Ricerca

tararabundidee

"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."

Tag

carlevs

Carle vs. Sofia Assirelli & Cristina Portolano

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti. Siamo ritornate più cariche che mai, potete leggerci ogni secondo giovedì del mese. Nel mese di agosto ci fermeremo però per una pausa estiva e potrete rileggerci l’8 settembre.

Tettonica ci parla di Maria, una ragazzina che nel 1997 a Loggiano di Romagna aspetta trepidante l’estate e anche che la pubertà le porti qualche crescita. Si affida allora alle preghiere della donna più devota che conosce: sua nonna. Il miracolo sembra accadere, ma insieme ad esso anche una terribile catastrofe. Sofia Assirelli e Cristina Portolano nel fumetto protagonista di luglio, per Carle vs. parlano della tormentosa adolescenza negli anni ’90, di grandi speranze, cambiamenti fisici e lezioni di geografia. Abbiamo fatto alle due autrici delle domande sul fumetto e qui potete trovare le risposte di Sofia Assirelli, mentre su una banda di cefali leggerete quelle di Cristina Portolano.

Ciao Sofia e benvenuta su Tararabundidee. La prima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. È la prima volta che tu e Cristina Portolano lavorate insieme. Com’è nata questa collaborazione e come avete organizzato il vostro lavoro?

È nata completamente per caso. Io e Cristina ci siamo conosciute al compleanno di un’amica comune e abbiamo scoperto di abitare nella stessa via a Bologna. Dettaglio niente affato marginale, considerando che nemmeno un mese dopo è cominciato il lockdown. Improvvisamente questa prossimità fisica è diventata un bene preziosissimo, che ci ha permesso di evadere dalla claustrofobia di quel momento con passeggiate creative attorno a casa, districandoci nel caleidoscopio di zone rosse gialle e arancioni. Io avevo già nel cassetto la storia di “Tettonica”, un trattamento pensato inizialmente per un film. Quando ho letto Quasi signorina di Cristina e ho ritrovato temi e toni profondamente simili ai miei, ho deciso di fargliela leggere, sperando che se ne innamorasse. E per fortuna è stato così. 

In seguito, essere vicine ci ha permesso di confrontarci spesso, di fronte a fogli veri e non solo a schermi. Passo passo abbiamo trovato un modo per fare dialogare i nostri immaginari. Io prima mi disegnavo le tavole (come se fosse una brutta copia), le descrivevo ed evocavo a Cristina che ovviamente poi le reinterpretava e disegnava, e a quel punto io le rivedevo.  

Da dove nasce l’idea di Tettonica? È nata prima l’idea di parlare di tette, crescita e pubertà oppure quella del terremoto?

Penso che la scintilla sia nata con la lettura di una pagina di “Chiedi alla Polvere” di John Fante citata anche nell’esergo. Arturo Bandini va a letto con una donna che non è la sua donna amata, e si sente talmente in colpa che quando un terremoto distrugge la città pensa che sia la collera di Dio contro di lui. Quel delirio di onnipotenza, non a caso di un aspirante scrittore, mi è molto famigliare, e ho pensato che fosse perfetto per raccontare una ragazzina che ha un desiderio così forte di crescere – e che le le crescano le tette, che per lei è il segno curvo, tangibile, dell’essere diventati grandi – da pensare di essere letteralmente al centro del mondo e dei suoi movimenti tellurici. 

La protagonista di Tettonica è una ragazzina che desidera crescere e vede il suo corpo cambiare. Credi che il fumetto sia rivolto soltanto ad un pubblico femminile o possa essere interessante anche per un lettore di sesso maschile per analizzare la pubertà da un altro punto di vista?

Anche se immagino che una trama del genere possa attirare spontaneamente più il pubblico femminile, secondo me può essere una lettura interessante per tutti, perché da una parte la voglia di esistere e diventare un individuo è universale, e dall’altra penso che sia anche formativo scoprire da un’angolazione diversa le sensazioni che si provano in quel crinale tra vita infantile e adulta. I lettori maschi per il momento mi hanno restistuito un grande senso di identificazione.  

Le atmosfere del fumetto sono un bel tuffo negli anni 90, e questo si percepisce da tanti piccoli dettagli, come (giusto per fare un esempio) le mitiche magliette Onyx che indossano le tipe più cool o le Spice Girls. Quale colonna ti ha accompagnato durante la stesura del fumetto? Ti andrebbe di suggerire una colonna sonora da ascoltare durante la lettura?

Sicuramente tutta la musica dance commerciale di tutti gli anni Novanta, da Corona, Gala, gli Ace of Base, alle Spice Girls. Poi mi vengono in mente pezzi come Lemon tree dei Fool’s Garden o Shiny Happy People dei R.E.M. Ovviamente passando per i Neri per caso!

Una caratteristica dell’ambientazione è sicuramente il piccolo paese, un mortorio per 10 mesi, che vede poi in estate un piccolo revival, tutt3 tornano dalle città, per godersi il fresco e la calma dei borghetti. Maria non vede l’ora che arrivi la fine della scuola perché così il paese si rianima, soprattutto per un grande ritorno. È meglio essere l’adolescente innovativə e figə di città, o quello ingenuottə e old fashioned di paese? Secondo te 3 adolescenti di oggi, nonostante il contesto diverso, possono comunque identificarsi con la storia di Maria?

Secondo me da adolescente non pensi di essere figo mai, nemmeno se vieni dalla città. Si è sempre fighi solo attraverso lo sguardo degli altri su di noi (e forse questo è vero anche da adulti). Io posso dire che sono stata l’adolescente del paese, ingenuotta però forse mai, solo con un accesso un po’ limitato delle cose al mondo, che fino ad un certo punto ho vissuto solo attraverso i film, le serie tv, i cartoni animati, e l’arrivo dei “forestieri”, appunto. Penso che crescere su questo “ermo colle” mi abbia permesso di affidarmi con slancio alla fantasia e all’immaginazione come strumenti di sopravvivenza, che poi mi sono rimasti per la vita.

