Si parla di lutto, principalmente e proprio per questo potevano venirmi in mente varie persone, purtroppo, che ho perso nella mia vita, ma oltre il lutto i grandi protagonisti de La via del bosco di Long Litt Woon (Iperborea) sono i funghi. E la prima persona a cui penso quando si evocano boschi o l’atto della raccolta dei funghi è zio Arturo.

In qualsiasi spedizione delle nostre per raccogliere porcini, ovuli e jallanielli, lui era sempre quello con il cestino più pieno. Era come se i suoi occhi fossero guidati da qualcosa di soprannaturale che si posava su ogni fungo prelibato, quelli che noi stupidi umani privi di questo dono non vedevamo o addirittura calpestavamo… Forse zio Arturo li faceva apparire così, magicamente dove voleva e noi ancora più stupidi a non essercene mai accorti.

Le piante erano più alte di me (assicuro a chi non mi conosce che non ci vuole molto) e facevo una fatica rara a spostarle, tenendole lontano dal viso e contemporaneamente guardare in basso, osservando ciò che il bosco poteva darmi o dirmi. Zio Arturo non ha mai avuto di questi problemi, il più alto della famiglia (avessi preso da lui qualche gene, niente!), forte, lui camminava tranquillo ed imperterrito in mezzo alle frasche e pure se i rami s’incontravano violentemente percuotendogli il viso, non era un fattore di cui si curava. Camminava dietro tutti noi. In solitaria, come in tutta la sua vita, in un silenzio impossibile da tenere anche nel bosco, dove ad ogni passo suona qualcosa.
Lui è un mago del silenzio. Lo guardavi ed era lì, dietro di te. Sembrava che tutto guardasse fuorché il suolo e i funghi che potevano spuntarvi. Giravi lo sguardo dopo qualche secondo e lui si era già accovacciato e aveva pure riposto nel suo cestino un’altra preziosa gemma fungina e tu stavi là a cercare di capire come fosse possibile.
Zio Arturo non ha mai frequentato corsi, non è un micologo come la protagonista nonché autrice di questo bellissimo libro. L’esperienza però era la sua guida, lo portava a riconoscere le specie e a raccogliere solo le più prelibate.
Non so se per lui l’andare a funghi o più in generale la vita di campagna e il suo pullulare di vitalità ha un effetto benefico come per Woon, ma mi piace pensare che sia così.

L’autrice ha appena perso suo marito, attraverso pagine dal carattere turchese dice al lettore tutto quello che pensa sulla morte e sul lutto, si espone in una maniera straziante e reale, mette nero (o meglio turchese) su bianco tutto ciò che quella perdita repentina ha causato alla sua vita: sgomento, paura, rabbia, dolore. Accanto a queste pagine, stavolta davvero nero su bianco, racconta di come impegnandosi nel suo nuovo corso, trovando una nuova interessante materia, la micologia, riesce a uscire dall’empasse lasciata dal lutto, ci svela qualche segreto, attraverso delle illustrazioni ci porta nel suo nuovo mondo, oltre che nella sua anima trafitta dalla sofferenza.

“L’istinto del cacciatore – raccoglitore si accende e in un attimo ci si ritrova teletrasportati in un mondo fatato. La concentrazione si acuisce, la tensione aumenta: riusciremo a trovare il tesoro micologico? E quando finalmente si scorge un bel gallinaccio – o magari due, o tre – capita di ritrovarsi a dirgli: “Mamma mia quanto sei bello!” o anche “Vieni tesoro, vieni dalla mamma!” Spesso mi lascio ingannare, e il giallo di una foglia di betulla mi fa battere il cuore un po’ più forte per la speranza di aver trovato l’oro nel verde dei boschi. Di solito si scopre che non è oro e nemmeno un fungo, ma c’è stata una volta in cui il mio sguardo laser ha individuato delle banconote abbandonate nel bel mezzo di un’abetaia. Incredibile cosa si possa trovare in un bosco norvegese, quando si tengono bene aperti gli occhi.”

Anche la trattazione del lutto, i pensieri così veri su come un uomo affronti la perdita di un suo caro mi hanno fatta pensare a zio Arturo. Chiuso nel suo guscio invalicabile di incomunicabilità chissà cosa ha pensato dei più o meno recenti lutti che hanno sconvolto la nostra famiglia, sono più che certa che se ci fosse un modo attraverso cui egli potesse dirci cosa prova e cosa ha provato ne risulterebbero immagini e riflessioni pure, ma reali, crudeli, ma pregne d’umanità come quelle di Woon Litt Long.

Alcuni libri parlano a corde particolari della nostra umanità, risvegliano ricordi, fanno vivere strane emozioni. Non so se La via del bosco sia il libro adatto a voi, non so se il modo in cui viene trattato il lutto in questo libro sia affine al vostro, magari lo troverete patetico, esagerato, oppure artefatto e costruito. Non so se vi piacciono i funghi o se avete mai fatto lunghe camminate nei boschi per trovare tesori e quindi neanche questo aspetto del libro potrebbe interessarvi. Io so che le parole dell’autrice mi hanno richiamato momenti a cui non pensavo da un po’ e so anche che, pur non essendo un grande lettore zio Arturo e sicuramente non è il tipo che condivide le sue impressioni, credo proprio che questo libro glielo regalerei.

“Da quando mi è venuta la mania dei funghi, ho scoperto davanti alla punta delle mie scarpe un invisibile mondo parallelo con una sua logica ingovernabile e una forza vitale sfrenata, un mondo stregato davanti al quale avevo sempre tirato dritto, ignara della sua esistenza. Quando trovo un fungo, mi capita di avere l’impressione che il tempo si fermi. Flusso e zen nel medesimo istante. Il benessere interiore e la sensazione di essere un tutt’uno con l’universo danno gioia e soddisfazione. E allora c’è una sola cosa che conti: trovarmi là dove sono, e fare ciò che faccio. In quel momento non penso a cosa cucinare per cena, né a cosa possa dire la gente della mia pettinatura.”