Dal 1° marzo 1992 al 14 dicembre 1995 c’è stata la Guerra in Bosnia ed Erzegovina. È quel tipo di storia così recente che non entra nei programmi scolastici, ma è anche quel tipo di storia che pur essendo recente non entra nella mente della gente. I conflitti sono terminati nel 2001, praticamente l’altro ieri, in un luogo così vicino a noi che se ci sporgessimo lo vedremo a occhio nudo. E proprio qui, così vicino, nel luglio del 1995 avvenne il massacro di Sbrebrenica: più di 8000 musulmani furono torturati, uccisi e gettati in fosse, grotte. È di questo o meglio, della memoria che ha lasciato nella popolazione che parla il reportage, edito da Keller nel 2010, Come se mangiassi pietre, dell’autore polacco Tochman.
È stata una lettura molto complessa, faticosa da accettare: in quegli anni sono nata io ed è davvero poco tempo fa… com’è stato possibile che sia accaduto questo? Che è stato permesso un simile scempio?

A parlare nel libro, che è un mosaico di esperienze e di voci diverse, sono soprattutto donne. Sì perché in quel massacro erano le uniche, in alcuni casi, ad essere risparmiate. Gli uomini erano presi, scambiati, illusi poi uccisi e le donne rimanevano vagando e avendo come unico scopo della vita, ritrovare i corpi dei propri cari. Eva Klonowsky è l’antropologa forense che si occupa di identificare i resti delle vittime e di riportarli alle loro famiglie. Percorriamo nel libro i suoi viaggi e le sue esperienze, le sue scoperte e quelli delle altre donne che in lungo e il largo percorrono il territorio serbo per “ricongiungersi” ai propri cari. Vengono scoperte nuove fosse comuni, perché ogni tanto, qualcuno si fa avanti dicendo di aver visto, di essersi ricordato di punto in bianco (come se fossero cose banali, che possono essere facilmente cancellate dalla memoria) che proprio in quel luogo, tempo prima aveva assistito (visto da lontano però, mai in prima persona, perché le responsabilità è comunque meglio lasciarle agli altri), a omicidi di musulmani. La cosa che sconvolge è che nelle storie raccontate, a parte in rarissimi casi, non c’è alcuna forma di solidarietà verso le vittime. Più che per una forma di autotutela o per paura, sembrerebbe quasi per strafottenza. Ognuno si fa i fatti propri e continua così la sua esistenza, senza curarsi minimamente neppure del più caro amico. E anche alla fine di tutto è così. Non ci sono pentiti, non ci sono confessioni. Si ritorna a vivere come se nulla fosse successo. Crudelissimi uomini che hanno trucidato altri uomini innocenti ed indifesi vivono tranquilli nelle loro abitazioni, terribili stupratori fanno la vita di padri amorevoli e mariti dolcissimi. Nessuno dice niente, possibile che non ci sia alcun tipo di rimorso?
“Se mi lasciassi prendere dalle emozioni, non chiuderei occhio per tutta la notte. Questo posto mi toglie il sonno. Mi sveglio alle tre del mattino e vedo i crani forati. I pensieri mi si affollano nella testa. Sparano e uccidono un tizio. Poi un secondo, un cinquantesimo. Questo lo posso ancora capire. Ma com’è possibile che mezzo centinaio di uomini si lasci condurre docilmente alla morte? Perché non reagiscono? Perché non cercano di salvare la pelle? Un pugno di assassini ordina loro di scendere dal pullman: e quelli scendono ubbidienti. E poi si allineano buoni buoni contro il muro.” Eva preferirebbe non porsi tutte queste domande: “Mi fanno andare in frantumi, mi distolgono dal lavoro. Sono qui per assemblare ossa. Solo in questo modo posso rendermi utile. La guerra non fa per me.”
8 febbraio 2019 at 16:40
Pochissime persone conoscono la guerra in Bosnia, sono rimasta colpita dalla cosa. In effetti è anche difficile trovare dei libri che ne parlino! Ecco, questo finisce sulla lista dei libri da comprare 😀
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11 febbraio 2019 at 9:53
Sono felice che t’incuriosiamo sempre 😀
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11 febbraio 2019 at 18:30
😀
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