In Hortus Mirabilis, l’ultima antologia di racconti weird e fantastici edita da Moscabianca Edizioni, ci sono 13 piante. Non si tratta di piante conosciute perché sono piante di mondi antichissimi o di tempi che ancora non sono stati vissuti, piante che infestano le storie di quattordici autrici e autori e che infesteranno anche i vostri pensieri. Tutti i racconti ruotano infatti intorno ad un elemento vegetale che talvolta ha delle proprietà soprannaturali, dona poteri, cresce in luoghi inusuali, per farlo figurare meglio a chi legge, ogni storia è corredata dalle tavole di Gabriele Operti che illustrano nel dettaglio i virgulti.
Le storie sono estremamente variegate, ambientate in posti esotici o in normali case, con piante che all’apparenza non hanno nulla di così strano. L’eterogeneità dei racconti rende questo bellissimo volume, sia internamente che esternamente (si tratta infatti di un oggetto davvero prezioso ed esteticamente pregevole), adatto a tuttз; chi ci conosce sa che non siamo grandi amanti dei racconti, ma questi sono veramente originali e tutta l’impostazione del volume è così fresca e innovativa che si trovano sicuramente elementi adatti alle proprie corde. Tra le storie che ci hanno profondamente conquistate ci sono:
- “Il manuale di giardinaggio di Aubrey” di Ilaria Petrarca con la sua Radizpeca, Carapichea radizpeca.
- “Il matrimonio” di Maria Gaia Belli con l’Albero madre, Salix nigra mater
- “Scie nella neve” di Maurizio Ferrero con la Rotolacampo Gigante, Salsola arctica
- “Il tè delle tigri” di Diletta Crudeli con la sua Radice delle case del tè, Gorgonide neofita

Quella che però abbiamo innalzato come nostra preferita è Skògur di Natalia Guerrieri, che ha dato vita al Þinur, Abies nigra borealis. Proprio lei è la protagonista di questa intervista, che abbiamo organizzato insieme a Moscabianca Edizioni come fatto già per il loro W. O. W. Ora però è arrivato il momento di lasciare la parola a Natalia, alla sua bellissima storia e ai retroscena della vita di scrittrice.
Innanzitutto benvenuta su Tararabundidee! Siamo liete di ospitarti qui a parlare della tua carriera e di Hortus Mirabilis. Rompiamo subito il ghiaccio raccontando ai nostri lettori e alle nostre lettrici: come e quando hai capito che la scrittura era la tua passione?
Per prima cosa ciao a tutt* e grazie per avermi proposto questa intervista. Ne ebbi il primo sospetto attorno ai cinque anni: non capivo proprio che razza di magia fosse quella che permetteva alle persone di tirare fuori le storie dai libri e non vedevo l’ora di diventarne capace anche io. Quando poi imparai a leggere, mio papà mi portava in biblioteca con sé il sabato mattina. Trascorrevo ore e ore nel settore dei libri per l’infanzia, sprofondata in una poltrona troppo grande e nel silenzio. Ogni tanto lanciavo un’occhiata attorno a me, verso gli scaffali: mi ripetevo che dovevo leggere più velocemente prima di diventare grande e venire esclusa da quella stanza. La mia passione per la scrittura nacque quindi dalla lettura. Poi, dopo aver scoperto Roald Dahl e Michael Ende non ebbi più alcun dubbio: da grande volevo fare la scrittrice. I miei genitori mi regalarono allora dei bellissimi quaderni che iniziai a riempire con le storie che inventavo. Avevo sette o otto anni.
Skògur è solo l’ultimo dei tuoi racconti. Ha scritto infatti per Quodlibet e su riviste letterarie come «inutile», «Tropismi», «Sulla quarta corda», «Malgrado le mosche» e «Nuova Tèchne». Qual è stato il percorso che ti ha portato alla pubblicazione del tuo primo racconto?
Durante l’università, partecipavo a un gruppo di scrittura. Ogni volta si stabiliva un tema, un genere o un dettaglio e bisognava produrre un racconto che lo rispettasse. Tra le persone che coordinavano e partecipavano a questa attività c’erano Maria Gaia Belli, Simone Marcelli, Adriano Pugno e altre, tutte ottime penne che vi consiglio di leggere. La prima volta però che ho pubblicato qualcosa per lettor* estern* è stato sulla raccolta Rivoluzioni, ribellioni, cambiamenti e utopie (Almanacco 2018), a cura di Ermanno Cavazzoni per Quodlibet. Si trattava di un racconto molto breve, intitolato “Gli ultimi giorni di Edilemà”, che si può ritrovare qui.
Nel frattempo, il mio amico Simone Marcelli continuava a consigliarmi di inviare qualche testo alle riviste letterarie che stavano fiorendo portando alla luce diverse penne esordienti. Se non sbaglio, il mio primo racconto pubblicato online è stato “Via Archirola” su inutile, che si può trovare qui.
La mia collaborazione con inutile, rivista che apprezzo tantissimo e che colgo l’occasione per ringraziare, è poi proseguita negli anni.