L’isolamento di quegli anni era connotato in maniera diversa rispetto ad oggi, l’arrivo di Internet ha trasformato molte dinamiche sociali, e reso più fluidi i concetti di vicinanza e distanza, e questo è il motivo per cui ho deciso di mantenere l’ambientazione storica negli anni Novanta. Ma l’isolamento esiste oggi in altre forme, in questi ultimi due anni purtroppo ce ne siamo accorti, e in generale i temi sollevati penso che siano universali e dunque ancora potenzialmente attuali. Ma se si identificano o no i ragazzi di oggi spero me lo dicano loro!

Il fumetto si apre con la Via Crucis e ci sono un bel po’ di legami con il sacro, cosa che difficilmente si vede in fumetti che parlano ad adolescent3, l’unico che mi viene in mente è Blankets di Craig Thompson che però aveva un legame con la fede completamente intimo e diverso da quello di Maria. Questo aspetto delle preghiere, delle processioni è legato molto anche alla vita di paese, dove queste funzioni religiose diventano anche, come per Maria, luogo di incontro e per mettersi in mostra. Come mai hai usato questi elementi religiosi nel fumetto, anche se forse questa dimensione oggi è un po’ distante, fuori dal comune?

Semplicemente perché questo aspetto fa intimamente parte di me, della mia educazione, del sostrato culturale in cui sono cresciuta io e penso molte altre persone in Italia, almeno della mia generazione. Blankets è assolutamente uno dei riferimenti di Tettonica, anche se l’ho letto quando già la storia era scritta e stavamo già lavorando al fumetto. La religione di Tettonica è un cristianesimo allegro e molto romagnolo, che si mescola al kitsch delle tradizioni e al profano dei desideri carnali, senza soluzione di continuità. Ma non per questo è meno problematico, visto che tutta la vicenda si fonda su un ancestrale senso di colpa. 

Rimanendo in tema mistico: Maria chiede aiuto alla sua omonima celeste per far avverare il suo desiderio più grande, che si fa strada timido poco dopo la richiesta, qual è stato il miracolo che volevi si avverasse durante la tua pubertà? 

Esattamente quello, che mi crescessero le tette! Ma in realtà questo desiderio per me, come per Maria Bandini, nascondeva un’inquietudine molto più profonda: il bisogno di essere “normali”. La comprensione della meraviglia della diversità è proprio una delle più belle conquiste dell’età adulta.

Ho avuto sempre il seno molto piccolo da adolescente, mi è cresciuto qualche anno fa praticamente. Mi ricordo che però anche io lo desideravo moltissimo e quando andavo in piscina, invidiavo le mie coetanee che avevano i loro reggiseni colorati con ferretti, push up etc. io avevo praticamente un top rosa senza sostegno alcuno, solo per fare scena. E tu ricordi ancora il tuo primo reggiseno? Qual è stato il tuo rapporto con le tette a quell’età?

Il mio rapporto è stato goffo e sovrannaturale, simile a quello di Maria Bandini. Mi sentivo in ritardo, disperata, senza alcuna speranza, con l’assolutismo folle di quell’età e un senso del melodramma invece tutto personale. Il mio primo vero reggiseno credo fosse rosa a pois bianchi, un po’ imbottito, giusto per creare un minimo di protuberanza in attesa che ci pensasse il Divino a risolvere il problema! Ma il punto è che quando sei adolescente ti senti sempre in difetto rispetto a questa massa magmatica e terrorizzante che sono le altre e gli altri. Essere troppo alte o troppo basse, con poco o troppo seno, con troppi peli (pochi penso che nessuno se ne sia mai lamentato), troppo asociali o troppo socievoli, troppo ignoranti o troppo secchione. E la sfida più difficile della crescita è secondo me scrollarsi il peso dello sguardo degli altri – e di noi stesse – di dosso. 

E cominciare a guardare il mondo con i nostri occhi. 

Cosa prevede invece il tuo futuro lavorativo? Lavorerai ancora con Cristina Portolano?

Sicuramente i progetti su cui sto già lavorando, un romanzo e alcune serie tv. Per il resto mi piacerebbe sorprendermi ancora, anche con Cristina, chissà. Non avrei mai immaginato di scrivere una graphic novel ed è stato un viaggio entusiasmante, che non si è ancora concluso! 

Ringraziamo tantissimo le autrici per essersi prestate alle nostre domande e ci rivediamo su questi schermi al prossimo Carle vs.

Carle vs. Lorenzo Coltellacci ed Andres Abiuso

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti. Siamo ritornate più cariche che mai, potete leggerci ogni secondo giovedì del mese.

In quest’anno di Carle vs. avevamo già approfondito la vita di un’artista a fumetti, quella di Georgia O’ Keeffe, nel fumetto di De Santis e Colaone, oggi vi faremo invece entrare nell’immaginario di un altro grandissimo artista: Escher. Lorenzo Coltellacci ed Andres Abiuso in Escher, mondi impossibili (Tunuè), hanno fatto conoscere a* lettor* l’aspetto più intimo e autobiografico del grande genio Novecentesco, accompagnando chi legge in uno strabiliante viaggio nel tempo, nello spazio e nelle opere escheriane. Qui trovate l’intervista al disegnatore Andres Abiuso, mentre per scoprire le risposte di Lorenzo Coltellacci, dovete, come sempre, andare su una banda di cefali!

Ciao Andres e benvenuto su Tararabundidee. La prima domanda della nostra intervista doppia è ormai di rito. Com’è nata la collaborazione con Lorenzo Coltellacci e com’è stato lavorare insieme?

La collaborazione nasce dopo il concorso de La Revue Dessinée Italia, al quale avevamo partecipato entrambi (separatamente). Lorenzo ha pensato che il mio stile si adattasse bene al suo progetto e mi ha contattato. Dalla firma con Tunué abbiamo lavorato in sintonia, creando un clima di continuo scambio e reciproca stima. Il lavoro non è mai diventato pesante, nonostante i tempi stretti.

Da dove nasce l’idea di dedicare una biografia a fumetti a una delle menti più affascinanti e brillanti del secolo scorso? Come vi siete approcciati all’opera e alla vita di Escher e come avete scelto il modo di raccontarla?

