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"Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito. Perché la lettura è un'immortalità all'indietro."

Autore

Maria Chiara Paone

Febbre, J. Bazzi

«Il mondo va avanti anche se io sono in pericolo – Non fare la vittima. Ma è vero: per ogni malato la sua condizione è un evento assoluto. L’enigma che dovrebbe fermare il corso del tempo, la vita degli altri».

Questo pensiero, formulato ormai più di un anno fa da Jonathan Bazzi in Febbre (Fandango Libri) – ora presente nella dozzina di candidati al Premio Strega – sembra descrivere pienamente la situazione che stiamo vivendo in questo momento con la pandemia in circolazione, a prescindere dal numero delle fasi a cui siamo arrivati. 

Anche questa febbre, fin dal principio leggera ma debilitante, è sintomo di qualcosa di più grande: dopo aver fatto le analisi Jonathan scopre di essere sieropositivo. Da qui parte una narrazione estremamente autobiografica, che si altalena in perfetto equilibrio tra passato e presente, tra il prima e dopo la scoperta: il suo concepimento, una crasi tra i suoi genitori destinata a non durare, l’incontro con l’infettivologo, la sua infanzia a Rozzano, quasi un non-luogo della periferia milanese, («Rozzano è Milano, ma non è Milano. […] A Rozzano tanta gente ha origini meridionali, ma Rozzano non è Sud. È una specie di Sud senza il calore del Sud. […] È Sud raffreddato, senza mare, senza famiglia, senza più tradizioni»), il dialogo con la madre Tina e il compagno Marius, una triade che si farà forza in questo nuovo mondo con l’HIV, il rapporto con l’amore e il sesso, divisi fino a un certo punto seccamente in due metà distinte.  

«I ragazzi di cui mi innamoro e gli uomini che cerco per gli incontri occasionali. Bene e male, angeli i primi, minotauri i secondi. […] ragazzi giovani, visi bellissimi, occhi, bocche, mani, stelle, barbe bionde, fiori di luce, ecco l’amore. […] pezzi di carne senza testa, gente di spalle, muscoli, piedi, rettili e buio, sfondo rosso scuro, la furia dell’anonimato».

Immergendosi nella storia sembra che questa febbre, arrivata a manifestare l’immunodeficienza, sia l’ultima materializzazione di uno stato sempre presente in Jonathan, che si fa strada dai tempi delle medie prima e delle superiori poi e che si esprime in ossessioni di vario tipo: l’acquisto compulsivo di tarocchi, il disagio che gli provoca il suo balbettare, la scelta dilaniante dell’avviamento professionale – che gli consentirà di parlare di meno – e il bisogno a metà tra il necessario e lo smanioso di uno studio matto e disperato.  

L’identità è il perno su cui ruota tutto il racconto ma non è sinonimo di autoreferenziale, anzi: all’inizio la scoperta della malattia è vista come l’ingresso in una realtà più grande, comunitaria perché sì, il virus potrebbe colpire chiunque indistintamente e Bazzi lo descrive in un pezzo di immedesimazione che va riportato integralmente per goderne a pieno, come se si leggesse di un viaggio mistico quanto tragico: «Sono stato in Africa, sono stato ad Haiti, sono stato a New York, in California, sono stato in tutti gli Stati Uniti – raro cancro osservato in 41 pazienti gay, deficienza immunitaria correlata all’omosessualità –, sono stato in Brasile, sono arrivato in Europa, sono stato scimmia, membro della tribù, partner inconsapevole, attore porno, aspirante cantante, e poi sconosciuto, donna tradita, danzatore, tossico, escort, parrucchiere, dirigente d’azienda, sportivo paziente a cui è andata male, marito infedele, impiegato, senzatetto, figlio di balordi, attivista, prete, drag queen, ragazza transgender, professore, casalinga, medico, operaio, poeta, fotografo, madre che l’ha trasmesso al figlio untore, vendicatore, adolescente alle prime esperienze, vittima di stupro: il virus è stato in tutti questi corpi, li ha attraversati, sfruttati, erosi. Le persone finiscono, sono finite: quei corpi non esistono più. Invece lui è sopravvissuto, immortale, li ha trascesi, va oltre. È passato ad altri – in altri, in altre – arrivando fino a qui». 