Scrivi per lo più racconti: qual è la scelta che ti ha portato verso questa forma narrativa? Hai in programma di testare anche forme più lunghe prossimamente, nel tuo percorso di scrittura?
Cercando il mio nome online oggi si trovano soprattutto racconti ma in realtà la maggior parte del mio tempo è impiegata nella scrittura di opere più lunghe. Una di queste, nonché il mio romanzo di esordio, uscirà il 10 giugno 2021 per Moscabianca Edizioni. Avevo inviato il dattiloscritto a pochi editori, selezionati con cura, e penso di aver fatto la scelta giusta. Mi sono trovata benissimo con Moscabianca, ho avuto l’occasione di approfondire il mio lavoro, crescere come autrice e confrontarmi con persone professionali e competenti come il mio editor, Andrea Viscusi, e Silvia La Posta. Questa casa editrice è stata per me una realtà ideale che ha saputo accogliere e valorizzare al meglio la mia voce. In più, mi è stata data la possibilità di scegliere la copertina e ho proposto l’incarico a Marino Neri. Attualmente sto lavorando al mio secondo romanzo ma ancora niente anticipazioni su questo… In più, sono autrice di cinema e teatro.
Non sei però solo autrice. Tra le varie passioni hai anche quella di occuparti di tutto ciò che è più invisibile nel mondo dell’editoria. Cos’è e come nasce This writing room?
Grazie per la domanda, mi fa piacere parlare anche di questo. This writing room è una realtà fondata da me e Chiara Arrigoni con la volontà di rendere il lavoro di noi autor* un po’ più simile agli altri lavori. Erroneamente si crede (soprattutto in Italia) che l’autor* scriva in cima a una rupe, in mezzo alle tempeste e in preda a una dionisiaca ispirazione. Niente di più falso. La scrittura è un lavoro. Un lavoro che senza passione è impossibile portare avanti, probabilmente, ma pur sempre un lavoro, che necessita preparazione, dedizione, impegno e tantissimo tempo. Ci tengo molto a dire e a ribadire questo. La falsa convinzione che la scrittura sia un passatempo, un hobby o uno sfogo a singhiozzo danneggia la categoria di chi scrive per mestiere e contribuisce a diffondere una grave ignoranza su chi siamo, cosa facciamo, quanto tempo dedichiamo al nostro lavoro e quanto meritiamo di essere riconosciut*, tutelat* e retribuit*. Quante volte mi sono sentita chiedere: “Mi leggi una cosa? Mi butti giù due righe? Hai cinque minuti”? E mai una volta che fossero davvero due righe… o cinque minuti. Il problema del lavoro in Italia è gigantesco e nessun* ne parla mai. È come un elefante in una stanza dove tutt* scivolano contro le pareti facendo finta di non vederlo. Nelle discipline artistiche questo problema è forse ancora più radicato. L’approssimazione è la regola e tutto si basa su un continuo baratto che fa pensare alle fasi primordiali della nostra civiltà. This writing room vuole reagire a tutto questo, nasce come spazio di lavoro equo e sostenibile, dove gli autor* sono rispettat* e tutelat* per il lavoro che fanno e ai/alle client* viene garantita la massima professionalità. I servizi offerti riguardano la scrittura in tutte le sue forme: editing, coaching, ghostwriting, schede di lettura, traduzioni, produzione di contenuti per il web. Io e Chiara siamo le fondatrici e spesso seguiamo i progetti da vicino ma ci avvaliamo anche della professionalità di altr* autor* che stimiamo e che collaborano con noi.
Passiamo invece a Hortus Mirabilis, il tuo racconto è Skógur: da dov’è giunta l’ispirazione per questa fantastica storia, come nasce?
L’ispirazione per Skógur è nata in primo luogo da Silvia La Posta, che mi ha proposto di scrivere un racconto che riguardasse le piante. La prima immagine che mi è venuta allora in mente è stata quella di un bosco di abeti innevato. Sono ossessionata dalle Dolomiti, dalle montagne e dai boschi. Anche adesso, se mi chiedessi: “Dove vorresti essere?” saprei indicarti un punto preciso sulla cartina, in Val di Funes. Per me l’ambiente dolomitico rappresenta la bellezza assoluta, l’idillio. A questa prima immagine si è accostato un pensiero stridente: “E se tutto questo fosse un artificio che in realtà nasconde qualcosa di terribile?” Così è iniziata a nascere la storia. Un piccolo mondo innevato che cela un segreto. Non più le Dolomiti ma l’Islanda, un’Islanda del futuro, irriconoscibile e distorta (non c’è nulla del vero luogo geografico se non alcune parole). Un luogo molto a nord che è stato “l’ultimo a sopravvivere”. Ma a che prezzo? C’è una bambina senza nome, c’è una straniera, c’è un campanile spaventoso che diffonde un lugubre rintocco di campane. C’è un bosco molto particolare e tanta neve. Non voglio svelare di più.

La storia è ambientata in un futuro particolare perché si mescolano tratti profondamente tecnologici e innovativi a riti ancestrali e primordiali: perché questo mix? È così che immagini il futuro degli esseri viventi?
