Nel Nord più a Nord della Svezia a Kengis, nella metà del 1800 operava Lars Levi Læstadius pastore luterano, botanico, “risvegliato” di origine sami. Laestadius è uno dei protagonisti di Cucinare un orso ultimo romanzo dello scrittore svedese (anzi più precisamente di Pajala cioè là, vicino vicino a Kengis) Mikael Niemi. Niemi ha rilasciato varie interviste in cui racconta la genesi del suo romanzo. Da tempo l’autore raccoglieva informazioni su Laestadius, l’uomo più famoso della sua terra, ma voleva cercare di raccontare la vita del pastore in modo nuovo, presentare questa celebrità della botanica da un punto di vista diversa, visto che molto si è scritto su di lui.
Uno degli intenti dell’autore è quello di creare un personaggio reale, molto spesso ci si dimentica che dietro studiosi, nomi importanti, vip, ci siano persone normali, che come ci racconta Niemi nel suo romanzo fanno la sauna, mangiano patate rallegrandosi della loro bontà e cose simili.

È inutile negarlo. Noi Cucinare un orso lo abbiamo comprato perché veniva associato a Il nome della rosa. A ragione. Il libro è infatti ispirato al capolavoro di Umberto Eco. Lo si riconosce dall’impostazione, c’è l’investigazione, una serie di omicidi, ampio spazio alla divulgazione scientifica, alle diatribe religiose. Anche qui abbiamo un maestro che è Laestadius e un Adso, l’apprendista che è Jussi, ma siamo comunque in ambiti diversi, in fondo la storia è diversa. Chiaro che c’è molto de Il nome della rosa, ma non possiamo dire che sia un libro bellissimo solo per questo.
Di cosa parla? In questo piccolo paese scandinavo ci sono una serie di morti, tutte giovani fanciulle. Prima si parla di orsi assassini, poi di suicidi insomma, ogni soluzione è buona per negare la verità: si tratta di femminicidi. Le donne sono uccise da uomini, uno o più, che non riescono a controllarsi, che non ammettono rifiuti. Questo il pastore e Jussi lo comprendono immediatamente, la vera sfida è farlo capire a tutto il resto della popolazione che non fa altro che negare l’evidenza, dando la colpa alle vittime, che comunque sia avrebbero dovuto stare più attente, che non erano state educate bene, che avevano permesso tutto ciò, insomma: dal 1853 ad oggi ad ogni latitudine non è che l’evoluzione abbia fatto passi da gigante nell’analizzare e nel parlare di femminicidio.