Ma a un certo punto quella stessa diagnosi che aveva spezzato irrimediabilmente in due la sua vita, che gli ha aperto gli occhi sulla mortalità, sembra passare quasi in secondo piano perché visita dopo visita, pastiglia dopo pastiglia non è più la cosa che l’ha segnato ma parte integrante del suo essere: «L’HIV è una mia caratteristica reale, incontrovertibile. Una delle tante. […] E allora? Condizione corporea, oggettiva. Non decisa, scelta, voluta: il virus in realtà non dice niente di me, non dice niente di chi ce l’ha. […] Ho deciso di essere un sieropositivo che si lascia individuare, che racconta più che lasciarvi immaginare».

Da qui questo report, questa confidenza-manifesto in cui ognuno può trovare il suo angolo di immedesimazione. 

Maria Chiara Paone

Il genio non esiste, Barbascura X.

“Ormai diamo del ʽgenioʼ a qualsiasi essere umano, animale o ideale che abbia fatto qualcosa di figo. […] D’altronde ogni volta in cui chiedo a qualcuno di dirmi cosa sia per lui un ʽgenioʼ, ricevo una definizione diversa.”  

Siete pronti a ridere di alcuni personaggi che sono stati considerati come i più grandi dalla storia, i cosiddetti geni che hanno rivoluzionato la scienza dalla notte dei tempi?

Lo spero perché è proprio di questo che parla Il genio non esiste (e a volte è un idiota) (Tlon Edizioni), una raccolta di storie semiserie (per non dire immensamente comiche) di Barbascura X, tra le tantissime cose chimico e divulgatore scientifico grazie al suo format su Youtube Scienza brutta (e non dimentichiamoci dei suoi meravigliosi riassuntazzi!). Il libro è un contenitore dello spettacolo omonimo che Barbascura ha portato in Italia per tutto il 2019 ed è utile anche per chi, come la sottoscritta, ha potuto assistere personalmente alla conferenza-stand up comedy, perché si possono ritrovare dettagli persi oppure tagliati. 

Così inizia un viaggio sulla storia della scienza a partire da Democrito, che per primo riconobbe l’esistenza dell’atomo, passando dalle leggi di gravitazione di Newton alle origini della specie di Darwin, gli esperimenti di Marconi fino alle rivoluzioni di Einstein. Fin qui non sembra esserci niente di male. Ma siamo sicuri di averli davvero studiati a fondo? 

Secondo Barbascura no e completa i profili di quegli intellettuali mostrandoli nel modo più umano e, a volte, più idiota possibile: Democrito dopo aver fatto un lunghissimo viaggio (il primo Erasmus ante litteram) si ritrova a parlare nelle piazze per bisogno di soldi e per questo spara un’idea non dimostrabile (come tutte le altre di quel periodo, del resto) ma che, per qualche motivo, viene creduta estremamente valida; Newton era così ossessionato dalla scienza che per essere certo delle sue ipotesi arrivò a sperimentare su sé stesso, avvalendosi del titolo, tra gli altri, di “assaggiatore di metalli pesanti”; Darwin si è ritrovato la strada lastricata non da mattoni gialli ma dalla fortuna più sfacciata che si fosse mai vista, con una buona occasione dopo l’altra per brillare e, ammettiamolo, anche qualcuna con fare l’infame; Einstein ha vissuto la sua vita come il peggior universitario fuorisede a pochissimi giorni dall’esame, senza curarsi minimamente della sua persona o delle sue relazioni, con la testa abbassata costantemente alle sue idee, con il rischio di arrivare persino secondo; Marconi invece era, a detta dell’autore, “un piccolo stronzetto viziato, presuntuoso, cocco di mamma, spocchioso e arrogante, cresciuto con la convinzione di avere sempre ragione, sicurissimo di sé tanto imbottito d’ego e megalomania che se sbaglia non è lui ad aver sbagliato, ma è la natura a essere sbagliata.”  E questa è la parte in cui ci va leggeri. 

Non voglio svelare troppo per non rovinare la lettura, ma è sicuramente sorprendente vedere come la mente umana, anche la più brillante e razionale, si facesse condizionare, oggi come allora, dai trend della sua era: come è successo durante l’epoca vittoriana per lo spirituralismo, un fenomeno che nel XIX secolo ha visto tra i suoi credenti anche personalità del calibro dei coniugi Curie! 

“Era purtroppo una questione che riguardava il periodo storico, e vi racconto questo semplicemente per ricordare che, in fondo, sono tutti degli idioti. TUTTI.”

Con degli esempi mirati a rendere i concetti il più comprensibili anche per i profani che non sono molto avvezzi al linguaggio della scienza, (l’universo piadina rimarrà nel mio cuore) Barbascura X ci fa strada tra prove, fallimenti e riconoscimenti ma anche un sacco di bufale, come quella che avrebbe visto Einstein come un asino in matematica o della famosa mela di Newton. 