L’idea nasce da Lorenzo che, affascinato da questo artista, dalla sua vita riservata e dalla profondità di interpretazione e pensiero delle sue opere, ha sentito il bisogno di studiarlo e raccontarlo attraverso la nona arte. Se da un lato la sua vita era a dir poco sconosciuta, le sue opere sono iconiche e (pur non ricollegandole all’autore) chiunque, almeno una volta, ha visto e riconoscerebbe le scale impossibili, la sfera riflettente o le tassellature; approcciarsi a questi concetti è stato complesso, e non per la complessità delle opere: la paura era quella di scimmiottare o imitare (con scarsi risultati) il suo genio; alla fine abbiamo optato per un uso “scenografico” delle sue opere, che diventano così teatro delle vicende narrate, vere e proprie strutture fisiche, dove i protagonisti si muovono e vivono questa avventura.

Per narrare la vita di Escher avete tenuto presente la tematica del viaggio. L’artista era un grande viaggiatore e il fumetto ne segue le orme; lo stesso lettore, guidato da una specie di Virgilio, fa un viaggio intorno agli avvenimenti legati ad Escher. Come mai avete deciso di creare un continuo andirivieni nel tempo e nello spazio per raccontare questo artista?

La discontinuità temporale è stata fin da subito un tassello essenziale per entrambi: era importante che a raccontare Escher e i suoi paradossi non fossero solo le parole o i disegni ma anche il flusso narrativo stesso. Quest’impostazione ci ha dato inoltre, la possibilità di creare un mondo fuori dal tempo e dallo spazio orientato, che restituisse visivamente l’idea di “mente”, nello specifico della mente di un artista complesso come Escher.

Le opere di Escher con le sue composizioni ipnotiche e i giochi prospettici sono molto famose, a differenza della vita dell’artista che non è molto conosciuta. Quando è avvenuto il tuo primo incontro con l’arte di Escher e quale aspetto ti ha più affascinato della sua vita?

Ho incontrato le opere di Escher sin da bambino, tra i libri, le riproduzioni incorniciate ed appese in casa e, soprattutto, grazie a genitori appassionati d’arte.

Della sua vita però conoscevo ben poco prima di lavorare al libro: e sono rimasto affascinato proprio dalla sua riservatezza, dalla netta divisione dell’artista dalla persona.

Nel vostro fumetto avete inserito alcune opere di Escher integrandole perfettamente all’interno della storia e rendendole un elemento fondamentale dell’architettura narrativa. Come avete scelto quali inserire?

Spesso la scelta era naturale: in una scena in cui si parla di amore, unione e sentimento viene naturale fare riferimento a “Nastro senza fine”; se invece si parla di crescita e cambiamento è inevitabile citare le sue metamorfosi. Altre volte invece erano le opere stesse a suggerirci situazioni interessanti da raccontare, come ad esempio “Altro Mondo II”, che ha ispirato l’intera sequenza in essa ambientata.

E a proposito di opere, ne hai una preferita tra quelle di Escher e perché?

Credo di essere innamorato di “Concavo e Convesso”: un opera piena di vita e dinamismo, dove ogni cosa visibile è anche il contrario di se stessa.

A un certo punto nel fumetto parlano anche Magritte, Einstein, Dalì e si chiedono se Escher sia più matematico o artista, tu con chi ti schieri?

Escher non era un matematico. C’è poco da discutere su questo. Il dibattito al quale assistiamo si riferisce ed indaga su quale parte della sua mente “domini”.
In ogni caso, credo che qualsiasi etichetta sia riduttiva, parzialmente vera, fuorviante.

Le biografie di artist* sono sempre più diffuse nel mondo del fumetto e in fondo anche il fumetto stesso è arte, quando si parla di artist* quindi è più facile raccontare le loro vite a fumetti? 

Spiegare l’arte è già difficile: spiegarla utilizzando l’arte come linguaggio è volersi male. Il fumetto inoltre è narrazione sequenziale, il che rende ancora più complesso un discorso concettuale sull’arte (o qualsiasi altro concetto astratto). E’ inevitabile, quindi, fare ricorso al testo, accompagnandolo con sequenze disegnate ben strutturate, evitando che i disegni, nel libro, diventino protagonisti.

Cosa prevede il tuo futuro lavorativo? Lavorerai ancora con Lorenzo? 

Oltre al fumetto, ho un altro lavoro che mi impiega molto tempo; la lavorazione di questo libro è stata dura e ha richiesto molto sacrificio, sono ancora in fase di ripresa insomma. In questo momento non ci sono piani precisi, sto riordinando e muovendo i primi passi in alcune idee e progetti personali. Con Lorenzo ci siamo trovati molto bene, nulla toglie che possiate rivederci insieme in futuro!

Ringraziamo i due autori per aver partecipato al nostro progetto, noi ci risentiamo il prossimo mese!

Carle vs. Fulvio Risuleo e Antonio Pronostico

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti. Siamo ritornate più cariche che mai, potete leggerci ogni secondo giovedì del mese. Il prossimo appuntamento sarà a giugno!

Stavolta abbiamo chiesto di partecipare alla nostra rubrica a Fulvio Risuleo e Antonio Pronostico che avevamo già visto insieme come autori di Sniff. Ora abbiamo chiesto ai fumettisti di parlarci della loro ultima fatica: Tango, sempre edita da Coconino Press e che ha al centro come il lavoro precedente, una coppia sull’orlo di una crisi. In questo fumetto i protagonisti sono Miriam e Lele e le loro sorti sono in mano al lettore, che a ogni pagina può decidere come far proseguire la storia.
Qui su Tararabundidee troverete le risposte di Fulvio Risuleo, mentre per scoprire quelle del disegnatore Antonio Pronostico dovete navigare verso Una banda di cefali! Buona lettura!

Ciao Fulvio e benvenuto su Tararabundidee. La prima domanda della nostra intervista è ormai di rito. Dopo Sniff tu e Antonio Pronostico siete al vostro secondo lavoro a quattro mani. Com’è nata la vostra collaborazione e com’è lavorare insieme?

Siamo prima di tutto amici. Frequentavamo lo stesso quartiere di Roma, il Pigneto, e lo stesso giro di
artisti-fumettisti e per un periodo lo stesso studio. Un giorno, di ritorno da un festival di fumetto di
Bologna, abbiamo deciso di provare a lavorare a qualcosa insieme.

