbe essere una festosa lirica per festeggiare le nozze dell’amico Gabriele Briganti di Lucca, ma visto che si parla comunque di sessualità, Pascoli non ci risparmia i suoi tormenti in merito.
Ancora una volta la tensione erotica è mitigata dall’innocenza simbolica floreale. In questa poesia non c’è proprio proprio il solito turbamento sessuale, perché più che al mero piacere ci si dedica alla riproduzione. Giovanni infatti è un po’ più tranquillo e sembra tutto molto più accogliente:

“Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse.”

Abbiamo addirittura un invito all’amore, i calici sono aperti: così come i calici dei fiori accolgono gli insetti che si occupano della fecondazione, così fa la donna l’uomo, ma l’erotismo finisce qui, perché subito dopo si parla di api, chiocce, dell’amore materno: il sesso è finito, basta.
Tutta la lirica è una trama di analogie e corrispondenze: la sera vede l’aprirsi dei gelsomini e nella sera gli sposi si aprono alla gioia dell’amore, descritta con grandissimo riserbo: per tutta la notte c’è un lume che fa capire che le attività sono ancora in corso, poi luci spente, tutti a nanna. Fino a qui però tutto nella norma, direte voi, eh no. Nell’ultima strofa ci sono “i petali un poco gualciti”, provati dall’attività degli insetti sui petali, come l’attività sessuale consumata durante la notte ha fiaccato i corpi degli amanti. Niente, non c’è verso: piacere per il piacere con Giovanni non si può, l’attività sessuale ci può stare solo se è finalizzata alla riproduzione, ma pure in quel caso è una faticaccia ‘sto sesso.

Fino ad ora abbiamo parlato di due opposti: Jack London che tranquillamente parla del sesso e del piacere ed anzi, è anche molto moderno nella sua trattazione e poi abbiamo Giovanni Pascoli che invece ha paura di consumarsi se si abbandona al piacere.
Chi sarà il prossimo?

Abbiamo fatto ovviamente tanta nostra interpretazione, ma se volete verificare le nostre notizie perché pensate che diciamo sciocchezze,
Bibliografia:
– Dizionario critico della letteratura italiana, Giorgio Barberi Squarotti, Utet, Torino, 1973.
– Pagine di letteratura italiana ed europea. Profilo storico e antologia. Carmelo Sambugar, Doretta Ermini, La Nuova Italia, Scandicci, 1994.
– Storia della letteratura con saggi critici. Riccardo Bruscagli, Lanfranco Caretti, Giorgio Luti, Edizioni A.P.E. Mursia, Milano, 1980.
– Storia e testi della letteratura italiana. G. Langella, P. Frare, U. Motta, Mondadori, Milano, 2012.
– Viaggio nel ‘900. M. Bersani, M. Braschi, M. Corti, Mondadori, Milano, 1984.

La saggezza delle pietre, T. Gilbert

Abbiamo sempre trovato le produzioni francesi letterarie, cinematografiche ed in generale artistiche, un po’ particolari. Ci spieghiamo meglio: pare che i francesi almeno per nostra modesta opinione siano sempre molto legati al surrealismo. Questa corrente artistica originatasi proprio in Francia nel dopoguerra, sviluppa in tutte le sue forme la potenza del sogno come unità parallela in cui espandere e sviluppare la propria vita. In molti dei libri/film in cui ci siamo imbattuti abbiamo trovato tracce di surrealismo, c’è spesso questo bisogno di andare oltre la realtà, deformandola e sconvolgendo l’abitudine per narrare storie potenzialmente reali, ma su piani diversi.

WhatsApp Image 2018-09-23 at 13.04.03 (1)Ne La saggezza delle pietre Di Thomas Gilbert (Diabolo Edizioni) questo richiamo al surrealismo è abbastanza evidente. Gilbert scompone la realtà e i corpi di cui narra, trasformandoli e offrendo al lettore molteplici chiavi di lettura. La protagonista femminile dopo un trauma cerca in tutti i modi di allargare e modificare il suo essere per trovare un modo nuovo di vivere, adattandosi alla natura. La realtà non è più quella quotidiana, ma viene ricreata e manipolata dall’autore che inventa un universo parallelo in cui muovere la sua solitaria e triste pedina che cerca la felicità e la liberazione dai suoi rimpianti.

Il lettore scoprirà man mano che non c’è un solo grado si realtà nel libro, non ci muoviamo in un unico spazio narrativo: in questa lotta per la sopravvivenza della “piccolina” in realtà la vita vera c’è sempre. Questo fumetto è spietato e crudo, ed è una lettura non troppo facile da digerire. Attraverso questo mondo surreale il lettore vive la natura come non potrebbe mai fare. Diventa animale, vegetale, minerale, si trasforma perdendosi.

Cosa vuole la natura dall’uomo? Sono ancora in grado gli esseri umani a vivere secondo natura? La verità è che il quotidiano ci ha resi superficiali, impazienti di ottenere tutto subito, egoisti fino all’inverosimile, pronti a sacrificare tutto anche noi stessi per arrivare al nostro fine.

whatsapp-image-2018-09-23-at-13-04-04-2-1.jpegIl rapporto tra l’uomo e la natura è sublimato da disegni spigolosi e carichi di linee, che sembrano far trasparire la furia dell’autore. Un nero che parrebbe scarabocchiato con rabbia, quasi a voler cancellare la luminosità del bianco, predomina nella maggior parte delle vignette; dove di tanto in tanto appare un altro colore: il rosso, a simboleggiare (prendendo quasi dalla codicologia religiosa) il sacrificio e la passione.

Questo fumetto colpisce emotivamente, dopo traumi, tentativi, sacrifici e atrocità sembrerebbe non esserci nulla di buono per noi uomini, fino all’ultima pagina dove un delicatissimo, commovente, quasi catartico epilogo ci aspetta… anche se non sappiamo se sia un lieto fine oppure no.


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