Volevo che il/la lettor* si immergesse in un’atmosfera per poi vedere le sue aspettative disattese, stravolte. In più, dal punto di vista stilistico, si è trattato per me di un esperimento interessante. Un mix, come dici tu, di elementi fra loro opposti. Infine ho scritto ciò che io stessa avrei voluto leggere. Di solito è un metodo che funziona. Per quanto riguarda la mia visione del futuro degli esseri viventi, o almeno degli esseri umani, penso che la scena finale del racconto la rappresenti abbastanza fedelmente.
Il tuo racconto ha una caratteristica particolare anche a livello stilistico, l’uso di altre due lingue: il norreno e l’islandese. Come mai questa scelta?
Sì, nel racconto ci sono alcune parole in islandese e in più un brano tratto dall’Edda Poetica che è scritto in norreno. Sono una grande appassionata di letterature e culture nordiche, fin dai tempi dell’Università, dove grazie al prof. Alessandro Zironi e alla prof.ssa Silvia Cosimini ho scoperto questo magnifico mondo che non conoscevo. Penso che la traduzione sia sempre una riscrittura e che quindi le parole, in quanto tali, siano uniche. Volevo quelle parole, non la loro traduzione o spiegazione. Volevo quei suoni, quella grafia. Chi legge può cercarne il significato ma a mio parere non è obbligatorio. C’è il contesto, c’è la forza evocativa di quelle parole… ma soprattutto c’è l’immaginazione del/della lettor*. Perché un testo si fa sempre in due.
Hortus Mirabilis è una raccolta di racconti in cui autrici e autori hanno anche dovuto inventare una specie vegetale nuova. Sei un’appassionata di piante, boschi e verde? Da dove arriva il tuo Abies nigra borealis?
Sì, come dicevo, sono una grande amante della montagna, in particolar modo del Trentino – Alto Adige. Ho avuto la fortuna di trascorrere in quei luoghi lunghi periodi della mia infanzia. Se non ci fossero alcune valide ragioni per restare a Modena, vivrei là. L’albero del mio racconto ricorda un abete però è nero, funereo, portatore di morte. Per la scelta del nome devo ringraziare ancora una volta Chiara Arrigoni, che essendo molto brava in latino mi ha aiutata a sceglierlo.
Quali sono le tue manie da scrittrice? Fai qualcosa di particolare mentre scrivi? Da cosa prendi l’ispirazione per le tue storie?
Accidenti, potrei scrivere un romanzo su questa domanda. Provo a riassumere: leggo moltissimo, più romanzi contemporaneamente, vivo la lettura come un vizio. Proibita, perditempo, gustosa, controcorrente rispetto al buon senso, all’ottimizzazione del tempo e all’imperativo della produttività. Cerco di scrivere ogni giorno. La scrittura è il momento in cui tutto il resto schizza via da me, milioni di anni luce lontano, è il momento in cui tutto acquista non dico un senso…. ma quasi… una forma, ecco. La scrittura è felicità ma è anche sforzo, fatica, insoddisfazione, angoscia, autocritica. La scrittura è vorace di tempo e di energie. Mentre scrivo mangio troppo e bevo troppi caffè. Accendo l’incenso dentro casa. Spengo il telefono. Mi piace scrivere al bar, c’è un posticino vicino casa mia dove sanno già cosa ordinerò e mi lasciano un tavolo, completamente indisturbata, per ore. Quando scrivo fuori casa, la vita scorre attorno a me come in un acquario ma io sono oltre al vetro. Poi ascolto musica, la stessa canzone a ripetizione per ore (altrimenti perdo la concentrazione). Spero prima o poi di avere un gatto vicino a me da poter accarezzare mentre cerco le parole giuste.
Moscabianca non è solamente la casa editrice che si è occupata di Skògur, ma è la casa editrice a cui hai scelto di affidare la tua prima opera in solitaria. Com’è avvenuto questo incontro?
Moscabianca, come dicevo, non è solo il mio editore per Hortus Mirabilis ma anche per il mio romanzo di esordio. L’ho conosciuta perché apprezzo le sue pubblicazioni e il modo in cui si distingue nel panorama letterario italiano. Finalmente in Italia si stanno affermando piccole e medie case editrici che si fanno notare per la qualità altissima delle pubblicazioni, per la cura editoriale e grafica, per il rapporto con l’autor* e con i/le lettor*. Soprattutto però, ciò che voglio ribadire è che tra questi cataloghi raramente trovo libri che non mi piacciono. Non ho più il vecchio problema di lasciare un libro a metà (o ancora prima). Alcune uscite mi appassionano di più, altre meno, per ragioni di gusto personale ma l’interesse da parte mia è quasi sempre alto o molto alto. Queste realtà si stanno assumendo il compito (non semplice) di portare avanti la ricerca letteraria, di garantire l’evoluzione della narrativa e la biodiversità delle pubblicazioni.
Ringraziamo moltissimo Natalia Guerrieri e Moscabianca Edizioni per questa intervista e a voi consigliamo di lasciarvi travolgere da questo splendido volume!
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