In Sniff, il vostro primo fumetto, avevate presentato una coppia sull’orlo di una rottura. Anche i protagonisti di Tango, Lele e Miriam, sono una coppia alle prese con le decisioni e le liti ordinarie. Perché avete deciso di raccontare nuovamente la vita di coppia?

Non so il perché, non c’è. Devo dire però che Antonio è un romantico, amante delle relazioni. Io sono
più chiuso su questo argomento, ne parlo per lo più con me stesso. È grazie a lui che sono riuscito a
esternare, seppure in un libro, alcune mie considerazioni sull’amore.

Lele e Miriam si trovano spesso di fronte a un bivio o a una decisione da prendere. Al lettore viene chiesto di decidere cosa accadrà e le sue scelte influenzeranno il futuro della coppia. Da dove nasce l’idea di conferire al lettore un ruolo così attivo e di mettere nelle sue mani le sorti della coppia? A cosa vi siete ispirati per trovare le varie opzioni?

Prima abbiamo trovato l’idea della coppia che litiga per tutto e nel frattempo vive. Poi ci siamo resi
conto che l’andamento narrativo non era lineare. Era una storia che andava raccontata in una maniera
del genere. Come molte altre idee di questo fumetto è venuta in mente nel corso della lavorazione, di
base non sono molto teorico come persona. Le idee mi vengono man mano.

Parlando di bivi ed immaginandoti lettore, qual è stata la tua prima decisione al bivio e perché?

Non ho seguito la linearità. Ho scritto in quattro dimensioni, se si può dire così. Ho accettato la
confusione creativa e ho surfato sull’ispirazione. Poi con Pronostico abbiamo dato un senso al tutto. La
‘forma-libro’ ci ha aiutato a dargli una solidità.

Non solo il fumetto lo avete fatto in due, ma ha anche tantissime varietà di scelta, come
mai avete deciso di complicarvi così tanto la vita?

Il mio sogno è di parlare, scrivere e pensare in maniera semplice. Soggetto, predicato e complemento;
come si insegna a scuola. Purtroppo non ci riesco mai e finisce che poi diventa tutto complicato.

Nella storia del cinema, della letteratura e dei fumetti in generale, quali sono le tue
coppie preferite? C’è qualche coppia in particolare che ti ha ispirato per Tango?

Per lo più ci siamo ispirati a coppie di amici, conoscenti o anche alla nostra vita. Dal cinema c’è un
riferimento alla Notte di Antonioni perché lo avevo visto mentre lavoravo al fumetto e avevo pensato
che potesse avere delle connessioni. Un coppia in crisi è naturalmente più interessante da raccontare
di una coppia felice.

Il tango è un ballo ad alto tasso di sensualità e complicità. Lele e Miriam, però, non sembrano sempre così tanto in sintonia tra loro. Come mai avete scelto proprio questo ballo come titolo del vostro fumetto?

Pronostico è l’esperto, lui mi ha raccontato un po’ come funziona il ballo e ha delle connessioni con la
storia, come si dice in un capitolo a un certo punto. TANGO suona bene ed è una bella parola, la gente
ci trova molti significati diversi e va abbastanza bene come indicizzazione su internet… è un buon titolo.

Anche l’ultima domanda è di rito: a cosa stai lavorando al momento? Altri progetti a quattro mani in cantiere?

Un noir.

Ringraziamo come sempre gli autori per essersi prestati alle nostre domande! Noi ci rivediamo con una nuova intervista doppia il mese prossimo.

Carle vs Colaone & De Santis

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti. Siamo ritornate più cariche che mai, potete leggerci ogni secondo giovedì del mese. Il prossimo appuntamento sarà infatti il 12 maggio!

Per questa intervista abbiamo scomodato Luca De Santis e Sara Colaone, affiatatissima accoppiata che abbiamo già visto insieme con Ariston e In Italia siamo tutti maschi, da poco è però uscito il loro ultimo lavoro Giorgia O’ Keeffe (Oblomov Edizioni), fumetto/biografia sulla più grande artista moderna. Gli autori hanno giocato con le linee e le riconoscibilissime opere di O’ Keefe per regalarci la storia di una donna che ha voluto a tutti i costi far emergere la sua arte e la sua visione del mondo, oltre il suo corpo, oltre lo sguardo tradizionalista, oltre il pregiudizio. Siamo rimaste estasiate da questo fumetto e abbiamo dato sfogo come sempre alle nostre curiosità nell’intervista, qui potete leggere le risposte di Sara Colaone, mentre su una banda di cefali troverete quelle di Luca De Santis.

  1. Ciao Sara e benvenuta su Tararabundidee! Dopo In Italia Sono Tutti Maschi, Ariston (Oblomov edizioni) e Leda (Coconino Press) tu e Luca De Santis siete giunti al vostro quarto fumetto insieme: Georgia O’Keeffe. Com’è nata questa proficua collaborazione e come strutturate solitamente il vostro lavoro?

L’incontro con Luca è avvenuto per caso, alla fine degli anni Novanta, fra i tavoli di una importantissima società italiana, dove la velocità della comunicazione era una delle cose più importanti. Condividendo da subito interessi e passioni nei ritagli di tempo, abbiamo capito presto che a noi interessavano più i contenuti e il modo di raccontare, che la velocità. Da questa semplice constatazione è nato un legame molto forte, basato sulla schiettezza, ma anche sul rispetto e sull’attenzione reciproca alla nostra sensibilità, che ci ha permesso di fare tanto insieme e ci permette di pensare al nostro futuro come qualcosa che ci serberà ancora tante sorprese.

  1. Un tema del vostro lavoro collettivo è sicuramente il racconto di una vita nella sua totalità. In In Italia sono tutti maschi avete raccontato il confino degli omosessuali durante il ventennio fascista attraverso i ricordi del personaggio di “Ninella; Ariston è invece una riflessione sul ruolo della donna all’interno della società italiana nel corso dei decenni attraverso la storia di tre donne mentre in Leda avete raccontato una donna anticonformista sempre in lotta con il proprio destino. Da dove nasce questo amore per le storie? Come scegliete le storie raccontare?