Il tutto accompagnato da una serie lunghissima di immagini modificate e commentate dall’autore, che mostrano come l’ironia e l’irriverenza non si accompagnano così male alla conoscenza e alla curiosità.


Maria Chiara Paone

Il principe e la sarta – J. Wang

“Non fare la femminuccia”, “Sei un vero maschiaccio”.

Queste sono solo alcune delle espressioni che ancora oggi sono utilizzate per definire chi non sembra rientrare nei canoni decisi dalla società e, spesso senza pensarci, sono adoperate per autodefinirsi.
Da tempo si cerca di spezzare questa ruota con delle campagne mirate – come quella di Always per sdoganare il termine “like a girl, come una ragazza”

e rendere meno “anormale” tutto quello che è semplicemente non ancora accettato. 

Il Principe e la Sarta edito da Bao Publishing, sembra rientrare a pieno in questa categoria riscontrando un enorme successo in America e qui in Italia, dove l’autrice Jen Wang ha appena terminato un tour di incontri e presentazioni. 

La storia è ambientata in una Parigi novecentesca, le esponenti della nobiltà (e le loro figlie) in fibrillazione: il principe Sebastian arriverà dal Belgio per cercare moglie. Quello che non tutti sanno è che al giovane il matrimonio per ora non interessa, anzi: lo terrorizza come il pensiero di dover salire un giorno sul trono e prendersi le sue responsabilità di regnante. Senza contare un altro piccolo particolare, che potrebbe tradirlo: Sebastian adora vestirsi da donna, al punto di trafugare i vestiti della madre per poterli indossare in libertà, fino a che non sentirà il bisogno di avere degli abiti tutti suoi. Da qui l’incontro fortuito con una delle creazioni di Frances, una ragazza povera ma ambiziosa che entrerà a far parte di questo segreto divenendo la sua sarta personale e fornendo a Sebastian non solo abiti meravigliosi ma anche il nome del suo alter ego, con cui si farà strada nella mondanità parigina: Lady Crystallia

Genere e sessualità sono espressi in maniera semplice, attraverso i dialoghi dei protagonisti ma vi è sempre una tensione di fondo: dopotutto sono entrambi degli adolescenti, che si interfacciano in un’epoca chiusa e colma di pregiudizi, una Francia tra Otto e Novecento curiosamente tanto simile al mondo contemporaneo, in cui sono ancora presenti morti causate dall’omofobia (e non solo).
Una grande lezione è contenuta nel testo, che una singola parte di noi non può definirci nella totalità, permettendo agli altri di imporci un’etichetta: infatti sebbene a Sebastian piaccia travestirsi da donna questo non lo rende obbligatoriamente omosessuale, ma solo un ragazzo con un vestito. 

L’abbigliamento, ovviamente, svolge un ruolo fondamentale perché più di ogni altra cosa esprime al mondo la nostra identità, un problema per Sebastian ma anche per la stessa Frances, anche lei in lotta con se stessa, su un piano diverso ma ugualmente importante per cui a un certo punto dovrà chiedersi se preferirà essere famosa a tutti i costi sacrificando la sua creatività, oppure rischiare tutto in nome della sua arte. 

Il maschile e il femminile sono continuamente mescolati, negli abiti di Lady Crystalliaindimenticabile l’abito-armatura, Giovanna d’Arco non l’avrebbe di certo disdegnato – e in quelli di Frances – che, nell’avanzamento della sua carriera, diventano di colori più professionali e di solito assegnati agli uomini, tra grigio, blu scuro e nero, ma con una delicatezza intrinseca data dalle gonne e dai fiocchi – ma si uniranno su un piano più profondo in cui ancora una volta non esistono le etichette, i generi ma le persone con le loro attitudini. Illuminante a questo proposito la riflessione che compie a un certo punto Sebastian:

“Sapevi che mio padre è un capo militare? E così anche suo padre? […] È strano… non penso che il principe Sebastian possa guidare una nazione in battaglia, mentre Lady Crystallia sì”.

Per la foggia dei vestiti l’autrice si è ispirata a quelli dell’epoca su cui riesce a inserire il suo estro, tramite riferimenti continui alla storia. Una piccola curiosità rivelataci alla presentazione di Roma riguarda proprio il mondo della sartoria. Durante la stesura, Jen Wang non sapeva cucire ma ha deciso da poco di imparare: infatti il vestito che indossava quel giorno era una delle sue prime creazioni e ne era molto fiera. 