Il romanzo ruota intorno a questi femminicidi e ai progressi che i due investigatori fanno intorno ad essi. Durante le analisi, le indagini etc. Niemi ci descrive la formazione e l’evoluzione di Jussi. Jussi è un giovane sami, scappato da una famiglia che non lo voleva e viene accolto, anzi adottato dal pastore, che avendo perso suo figlio a causa del morbillo vede in Jussi una nuova possibilità. Il pastore conscio del dolore provato dalla perdita del suo amatissimo bambino, cerca in ogni modo di proteggere il piccolo sami e di educarlo nel migliore dei modi. Gli insegna a leggere, a scrivere e vorrebbe insegnargli a predicare, ad ammaliare le persone con la voce e la retorica. Jussi s’impegna con tutto sé stesso, non solo per non deludere il pastore ma anche perché scopre quanto sia meraviglioso il mondo della cultura. S’innamora dei libri e delle storie in essi contenute. Delle proprietà della letteratura e della narrazione che attraverso le parole possono fermare il tempo, dilatarlo, restringerlo. Attraverso i libri e le lettere si può fare qualsiasi cosa. Questo potere incommensurabile è la vera scoperta di Jussi, qualcosa che lo ammalia immensamente ma che lo spaventa anche. Che strumento potentissimo è la parola? Che strumento potentissimo sono i libri? E se questo strumento venisse usato non per creare bellezza, per sconfiggere i limiti dell’umano, ma per servire il male?
“Nella libreria del pastore vedo file e file di copertine, una accanto all’altra, e tutte contengono tempi di tipo diverso. Il tempo che ci è voluto a scrivere il libro, il tempo in cui si svolge la storia, il tempo che ci vuole per leggerla. E mi manca la terra sotto i piedi quando mi rendo conto che in un misero pezzetto di scaffale è racchiuso più tempo di quanto possa contenere una vita intera. Le esperienze descritte sono così vaste che nessun individuo potrà mai comprenderle tutte dentro di sé, i pensieri così numerosi che nessuna mente riuscirà mai a formularli tutti nel corso di una sola esistenza, nemmeno se passassimo ogni singolo giorno della nostra vita a divorare libri. M’immagino grandi case piene zeppe di libri, così tanti che nessuno riuscirebbe mai a leggerli tutti, e al solo pensiero mi vengono le vertigini.”
Una delle cose più belle di questo libro è senza dubbio come viene presentata la passione di Jussi. Appassionato lettore, piccolo investigatore, apprendista botanico. Ma per Jussi anche se è il protetto del pastore, di questo uomo severo e rispettato, la vita non è facile. Una delle cose che Niemi mette in chiaro nel suo romanzo è l’asperità nei confronti di Jussi in quanto sami. Un accento diverso, tratti più marcati, carnagione più scura fanno di Jussi un ragazzo da cui scappare, a nulla serve la protezione del pastore contro uno spietato e feroce razzismo.

In 500 pagine il mistero delle giovani fanciulle uccise si risolve, e viene sottolineato un quadro della Svezia del Nord del 1800 molto realistico. Uomini e donne che vivono di agricoltura, piagati dall’acquavite che riscalda ma rende gli animi flemmi, offuscati, nel freddo dell’estremo Nord. Nonostante le difficoltà e la povertà il romanzo dimostra bene come ci sia sempre una grande sensibilità nei confronti delle arti e della cultura. Quando si può i bambini vengono mandati nelle scuole parrocchiali, si promuovono e si tengono in grande considerazione gli studiosi e gli artisti, nonostante le difficoltà, l’amore per la cultura viene dimostrata in ogni pagina, ma non basta questo. Come abbiamo visto la cattiveria, la malignità degli uomini anche se sono sensibili alla bellezza della cultura, rimangono.
In un romanzo storico e giallo insieme, dove tutto sembra fiction anche se parla di persone in parte realmente esistite, il modo di Niemi di collocare degli episodi che possono tranquillamente essere di attualità fanno riflettere. Com’è possibile che di fronte a una serie di omicidi di donne, indifese, torturate nessuno pensa che siano state vittime. E anche se loro sono morte alla fine, comunque la colpa è stata loro sia se è stato un orso ad ucciderle (sono uscite da sole, dovevano stare più attente) se è stato un uomo poi, insomma perché avrebbe dovuto? Questa ipotesi pare inammissibile. È più o meno la stessa retorica che ancora oggi, praticamente 200 anni dopo si usa ancora per giustificare. Giustificare cosa poi…
Ugualmente tragica è la posizione di Jussi. Le continue vessazioni dei compaesani lo fanno sentire inadatto, in colpa per essere un sami. Per quello non parla con nessuno, cerca di rendersi invisibile e sarà la prima persona ad essere incolpata dalla folla quando ci sarà bisogno di trovare un colpevole. Jussi è sempre frenato, ogni piccolo slancio è ponderato, limitato. C’è un disagio costante che accompagna il piccolo apprendista del pastore e che lo tormenterà fino all’ultima pagina.
E anche questo in 200 anni non l’abbiamo imparato.
Quando avete tempo, recuperate questo libro. Scorrevole e particolare, fila liscissimo ma riesce a dare importantissimi spunti, quelli di cui vi abbiamo parlato sono solo alcuni.
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