Dopo tanti lavori che hanno come comune denominatore delle figure capaci da fare scarti laterali, per sottrarsi a un modo comune di affrontare e la vita, e per tracciare la propria strada in modo assolutamente originale, mi sono convinta che siano i nostri personaggi a scegliere noi per far raccontare la propria storia e non viceversa. E me lo confermano il senso di profonda gratitudine e innamoramento che provo verso ogni personaggio quando terminiamo un progetto.

  1. Giorgia O’Keeffe è stata un’icona della scena artistica moderna. Negli Stati Uniti è una delle artiste più famose e quotate mentre qui in Europa è ancora poco conosciuta. Com’è nata l’idea di dedicarle un volume?

Giorgia O’Keeffe è stato un incontro meraviglioso, nato per volontà di uno dei nostri editori francesi Steinkis e del Centre Pompidou di Parigi, che ci hanno chiesto di realizzare la storia della vita della pittrice in occasione della grande retrospettiva inaugurata a settembre a Parigi, un mostra di eccezionale valore che ha riportato in Europa una selezione ricca di lavori. Da subito abbiamo raccolto la sfida di raccontare una figura così complessa e controversa, andando direttamente al centro della sua personalità spigolosa e mostrando tante delle sue opere e del suo modo di dipingere, integrandole nel fumetto.

  1. Quanto è stata lunga la fase di ricerca e di lavoro precedente alla stesura del fumetto e che impatto ha avuto sulla tua arte? E in generale cosa ti è rimasto dalla conoscenza di una personalità immensa come quella dell’artista? 

Io e Luca abbiamo lavorato molto in parallelo per circa otto mesi, lui sulla scrittura e io sull’immagine, ma scambiandoci continuamente impressioni e pareri, per riuscire a ricreare la ricchezza del mondo pittorico di O’Keeffe e restituire una vita in cui l’arte e la vita sono totalmente fuse. L’intensità di questa immersione mi ha lasciato un senso di distacco sereno e una capacità di osservare aspetti più profondi delle forme e dei colori.

  1. Georgia O’Keeffe è stata una personalità molto forte che non ha mai voluto essere raccontata e che non si è mai ritrovata nelle parole che gli altri usavano per descrivere lei e il suo lavoro. Quanto è stato difficile scegliere il modo giusto per raccontarla?

Un personaggio che non vuole farsi raccontare, ma che ci guarda da dietro una spalla invitandoci a seguirlo nel suo mondo. Georgia l’ho sempre vista così. Solo cedendo a questo invito si potrà avere accesso alle sfumature di un carattere, ai motivi di tante scelte. 

  1. La storia si articola attraverso flashback improvvisi in cui l’artista rivive (e racconta) momenti cruciali del suo passato e della sua storia donando al fumetto uno stampo molto cinematografico. Del resto anche la storia di Georgia O’Keeffe potrebbe tranquillamente essere protagonista di un film. Anche il grande formato del volume e la suddivisione delle tavole sembrano conferire al fumetto un tocco cinematografico. C’è una correlazione tra il cinema e questo fumetto? 

In questo romanzo ho lavorato soprattutto creando dei richiami con la superficie bidimensionale del quadro,  provando in alcuni casi a sfondare questa dimensione per creare dei giochi di profondità dell’immagine, in mondo da rendere vivo il passaggio di pensiero fra vita e sua rappresentazione. Uno dei riferimenti più espliciti al cinema è la doppia tavola in cui Georgia cammina per New York subito dopo il crollo della borsa del 1929. Nel disegno c’è la citazione di una notissima opera della fotografa Margareth Bourke-White, ma sul muro c’è la pubblicità di un “Talkies”,  i primi film parlati che segnarono la fine progressiva del cinema muto e l’ingresso in una nuova epoca dell’intrattenimento.

  1. A livello grafico sono stati inseriti moltissimi riferimenti alle opere della pittrice, come i suoi famosissimi fiori, come avete scelto le opere da integrare nel fumetto? 

Fiori, ma non solo, anche paesaggi, capanni, porte, ossa e pensieri astratti. Rispettare il mondo di Georgia e sottrarla alla banalizzazione, questa la parola d’ordine. La scelta delle opere è stata un’operazione di studio bellissima, in cui abbiamo avuto l’aiuto dei curatori della mostra di Parigi, che ci hanno fornito tutti i saggi e il catalogo in anteprima delle opere, oltre a una serie di cataloghi introvabili e di references iconografiche.

  1. Georgia O’Keeffe è passata dal ruolo di musa e oggetto dello sguardo maschile a quello di artista attiva protagonista del suo lavoro e delle sue opere. Stieglitz voleva lanciare un personaggio da cui lei ha cercato tutta la vita di distaccarsi, secondo i vostri studi legati alla personalità della pittrice, quando O’Keeffe è riuscita davvero a diventare lei e come viene percepita ora? 

Questo è uno dei punti più complessi e interessanti che abbiamo cercato di raccontare nel libro. Nonostante la si descriva spesso come una donna in balia della sua fama, Georgia ha sempre saputo molto bene chi era e cosa desiderava e lo testimoniano le persone che le sono state vicine sin da piccola. Sapeva anche per dedicarsi all’arte nel modo in cui voleva, ovvero l’unico modo possibile, totale e imprescindibile, avrebbe dovuto disciplinarsi costantemente, concentrarsi su un punto cruciale e… superare il vittimismo, e così ha fatto.

La Georgia che vediamo nella maturità è un essere risolto, senza rimpianti, libero di poter fare ciò che vuole, e in costante rinascita come nella sua pittura o come nel mito nativo della dea Estsanatlehi.

Ringraziamo come sempre * fumettist* che si sono prestati alla nostra incontenibile curiosità e non vediamo l’ora di leggere le loro prossime opere! Noi ci rivediamo a maggio su questi schermi.

Carle vs Filippelli & Canestrari

Due amiche che si chiamano Carla, hanno lo stesso segno zodiacale, amano le stesse cose tra cui i fumetti, non potevano non decidere di fare qualcosa insieme. Da qui è nata Carle vs, la nostra rubrica di interviste doppie a fumettist* per farvi scoprire e leggere di nuovi fumetti. Dopo qualche mese di pausa, siamo ritornate più cariche che mai. Potete leggerci ogni secondo giovedì del mese. Il prossimo appuntamento sarà infatti il 14 aprile!