Il finale sembra lasciare spazio alle interpretazioni e ovviamente non vi sveleremo nulla di più: diremo solo che non ci siamo potute esimere dal chiedere delucidazioni alla stessa Jen sulla questione, e siamo state molto contente di scoprire che la sua idea coincide con la nostra!

I disegni sono realistici e dettagliati, ma i personaggi rimangono “fumettosi” e questo, unito all’utilizzo di colori principalmente chiari ma leggermente desaturati, avvolge l’ambiente in un’atmosfera delicata, rendendo questa storia una favola moderna, adatta ad ogni tipo di età.

Avete letto, signore e signori, il meraviglioso racconto di lettura di Maria Chiara. Sapete che ogni tanto ospitiamo lettori e lettrici spaventosamente forti, libraie meravigliose e chiunque voglia parlare delle sue letture. Stavolta Maria Chiara ha scelto questo fumetto, che abbiamo da pochissimo letto anche noi, e che ci è piaciuto moltissimo: tra tulle, piume, colori sgargianti e fantasie floreali si snoda la storia attualissima di Sebastian. Ora ve lo consigliamo in tre, vedete di recuperarlo.

Macerie Prime, sei mesi dopo – Zerocalcare

Ogni tanto il nostro magico blog, apre le porte e ospita le penne dei nostri fidati collaboratori. Vi abbiamo già fatto conoscere la prode Maria Chiara, che su Macerie Prime aveva già scritto l’anno scorso, presentandovi il primo volume di questa specie di miniserie a fumetti su Zerocalcare, i suoi amici, i cambiamenti o i non cambiamenti che tutti noi giovani esseri umani stiamo affrontando in questo periodo poco florido della vita. Se la prima parte l’abbiamo affidata a lei, anche per Macerie Prime sei mesi dopo, a parlare sarà Maria Chiara che fa il punto della situazione sull’attesissimo sequel del fumettista romano.

È la prima volta che ci troviamo di fronte a una “seconda parte” nelle opere di Zerocalcare. Siamo sempre stati abituati ad avere il finale a portata di mano, a una manciata di pagine di distanza. E adesso che finalmente questo finale è arrivato (in realtà Macerie Prime – 6 mesi dopo è in libreria dal 7 maggio) possiamo dirci soddisfatti? Intanto facciamo il punto della situazione.

WhatsApp Image 2018-08-31 at 09.58.40.jpegSono passati sei mesi dall’ultima volta cui Zerocalcare e il suo gruppo, la sua squadra, ormai non più così unita, si sono trovati insieme. Le loro vite sono andate avanti, alcune in attesa di qualcosa di positivo con cui poterla cambiare, come l’esito del sospirato bando, altre semplicemente spinte dall’inerzia e da una quotidianità a tratti lacerante e piena di conti in sospeso con il passato che non bloccano i nuovi progetti.

In quella dell’alterego del fumettista romano non vi è più l’Armadillo, con i suoi sensi di colpa, bensì Panda, lo spirito guida supremo dello Sticazzi e della misantropia, desideroso di insegnargli come vivere.

Un nuovo incontro tra i membri del gruppo – tutti riuniti per conoscere la figlia di Cinghiale, evento già di per sé straordinario – porterà ad esaminare nuove e vecchie dinamiche, arrivando alla “conclusione”. Un finale che non dà un senso di chiusura totale, soprattutto a quelle che Zero chiama “sottotrame”, ma che insegna e mostra tanto nel corso della storia: la differenza tra il vivere e il sopravvivere (considerati spesso intercambiabili), l’angoscia per la crisi che si riflette prepotentemente nelle vecchie e (purtroppo) nuove generazioni, l’abitudine ormai dilagante di lasciare indietro tutto ciò che non ci riguarda perché “ognuno deve impara’ a campa’ per conto suo”.

145326913-1408e700-5868-4451-9ccc-618ff1da2dfc.jpgNonostante la storia sia estremamente personale riesce a inquadrare una buona porzione di universalità, esponendo ancora una volta paure, ansie e speranze che tutti noi possiamo aver provato almeno una volta nella vita. Ovviamente Zerocalcare non vuole e non può pretendere di esprimere una soluzione univoca e sempre garantita – come fa notare anche nelle varie note e  interludi onesti che dissemina nel corso della narrazione – tuttavia cerca di suggerire alcuni accorgimenti nel vivere la propria vita che, seppur piccoli, a volte potrebbero fare la differenza per chi ci circonda.