Per la prima intervista del 2022 abbiamo fatto quattro chiacchiere con Samuele Canestrari e Luigi Filippelli, autori di Un corpo smembrato, uscito lo scorso novembre per Eris edizioni. Si tratta di un’opera in bianco e nero che racconta la storia di Marina: una ragazza divisa tra i turni al supermercato del piccolo paese di provincia dove vive e il suo desiderio di fare la scultrice ed essere libera. Un volume molto particolare, crudo e poetico al tempo stesso, insolito anche nell’allestimento: è infatti un libro smembrato anche di fatto poiché la copertina è stata strappata e sostituita con un poster, lasciando la rilegatura completamente libera e visibile. Qui potete leggere l’intervista a Luigi Filippelli, sceneggiatore del volume mentre per leggere le risposte di Samuele Canestrari dovete viaggiare su una banda di cefali!

  1. Ciao Luigi, benvenuto e grazie di aver accettato questa doppia intervista. Partiamo con una domanda per conoscerci meglio: come hai iniziato a fare fumetti e come è cominciato il sodalizio artistico con Samuele Canestrari?

Come molti ho iniziato da piccolo, disegnavo e scrivevo storie (e anche un’enciclopedia dei dinosauri). Leggevo molto: fumetti, romanzi, epica cavalleresca e manuali per diventare un inventore. Mi è sempre piaciuto esplorare il mondo attraverso i libri.
Ho conosciuto Samuele al festival Ratatà di Macerata, lui era lì con i suoi libri, io con MalEdizioni, la casa editrice che ho fondato insieme a Nadia Bordonali. Ci sono piaciute le sue pubblicazioni, così gli abbiamo proposto di coprodurre il suo libro successivo: Mosto.
In seguito Samuele ci ha inviato Il battesimo del porco, scritto da Marco Taddei, e lì abbiamo collaborato come autore ed editore. In Un corpo smembrato, invece, siamo entrambi autori… spero continueremo con questo trasformismo, provando sempre nuove combinazioni, perché mi sto divertendo molto.

  1. Un corpo smembrato, edito da Eris Edizioni, è un fumetto pervaso da un senso profondo di inquietudine ma anche da una perfetta sintonia tra sceneggiatura e disegni. Com’è stato lavorare con Samuele Canestrari? Vi siete trovati d’accordo nelle varie fasi di stesura?

Quando  ho iniziato a scrivere Un corpo smembrato volevo lo disegnasse Samuele, così ho pensato a una storia che potesse creare una connessione fra di noi, sia a livello di vissuto che di poetica, e che valorizzasse il suo modo di disegnare.
Da subito abbiamo considerato il libro come un oggetto organico e vivo, lavorando entrambi in modo fluido e mandandoci continui rimandi, suggestioni e idee. Frammentavamo la narrazione, spostavamo e modificavamo disegni e parti di testo.
Per poter trovare un equilibrio in questo modo di lavorare c’è bisogno di grande onestà e rispetto reciproco, sono felice che siamo riusciti nell’impresa.

  1. Un corpo smembrato racconta la storia di Marina, della sua vita in provincia e del suo immenso sogno di diventare un’artista, che però si scontra con la precarietà. Quanto c’è di tuo in Marina e in questo fumetto?

Per un breve periodo, intorno ai vent’anni, ho studiato e praticato la scultura, poi ho capito che non era il mio mezzo espressivo. Il vissuto di Marina riverbera con il me stesso dell’epoca, avevo abbandonato l’accademia di belle arti e non riuscivo a trovare una mia dimensione, né creativa né lavorativa. 

L’incubo che apre il libro, invece, è un sogno che ho fatto qualche anno fa a causa di una separazione molto dolorosa. Si tratta della prima sequenza che ho scritto, quella tristezza è stata la scintilla che ha permesso al libro di nascere.

  1. Le prime sequenze del fumetto mostrano un incubo. Qual è secondo te l’incubo più opprimente della protagonista?

Un corpo smembrato parla di perdita dell’innocenza attraverso la disgregazione dei sogni, dell’impatto che la vita adulta può avere con le speranze di una giovane donna.
In questo senso l’incubo più opprimente per Marina potrebbe essere legato all’assenza:
Marina non ha un luogo a cui appartenere, sia la città sia la provincia in qualche modo la rigettano, allo stesso tempo i rapporti con le persone che lei sceglie non funzionano, amanti e amori si rivelano fonte di instabilità e dolore. Il suo percorso artistico non è ancora definito, e non è chiaro se lo sarà in futuro.
Marina può solo sapere cosa manca, non ha un ruolo riconosciuto dal mondo esterno e, non potendosi vedere riflessa negli occhi degli altri, per lei è impossibile riuscire a trovare se stessa.

  1. Marina è costretta a lasciare la città e ritornare nella sua cittadina di provincia. Cosa rappresenta per te la provincia? Crescere in provincia è qualcosa di limitante o piuttosto il contrario?
    Io amo la provincia, soprattutto la bassa bresciana, ruvida e dolce allo stesso tempo, un po’ come tutta la pianura padana. Penso che la provincia possa essere un buon posto per muovere i primi passi, è certamente un ambiente dove si avverte una mancanza di alternative, quindi c’è spazio per portare contenuti e bellezza. Allo stesso tempo la provincia ti tiene ancorato con i piedi per terra, scardina le velleità artistiche, a volte anche in modo brutale.
    Penso che per immergersi nella realtà del nostro paese sia necessario attraversare la provincia, ma la provincia da sola non basta. Bisogna anche uscirne, andando alla ricerca di festival, connessioni con altri artisti, spazi culturali indipendenti, pensieri e culture diverse… tutto questo per poi tornare in provincia, portando con sé quanto si è appreso. 
  1. Come mai avete scelto di dare una forma insolita anche a livello materico, sconvolgendo il volume stesso? Quanto è stata complessa la realizzazione di questo smembramento dal punto di vista tecnico?

Il libro non ha una copertina, perché tutte le copertine sono state ricavate da fogli di recupero e strappate a mano, non si tratta di una scelta estetica ma di un gesto di smembramento, necessario al libro perché aggiunge un livello alla narrazione, facendola diventare fisica e tattile, proprio come le sculture di Marina.
La sovraccoperta che protegge il libro è come una pelle sottile, così come sono fragili le difese che possiede Marina nei confronti del mondo, un mondo che non riesce a capire e ad accettare.

  1. Il vostro fumetto è quasi totalmente privo di dialoghi e in generale le parti scritte sono veramente minime;  è stato difficile raccontare solo con le immagini?

Io sono abituato a vedere molto cinema giapponese, uno dei registi che mi ha influenzato maggiormente è Takeshi Kitano, attraverso i suoi film ho scoperto come raccontare utilizzando le immagini e gli ambienti. Penso in particolare al film Il silenzio sul mare, che è la storia di un giovane surfista sordomuto.

Penso che approcciarsi a un fumetto “silenzioso” sia più impegnativo per il lettore, bisogna leggere con attenzione le immagini perché non c’è la specificità della parola a guidarci. Dobbiamo capire le intenzioni dei personaggi dal contesto, dai piccoli gesti, dalle parole non dette.
Per quanto riguarda la scrittura, invece, per me è naturale pensare per immagini, anche quando scrivo racconti prima visualizzo le scene e le ambientazioni, poi le traduco in parole. 

  1. Un corpo smembrato parla anche di arte sotto vari aspetti. Sono molto belle le sequenze che ci mostrano il suo lato manuale, quello delle mani rovinate, degli scalpelli. Cos’è per te il processo artistico e la creatività? 

Io non credo nel talento, penso che l’idea di talento limiti molto le persone.
Pensare di non avere talento é una facile giustificazione se non si riescono a realizzare le proprie idee, allo stesso tempo riconoscere negli altri un dono crea una narrazione distorta, in cui il talentuoso è capace a prescindere, una narrazione in cui non vengono riconosciuti meriti e impegno.
Ovviamente ogni persona ha delle peculiarità e delle attitudini, ma per scrivere come per disegnare c’è bisogno di studio e pratica, poi bisogna avere un forte spirito critico e mettersi in discussione continuamente.
Per me il processo artistico passa attraverso una serie di errori, fallimenti e inciampamenti… bisogna sporcarsi le mani e sbagliare, per questo lo trovo affine al lavoro che potrebbe fare un meccanico.

  1. L’opera inizia con una citazione di Herman Hesse, tratta dall’antologia Sull’amore, che ci ricorda quanto sia fondamentale essere presenti a noi stessi e desiderare ciò che ci conduce nel nostro intimo e ci permette di rimanere connessi con il mondo. Cos’è che ti aiuta ad essere te stesso nel mondo che ci circonda?
    La citazione è stata scelta da Samuele e penso si sposi bene con il contenuto del libro, io probabilmente avrei inserito il testo di una canzone, forse Milano Circonvallazione Esterna degli Afterhours. Onestamente, avendo io un’attitudine punk malinconica, non so dirti se sono presente a me stesso e in connessione con il mondo… forse a me servono solo altri punk malinconici con cui condividere il tempo e le esperienze.
  1. Domanda finale di rito: a cosa stai lavorando al momento? Altri progetti in cantiere?
    Sto scrivendo la sceneggiatura per un fumetto che disegnerà Chiara Abastanotti, si tratta di una storia con elementi fantastici, nata pochi mesi prima di Un corpo smembrato.
    In un certo senso sono storie gemelle, affrontano entrambe il quotidiano, le relazioni e la distanza anche se con toni molto diversi. Se tutto procede per il meglio la potrete leggere già nel corso di quest’anno.

Ringraziamo come sempre gli autori che si sono prestati alla nostra incontenibile curiosità e non vediamo l’ora di leggere le loro prossime opere!

Carle vs Lorenzo Palloni & Martoz.

Intervista a Martoz.

Tra Carle ci si intende al volo e quando abbiamo letto entrambe il fumetti di cui abbiamo deciso di parlarvi, non abbiamo avuto dubbi: dovevamo fare qualcosa. Ormai sulla stessa lunghezza d’onda, io e Carla di Una banda di Cefali, abbiamo, di nuovo, riunito le nostre menti per partorire una nuova puntata di “Carle vs” (la prima la trovate qui). Questa volta i mal capitati sono Lorenzo Palloni e Martoz, autori di Terranera edito da Feltrinelli Comics.

Estasiate da questo crudelissimo fumetto, incentrato sul racconto del capolarato e dello sfruttamento, abbiamo proposto agli autori un’intervista doppia: stesse domande a cui ci hanno risposto i giovani maestri del fumetto italiano. Qui troverete l’intervista a Martoz, mentre per conoscere le risposte di Lorenzo Palloni dovete spostarvi sul blog di Una banda di Cefali,qui.

Let’s go.

  • Ciao ragazzi e grazie mille per esservi prestati a questa doppia fatica per noi  Carle al quadrato. Voi siete una “squadra fortissimi” (per inserire una citazione colta) e dopo Istantly Elsewhere è bello che abbiate deciso di lavorare ancora insieme. È nata prima l’idea della storia di Terranera o quella di una nuova collaborazione?


    Dopo il successo di Instantly (inaspettato, perlomeno nella forma in cui si è presentato), credo che avessimo ancora voglia di lavorare assieme, ma le due cose sono andate di pari passo. Quando abbiamo “deciso davvero” di fare subito un altro libro, Lorenzo aveva già in mente il germe di Terranera. Del resto io e Lorenzo siamo diventati grandi amici e ci stimiamo professionalmente, quindi temo (per lui!) che lavoreremo ancora assieme in futuro, anche se non nell’immediato.
  • Terranera è un fumetto quasi precursore dei tempi, visto che è uscito (neanche se aveste voluto farlo apposta) nell’anno delle polemiche per le misure di regolarizzazione dei braccianti e quello in cui il movimento del Black Lives Matter è tornato sotto ai riflettori. Come mai avete scelto di trattare un tema politico così scottante come la questione dei migranti e lo sfruttamento del capolarato? È un tema sempre attuale eppure, in particolare quello del capolarato, sempre un po’ bistrattato nella letteratura, visto che non se ne parla, né se ne scrive mai abbastanza.