La storia parallela e metaforica, che si snoda insieme a quella reale, in questa seconda parte risulta meno forte, specialmente nelle tavole della battaglia finale, nonostante l’introduzione degli ultimi emissari, sempre ben costruiti e tra cui si troverà qualche vecchia conoscenza. Tuttavia Zero la vera forza la riesce a trasmettere nelle pagine in cui esplora le situazioni più delicate ed esprime la sua opinione senza saccenza o manie di protagonismo, come nel capitolo “Rubik”, dove i pensieri si uniscono alle immagini con un retrogusto di amara bellezza e che rendono la lettura, che per alcuni potrebbe dire niente di nuovo, qualcosa di unico e irrinunciabile.


Maria Chiara

 

Macerie Prime, Zerocalcare

Vi abbiamo sempre detto che questo oltre ad essere il personale blog mio e dell’avvocato, voleva essere uno spazio di condivisione, di letture unite e per lettori tutti. Infatti ospitiamo oggi, per questo breve ma intenso racconto di lettura, la nostra Maria Chiara, che adora Zero (più di noi). È la prima volta che parliamo (in questo caso non lo facciamo neanche direttamente) in modo approfondito di un’opera del fumettista romano, quindi bando alle ciance, vi lasciamo alle parole di Maria Chiara! Buona lettura.

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Zerocalcare è un autore che ormai sembra non avere bisogno di presentazioni: nato ad Arezzo, per metà francese, vive a Rebibbia da tutta la sua vita; locandine, centri sociali, un blog, un armadillo e ormai nove pubblicazioni per la Bao Publishing, il tutto accompagnato da serie tv e plumcake.
Ma è davvero così? Dopo tutti questi anni possiamo dire con assoluta convinzione chi sia Zerocalcare?
È questa la domanda con cui Macerie Prime ti costringe a fare i conti e non è assolutamente facile rispondere.
Il libro, uscito il 14 novembre e già in procinto di andare in ristampa, ci catapulta per la prima volta nel mondo in cui Zero per vivere fa “solo i fumetti”, dove la vita è scandita dai firmacopie e non più dalle ripetizioni, dove i cosiddetti “accolli” sono numerosi e se fai parte della specie di quelli che non riescono a dire mai di no non ne riuscirai ad uscire.
È anche un esperimento di coralità, abbastanza ben riuscito: ritroviamo in queste pagine Secco e l’amico Cinghiale, Sarah di Un polpo alla gola e Katja di Dodici; vecchie conoscenze sì, ma tutti con la loro voce e la loro storia. Perché in questi anni sono cambiati anche loro; chi alla ricerca di un lavoro, chi di uno migliore, la voglia di indipendenza, di essere finalmente adulti e non solo diventarlo per il procedere dell’età.
Le confidenze e i sogni che ognuno di loro ha dentro di sé porta ad eliminare un velo di illusione in quei personaggi, che ormai eravamo abituati a immaginare come macchiette, e ci costringe a vederli nella loro realtà più intima.
Assistiamo così, come inconsueti voyeuristi, alle loro gioie condivise fino ad arrivare al momento più basso (e paradossalmente più alto) della storia; quello delle verità, in cui tutti dicono basta e lasciano sfogare una parte più animalesca e irrazionale, che appartiene ad ognuno di noi.
Una sfera colma di demoni e divinità, non più semplici descrizioni di febbroni infiniti o di sensi di colpa “minimi” sul ritardo per le consegne: Zero qui presenta e costruisce una mitologia complessa, che sembra fare capo a qualcosa di più grande. Lo humour che lo contraddistingue, unito ai soliti elementi di cultura pop, è ancora presente ma è un filo sottile, sempre efficace nel dare respiro a temi così importanti.
Un libro diverso in cui è percepibile la voglia di maturare e di aprirsi dell’autore, in cui tuttavia universale e individuale si fondono ancora una volta, dando voce agli interrogativi di quest’epoca, colma di macerie e di persone che, nonostante tutto, devono capire come viverci.
La non chiusura lascia, ovviamente insoddisfatti, ma fa aumentare la curiosità per quello che leggeremo a maggio 2018, sperando che in questi sei mesi le cose possano cambiare e in meglio.

Maria Chiara Paone

Noi lo leggeremo fra qualche giorno, saprete tutto su facebook o instagram ma siamo abbastanza sicuri che, come sempre sarà una lettura piacevolissima. Mentre aspettate nostre nuove, noi aspettiamo le vostre!

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