    Siamo stati tristemente fortunati ma la verità è che si tratta di un macro-tema del nostro tempo. Quella contro il razzismo, le disuguaglianze e i privilegi è una lotta ancora lunga. In Italia, poi, il nostro fumetto è rimasto attuale, durante la lavorazione, perché la situazione è cambiata poco. Abbiamo deciso di trattare il tema della (mancata) integrazione perché durante il Conte 1, sotto un inaccettabile Salvinismo, eravamo particolarmente preoccupati ed arrabbiati per la piega che stavano prendendo le cose. 
  • Visto il tema di scottante attualità, ci si sarebbe aspettati una sorta di reportage/documentario a fumetti. Voi invece, contro ogni previsione, vi date alla “fiction”. Quali motivi vi hanno spinto ad utilizzare questa forma narrativa?

    La fiction è più efficace per trasmettere un messaggio, avendo l’arma dell’intrattenimento che può spingere, in un secondo momento, ad una riflessione. Inoltre, al di là dei dati, che sono fondamentali, anche una storia inventata può bastare ad accendere un dibattito sui problemi reali che vengono trattati. In certi contesti, penso ai più giovani, il fumetto può fare breccia più facilmente, rispetto all’informazione tradizionale, ed essere l’inizio di un’informazione sul tema. Regalate Terranera ai vostri figl*! 😀
  • All’inizio del fumetto vengono citati tre libri: Stoner di John Williams, Il signore delle mosche di William Golding e Ab Urbe Condita di Tito Livio. Sono libri diversi nel tempo, nello spazio, nella trama sia tra loro stessi che con Terranera. Qual è il legame che li unisce alla storia che vogliono raccontare e come mai avete scelto libri apparentemente così distanti per aprire il fumetto?

    Qui è giusto che risponda Lorenzo. Vi rimando all’altra metà dell’intervista!
  • Un’altra cosa che sembra estremamente distante è uno dei protagonisti, Babbo Natale, criminale, violento, volgare, razzista (e l’abbiamo trattato bene), ma che poi ascolta ed è fan di Peter Gabriel. Da dove nasce questa scelta? 

    Natale è un personaggio complesso. Non volevamo un Palpatine, ma che avesse un certo spessore psicologico. Per quanto sia inequivocabilmente negativo, Natale ha una sua cultura, un suo passato difficile e difetti umani come l’indolenza che non gli permette di cambiare la sua vita. È convinto di essere tediato dalla sfortuna ma la verità è che gestisce le cose in maniera approssimativa e caotica (fa troppe cazzate). Per certi versi è il personaggio più accattivante, sebbene non tifiamo mai per lui.
  • Viviamo alla stessa latitudine e conosciamo il disagio, soprattutto sentito dalle persone più anziane, di vedere un gatto nero e in ogni culla che si rispetti, nelle auto, attaccati a catenine, insomma da qualche parte ci deve essere il cornetto che ci protegge dal malocchio. Anche i personaggi di Terranera hanno cornetti, si preoccupano per i gatti neri e insomma sono estremamente superstiziosi. Qual è il vostro rapporto con la superstizione? Che ruolo svolge la superstizione nella storia di Terranera? 

    Ho sempre cercato di non essere superstizioso. Guardo anche con un certo fastidio, diciamo insofferenza, chi dimostra di esserlo parecchio. Temo, però, che una parte di noi sia soggetta ad una qualche forma di superstizione che non ci permette di essere spregiudicati fino in fondo. Nel caso di Natale, ripeto, è tutta una scusa. Il suo odio verso “la sfortuna” nasce dalla sua incapacità di prendere le redini del suo destino.
  • Una delle caratteristiche grafiche che ci ha maggiormente colpito è il campo di pomodori disegnato come fosse una trincea. I braccianti non possono uscire perché ne andrebbe delle loro vite, ma pur rimanendo al loro interno non sono al sicuro: le loro vite sono continuamente minacciate come se fossero in una guerra continua. Come è avvenuta la costruzione del fumetto? Come vi siete documentati e quali sono state le vostre referenze? 

    Quando abbiamo iniziato a lavorare al fumetto, era un altro “momento propizio” perché si parlava molto di discariche, Terra dei cuori (cit. Presidente Conte), e immigrazione. Tutti temi contenuti in Terranera. Abbiamo letto più che altro notizie di cronaca, visto documentari, analizzato mappe degli incendi, letto articoli o reportage dell’Espresso e di Internazionale. Per quanto riguarda il campo (di concentramento) di pomodori, volevamo esagerare per rendere più espressivo ed efficace il racconto. Ahimè, rispetto alla realtà, il nostro incipit si è rivelato ben poco distopico… forse la violenza che “noi” facciamo agli ultimi, in questo caso i migranti, assume forme diverse, a volte invisibili, psicologiche, a volte semplicemente nascoste.
  • I colori sono saturi ed in forte contrasto tra loro fatto che rende ancora più dinamica una storia fortemente propulsiva a scattante: sfondi gialli e personaggi verdi o viceversa, blu e rosa, verde e rosa, perché  questa scelta di colori che si alternano moltissimo in base alle situazioni narrate, senza “rispettare” i colori standard del giorno/notte, buio/luce, e i vari colori convenzionali degli oggetti e delle persone.

    Il colore è utilizzato in maniera strettamente narrativa per suddividere le scene e trasmettere sensazioni. Ci sono un paio di scene in cui ho utilizzato un “blu notturno” in maniera più tradizionale, ma per il resto era molto importante che i contrasti malati andassero a braccetto con i contenuti malati. C’è un’eccezione, nella scena più tremenda e disgustosa ho volutamente scelto un contrasto “zuccheroso” che rendesse la situazione ancora più inquietante (non posso fare spoiler).
  • Come si dice: non c’è due senza tre. È già in programma un nuovo lavoro insieme o saremo costrette a far partire una petizione online?

    Come ho già anticipato, lavoreremo ancora assieme. Su storie brevi nell’immediato e tra qualche tempo, magari, ad un terzo libro. credo che finché non tirerò le cuoia non mi libererò del mio amato Palloni ❤

Con questa dichiarazione d’amore, termina la nostra intervista. Se non l’avete già fatto vi invitiamo a leggere l’altra metà con Carla e Lorenzo.
Io ringrazio ancora moltissimo Martoz per essersi prestato a questa cosa e vi possiamo dire che le Carle al quadrato torneranno presto.

Blog su WordPress.com.

Su ↑